world of darkness

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venerdì 14 giugno 2013

Vento d'oblio

Originariamente postato sul vecchio blog il 18 giugno 2012

Buongiorno!
Eccomi di nuovo qui, è passato un po’ dall’ultimo post, ma questa volta ho intenzione di “pubblicare” una mia creazione, un racconto originale.
Vento d’oblio, questo è il suo titolo, vuole essere uno scritto un po’ insolito: tanto per cominciare è molto introspettivo e poi presenta una situazione particolare, non necessariamente definita. Bisogna prendere questo racconto così com’è, senza sforzarsi di cercare significati reconditi e inutili. E’ lasciato molto all’interpretazione soggettiva di ciascun lettore: diciamo che non esiste una visione sbagliata o giusta in proposito, ognuno può intenderlo come gli riesce meglio.
Questo pezzo è stato scritto un anno fa, come si evincerà dalla data riportata in fondo allo stesso, in un momento un po’ particolare, che mi ha condotto in questa direzione.

PS: L’immagine che allego è stata trovata sul web, quindi non è di mia proprietà. Tra l’altro, è stata proprio questa, trovata per caso, a ispirare questo pezzo.

E ora … una premessa a questo racconto?
C’è solo il mare, solo il vento. Solo lo stridere dei gabbiani.


VENTO D’OBLIO


Lei non ha nome, o se lo ha avuto, ormai non lo ricorda più, e qualunque esso fosse, di certo non le piaceva. Cammina ascoltando lo spietato ululare del vento, che come un lupo maestoso impone il proprio predominio sul luogo che gli appartiene.
Sente la sabbia bagnata sotto i piedi, mentre cammina tra le onde impazzite che, sulla riva, si infrangono schiaffeggiandole le caviglie e schiumandole il lungo abito nero.
I suoi occhi chiari, socchiusi, assaporano quel cielo grigio che preannuncia tempesta, per poi spostarsi a osservare quell’oceano indomabile che, senza una ragione precisa, riversa la sua furia su di un mondo indegno, su quella spiaggia deserta.
Quel luogo forse non esiste; forse è stato creato nella sua mente.
Scogli spigolosi si stagliano prepotenti tra le acque, fendendone la superficie, mostrandosi a lei come gli spettri di se stessa che in tante occasioni non ha voluto affrontare.
I lunghi capelli scuri le vengono smossi dal vento, che come giocandovi, lascia che da quei fili castani si formino disegni comprensibili soltanto a lui.
Le sue spalle e la sua schiena sono scoperte, ma poco importa; forse fa freddo, non lo sa. A dire il vero non le interessa.
Cammina forzando le acque a lasciarla passare, cammina avvertendo in sé il peso di cui quella tempesta è portatrice; o forse quello sfacelo si sta abbattendo in lei soltanto.
Nessuno le è attorno. Nessuno solca il suolo di quella spiaggia.
Alza lo sguardo, attratta dal suono di battito d’ali e dallo stridere di voci che le appaiono ultraterrene: uno stormo di gabbiani sta sfidando la furia del vento, volteggiando tra il grigio delle nubi, dando un riempimento a quel vuoto infinito, che forse esiste da qualche parte.
Lei li osserva. Lascia che le immagini di quegli uccelli si imprimano oltre i suoi occhi, come un dipinto, come un’opera d’arte, come il più grande mistero esistente.
Li guarda vivere ogni attimo della loro libertà, invidia le loro ali e sente che vorrebbe farne parte. Sa che amerebbe spiccare il volo come quei gabbiani, per poi rimirare il mondo dall’alto, avvertendo sulla pelle il sapore di quel vento incolore.
Ma lei sa bene quanto questo sia impossibile: come poter porre le ali ad esseri viventi che sono unicamente in grado di incatenarsi al suolo? Come donare la libertà a chi saprebbe soltanto rispedirla indietro? Troppi pensieri, troppe incertezze, ansie e paure; troppe domande, esagerata autocommiserazione: di questo è composta la carne umana, e lei l’ha già intuito.
Continua a camminare tra quelle onde che sembrano ripetersi con la stessa frequenza, va avanti vedendo riapparire di fronte a sé sempre il medesimo paesaggio: ogni cosa nasce e muore ai suoi occhi, per poi riproporle sempre lo stesso ciclo, una volta ancora, e di nuovo, in eterno.
Com’è arrivata lì? Non sa rispondersi, non se lo ricorda; vorrebbe poter piangere, assecondando le urla di quel vento e bagnando quel mare con le sue lacrime, ma non ne è in grado. In lei esiste il dolore? Forse. La tristezza? Chi può dirlo. Il buio? Non è detto.
La sua mente è vuota, desolata, senza più ricordi al suo interno. Il suo cuore è arido, di pietra, fugacemente oscurato da un’ombra senza forma e senza nome.
Forse lei non è niente. Forse non esiste; non più.
Dorme di un sonno imperterrito e selvaggio, che le impone di mantenere gli occhi aperti su quella gabbia d’aria che le vive tutt’intorno, eppure non si può dire cosa veda realmente lungo il suo cammino. Le uniche certezze rimangono la sabbia, il mare agitato, il vento furioso, le ali dei gabbiani.
Non c’è luce in quel luogo: il sole è oscurato dalle nubi, che ne nascondono i raggi, che privano quel suolo del suo calore. Ma vi sarà realmente un sole dall’altro lato di quell’eterno grigiore del cielo? Esisterà davvero una luce? Non sarà possibile affermarlo né negarlo finché la stessa esistenza di quella spiaggia d’oblio rimarrà nel dubbio.
Lei cammina. Non c’è altro che possa fare. Porta le mani in avanti, tende i palmi a quel vento che parla troppo veloce per lei, che non riesce a farsi capire. O forse è la sua mente a non essere in grado di recepire il significato di quei suoni simili a urla.
Qualcosa di oscuro è sceso in lei, qualcosa di indefinibile. Una pena? È probabile, ma non certo. Sente la vita scivolarle tra le dita, inafferrabile come quel vento che parla senza sosta quella lingua sconosciuta, e in un attimo intende di essere lei sola, la causa e l’effetto della sua rovina. È stata lei a creare quel vuoto che avverte dentro di sé. Ha trascorso la sua esistenza a fermarsi di fronte a se stessa, incapace di affrontarsi, di lasciarsi avvolgere dalle tenebre o illuminare dai celestiali bagliori che tante volte ha incontrato durante il lungo cammino: restare nel mezzo era sempre più facile, non le imponeva di scegliere. E così era rimasta per molto tempo: la luce a illuminarla da un lato, l’ombra a oscurarla dall’altro, e lei aveva scelto di essere un fantasma, un alito di nulla, una statua di carne. Si era fermata ed aveva atteso che luce e ombra scegliessero per lei, ma questo non era mai avvenuto, né sarebbe  accaduto in futuro.
Ma forse un futuro non sarebbe mai esistito. Forse non avrebbe conosciuto altro che l’eterno presente su quella spiaggia, tra quelle onde, sposa del vento, figlia del mare.
Ancora una volta alza lo sguardo: i gabbiani volano tra le nuvole, il vento sembra sospingerli come complice della libertà che appartiene solo a loro.
L’aria è tutto ciò che può sciogliere le catene invisibili di una mente afflitta; l’aria è la casa degli spiriti che sanno ascoltarla.
Ma lei non ne fa parte; e sa di non essere la  sola. L’uomo è fatto per tornare alla polvere, per scavarsi la propria fossa. Questo è il prezzo da pagare per essere le creature predilette del Signore? Questo è ciò che tutti danno in cambio di un cervello pensante? Sì, lei lo sa. La felicità, la realizzazione, la libertà.
E sa anche che sono le stesse mani dell’uomo a far sì che questo avvenga, ad annullare lo spirito, a chiudere a chiave una porta dimenticata al momento della nascita.
Così come anche lei aveva fatto.
Aveva lasciato che la sua vita le scivolasse addosso come l’acqua salmastra fa ora tra i suoi piedi, per poi ritirarsi. Aveva lasciato che la sua mente fosse svuotata come una brocca di vino, senza che neanche una goccia d’uva restasse tra quelle pareti fatte d‘aria.
Forse era quella la morte? Una spiaggia desolata, con il mare in tempesta e il vento che ulula: luogo destinato agli spiriti erranti, distruttori inermi delle loro stesse esistenze.
Un’altra domanda, ma niente risposte.
Solo il mare e solo il vento.
Solo la sabbia bagnata sotto i suoi piedi.
Solo i gabbiani liberi di volare fendendo l’aria che ride di lei.
Forse questa è la sua punizione: restare per sempre incatenata alla tempesta che le sue dita hanno saputo creare per lei sola, potendo soltanto guardare dal basso la forza di quegli esseri che non le avrebbero mai concesso di assaporare l’infinta potenza della loro libertà, l’eterna e intoccabile gioia dell’istinto che oscura il pensiero.
Ed è questo il male dell’uomo: il suo inarrestabile pensare, la sua tendenza all’autodistruzione, l’estrema facilità con cui in sé accoglie l’odio e l’insofferenza. Anche lei ha odiato. Ne è certa, eppure non è in grado di ricordare chi fosse stato l’oggetto di tale sentimento, né il motivo che l’aveva ispirato.
Futili dettagli.
L’odio non è degno di nota. Sarebbe bene saper andare oltre.
Ma lei non era stata capace di farlo e ancora una volta era stata sospinta sempre più in basso, schiacciata dal suo stesso peso.
Avrebbe dovuto rialzarsi, ma era rimasta a terra: era stato più semplice.
Avrebbe dovuto credere, ma era stata scettica: si era sentita protetta.
Avrebbe dovuto scegliere, ma si era astenuta: non avrebbe fatto differenza.
E ora di scelta non ne ha più, se non quella di procedere nel suo incedere di passi silenziosi tra le onde, alla ricerca di qualcosa che sa bene non troverà.
Non una nave in quel mare, neanche un peschereccio. Solo il totale e disperato vuoto dell’anima, solo il pianto del vento che brama dal cielo le lacrime che dovrebbero appartenere a lei.
Ma lei non può piangere.
Lei non può neanche urlare. Forse non ha voce.
Improvvisamente si chiede cosa sia: corpo o spirito? Forse entrambi? O nessuno dei due.
Domande, sempre inutili e fuggevoli quesiti senza un perché.
È quello che è, deve solo camminare.
All’improvviso un suono distinto, una voce che comprende: -Dormi? le domanda.
È il vento, che parla più piano.
Lei alza le spalle, tenta di rispondere, ma non sa più parlare, ma si accorge che non è necessario.
-Non preoccuparti, io ti sento. Riprende il vento e lei capisce che le basta pensare.
Dove sono? gli domanda. Non importa, risponde lui.
Silenzio per qualche attimo.
-Dormi? le chiede ancora. -Non lo so, tu dici?, lei non capisce.
-Devi saperlo tu, afferma il vento. -Ma io non so niente, si difende lei.
-Nemmeno chi sei?
-No.
-Perché?
-Perché non lo ricordo.
-Da dove vieni?
-Non so nemmeno questo.
-Cosa ti ha spinta qui?
-Mi piacerebbe scoprirlo.
-Sei sola?
-Sì.
-Da sempre?
-Non credo.
-Non preoccuparti, questo luogo è sicuro.
-Ma io non lo conosco.
-Nessuno lo conosce.
-Neanche tu?
-Oh! Io sì!
E il vento sembra accennare una risata; una risata che riesce a far sorridere anche lei.
-E dimmi, esiste davvero?
-Sicuro!
-Ma … dove?
-Ti ho già detto che non importa. Credimi.
-Ma io voglio sapere …
-Niente più smania di conoscere, amica mia! Impara ad ascoltare!
-Ascolterei, se solo ci fosse qualcosa da sentire!
Lei si sta indispettendo.
-C’è molto più di quanto credi.
-Ah, davvero?
-Sì.
-E com’è che io sento solo la tua voce?
-Solo la mia, sicura?
-Beh … c’è quella del mare … e ci sono i gabbiani … ma non capisco né l’uno né gli altri.
-Non li capisci perché non lasci che questo avvenga.
-Ma perché invece comprendo quello che dici tu? L’ho voluto?
-No, l’ho voluto io!
-E … gli altri?
-Sono meno disponibili di me, ecco tutto.
-E oltre a me? C’è qualcun altro? Voglio dire … di persone …
-No.
-Perché?
-Niente più smania di sapere, ricordi?
Lei sbuffa, come si può sbuffare soltanto con il pensiero.
-Sì, ma …
-Ma niente …
-Devo stare per forza al tuo gioco?
-Questo non è un gioco!
-E cos’è?
-Cosa ti ho appena detto?!
Un nuovo sbuffo.
-Sì, sì. Ho capito. Niente più smania di sapere!
-Brava! Impari in fretta!
-Fai lo spiritoso?
-Qualche volta mi capita.
-Ben per te.
-Non cambiare argomento, cara mia!
-Io non sto …
-Sì invece! Non stiamo parlando di me …
-E di chi?
-Di te!
-E di me … cosa c’è da dire?
-Oh, se solo sapessi! Tante di quelle cose!
Lei si incuriosisce.
-Belle o brutte?
-Conosci già la risposta.
-Un po’ e un po’?
-Lo sai.
-Dunque dimmi qualcosa.
-Di te?
-Certo, abbiamo detto che di te non stiamo parlando, no?
-Sì, ma non sono io a doverti raccontare la tua vita.
-E chi allora?
-Indovina!!
-Io?!
-E chi se no!
-Ti pareva! Ma se ti ho appena detto che non ricordo!
-Io credo di sì.
-E tu che ne sai?
-Lo so.
-Come?
-Che ti importa?
-Visto che l’oggetto sono io …
-Sicura?
-Ma se hai appena detto …
-Sei tu. Ma se sei tu, ci sono anch’io.
-Perché?
-Ah – ah- ah!
 Il vento sembra scuotere ciò che vuol far intendere come una testa.
-Giusto, niente più smania di sapere.
-Esatto.
-Bene, chi deve parlare ora?
-Tu.
-Io?
-Qualcun altro partecipa a questa conversazione?
-E cosa dovrei dire?
-Non lo so. Pensaci.
-Io non ricordo più nulla, te lo giuro! Non so dove sono, né come sono arrivata qui, ti prego non confondermi ancora di più, io … non so cosa dovrei dire.
-Tranquilla …
-La fai facile!
-Tranquilla, sul serio.
-Sì, ma …
-Sicura di non riconoscere questo posto?
-Sì, è la prima volta che lo vedo …
-Come puoi dirlo, se tu stessa sostieni di non ricordare nulla?
-Giusto, e quindi?
-Quindi niente.
-Dove dobbiamo andare a parare?
-Da nessuna parte …
-E quindi cosa parliamo a fare?
-Per non starcene soli …
-Vuoi compagnia?
-No, io non ne ho bisogno.
-E allora?
-Ne hai bisogno tu.
-Forse è vero.
-Ci sono tante cose vere.
-Per esempio?
-Per esempio io!
-Modesto!
-No, dico sul serio. Il vento esiste davvero, o non ti risulta?
-Sì, certo …
-Ah ecco, mi sembrava!
-Sei il vento di questo luogo?
-Sono il vento di ogni luogo.
-E come fai?
-Così. È la mia natura.
-Dunque esisti da sempre?
-Sì, ma è difficile spiegare il concetto di sempre.
-Immagino. Io fatico a comprendere quello di oggi.
-Oggi è come domani.
-E ieri?
-Ieri è passato.
-Ma io dov’ero?
-Dove sei ora.
-Sul serio?
-Sei sempre stata qui.
-Da sempre?
-Quel che può essere il sempre per te.
-Quindi da quando sono nata.
-Diciamo così.
-È sempre stata questa la mia vita?
-Sì e no.
-E come si spiega la parte del no?
-Tu vai e vieni.
-E quando vado … dove vado?
-Nel mondo.
-Quale mondo?
-Quello esterno.
-Quindi qua siamo all’interno! Ma di cosa?
-Pensaci.
Pochi istanti di riflessione.
-Dentro di me?
-Fuochino.
-Nella mia mente?
-In un suo angolo.
-Ci sono altri luoghi qua dentro?
-Infiniti.
-E com’è che non li conosco?!
-Non ne hai ancora aperto la porta.
-E succederà?
-Dipende.
-Da cosa?
-Da te.
-E questo? Che angolo è? Bello o brutto?
-A te come sembra?
-Malinconico. Vuoto.
-Allora siamo lì.
-Nella malinconia?
-E nel vuoto.
-E tu? Conosci gli altri angoli?
-Alla perfezione.
-Ci sei entrato?
-Io sono ovunque.
-Anche fuori?
-Ovunque.
-Che disastro!
-Cosa?
-Tutto! Non ci capisco niente.
-È normale.
-Perché?
-Perché è la natura umana.
E in questo momento il vento sembra come sorriderle, poi si dilegua, tornando a parlare veloce, facendo sì che la sua voce torni incomprensibile al suo udito. È scossa, stranita. Non sa per quanto ancora durerà la permanenza in quel luogo, né se quel vento le abbia effettivamente detto la verità.
Forse a breve si sveglierà e ricorderà tutto della sua vita. Forse rimarrà lì in eterno, incatenata a quella realtà colma di quesiti irrisolti e voci lontane.
Forse ora il vento sta parlando con il mare; forse gli sta raccontando della loro conversazione.
Alza lo sguardo al cielo, a quell’immensa distesa grigia di nuvole che non mostrano il loro volto. Per un attimo il vento sembra accarezzarla.
Dormi? Sente ancora. Ma è solo un attimo, poi la voce svanisce di nuovo.
Quante domande, quante complicazioni! Questa è davvero la natura umana? Un’eterna catena legata all’incomprensibile?
Guarda i gabbiani e le loro ali. Li guarda giocare con il vento.
Sorride tra sé e sé e un pensiero le sfiora la mente: loro sì che hanno capito tutto.


22/23 giugno 2011

*lady in blue*


2 commenti:

  1. Avevo cominciato a leggere la tua storia la settimana scorsa (non so se hai notato ma in genere lo faccio il martedì. In ufficio mi fermo anche il pomeriggio e ho un paio d'ore di pausa pranzo di quiete assoluta che mi permette di dedicarmi alla lettura del tuo blog). Non ero riuscita a finirla, benché fosse corta, mi ero persa sulle prime righe dopo aver lasciato il commento a Misery. Mi ci sono dedicata oggi. La cosa più bella di tutto ciò è che mentre leggevo la tua storia (nello stesso orario), tu lasciavi la stupenda recensione alla mia... Coincidenze...
    In ogni caso neanche questo martedì sono riuscita a immergermi nella narrazione e credo che un po' dipenda dall'astrattezza del racconto. Ora, mettici il telefono che ogni tanto squilla e la persona che passa e chiede informazioni, ma mettici anche che il mio cervello si chiude in tutto ciò che è filosofico-simbolico. Mettici però che il tuo stile è bellissimo, che già dalle prime righe, dove hai scritto che "camminava forzando le acque a lasciarla passare", mi hanno catturata, e ho provato profonda invidia perchè io figure del genere me le scordo...
    C'è poi tutta quella parte riflessiva che ad un tratto mi ha spiazzata, col colloquio con il vento. Non ho capito, ma forse non c'è niente da capire e soltanto apprezzare le descrizioni che fai di questo mare così cupo, spumoso, freddo, gli scogli appuntiti, il vento che arriccia i capelli, quell'aria di tempesta a cui riporta anche l'immagine che hai accostato al racconto. E poi le analogie, le metafore, davvero calzanti. Che brava che sei!
    Yoshiko

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  2. Ciao Yoshiko! Caspita, grazie delle belle parole che mi hai lasciato, sono così contenta di trasmetterti queste impressioni con i miei scritti!! Ti dirò che anch'io tengo molto alle tue recensioni; leggerle, è sempre un piacere.
    In questo caso specifico non devi certo preoccuparti di non essere riuscita a immergerti nella narrazione, per usare la tua stessa espressione. Penso che, con questo testo, sia assolutamente normale.
    L'ho scritto ormai qualche anno fa, in un momento davvero particolare (devi tenere in conto che io, di mio, sono piuttosto particolare. Per dirti, il "Moody" [lunatica] del mio nick che conosci non è stato scelto a caso, proprio per niente), e sembrerà incredibile, ma è stato proprio scrivere questo raccontino ad aiutarmi a trovare un senso a certi pensieri, quasi fosse uno sfogo o, meglio ancora, una sorta di piccolo viaggio interiore.
    Come mi sembra di aver scritto nell'introduzione, questo testo va preso proprio così com'è, senza porsi troppe domande, perché sarebbero inutili e non porterebbero da nessuna parte. Questa è una storia che è nata e si è costruita da sola, io le sono solo stata dietro, ti assicuro!! Capisco poi che la parte finale, quella della "chiacchierata" con il vento, possa apparire veramente allucinante, anzi, credo che lo sia per davvero ... insomma, mi rendo conto che potrebbe benissimo non avere né capo né coda, ma appunto, l'ho scritta di getto, lasciando che fosse la storia a condurre me dove voleva arrivare.
    Mi fanno molto piacere i tuoi complimenti, come sai, ma ti dirò una cosa: quando ho letto le tue Leaves e Snow, sono stata io a invidiare tantissimo le tue capacità, la tua narrazione fluida e mai scontata, la tua destrezza nell'approcciarti fantasticamente sia alle tematiche forti che a quelle "comiche-leggere" (cosa che io non so assolutamente fare, per ora sono stata in grado di scrivere solo di argomenti "tosti") ... e le descrizioni non te le nomino neanche, lì proprio non c'è storia ;)!!
    In ogni caso non posso proprio fare a meno di ringraziarti ancora! Ora corro a risponderti anche all'altra recensione che mi hai lasciato!

    A presto!

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