world of darkness

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mercoledì 31 dicembre 2014

DECEMBER OF BONES 3: Hello + My Last Breath (Fallen)

Ciao a tutti!
Anche se il racconto "Scheletro" è finito, ho deciso di mantenere anche per quest'ultimo post (che sarebbe dovuto arrivare ieri) lo stesso titolo principale, facciamo finta che faccia parta anche lui della racconta del "Novembre-Dicembre di ossa". D'altro canto le due canzoni degli Evanescence che presento oggi hanno entrambe a che fare con il tema della morte, per cui possiamo trovare un senso logico agli ossicini.
Per la serie: chiudiamo allegramente l'anno! Ma sono contenta di essere arrivata abbastanza in fretta alla conclusione di questo bellissimo album perché, di questa band, ci sono ancora diverse cose da "scoprire" e delle quali non vedo l'ora di parlare.
*
La traccia numero nove di Fallen, per l'appunto, è Hello, sicuramente la canzone più "intima" di quest'album nonché della band in generale, insieme a Like You, che troveremo nel prossimo album. Anzi, credo non sia corretto catalogarla come "un brano del gruppo" ma, più specificamente, direi che questa canzone è solo di Amy. Dall'atmosfera malinconica e avvolgente, Hello la vede tornare bambina, al ricordo della morte della sorellina più piccola, spirata all'età di tre anni, quando Amy ne aveva sei.
Una canzone dove c'è spazio soltanto per il pianoforte e per gli accordi orchestrali, oltre alla voce scura e unica della cantante. Sicuramente si tratta di un brano di cui è difficile individuare il significato se non lo si conosce già in precedenza, ricordo infatti di aver passato anni ad ascoltare questa melodia e questo testo chiedendomi a che cosa Amy si riferisse, in particolare con il suo Has no one told you she's not breathing? (Qualcuno ti ha detto che lei non sta respirando?), eppure mi sono sempre sentita catturare dall'atmosfera prodotta da queste note, dal progredire di sensazioni indefinibili che suscita.
Una volta appresa la storia che c'è dietro, come ho già detto a suo tempo, questa canzone mi ha ispirato il racconto "Qui con te", del quale sarà possibile ritrovare davvero molto in questi versi.
Hello è l'unica traccia di Fallen a non essere mai stata riprodotta dal vivo, questo per scelta specifica di Amy che, sostiene, non ne sarebbe in grado senza avere un crollo emotivo. Segno di quanto sia legata a quel ricordo, spunto che mi ha accompagnata soprattutto nella stesura di "Caduta", il seguito di "Qui con te".
Io ho sempre adorato questa canzone, anche se non è una hit come Bring Me To Life o My Immortal, anzi, forse proprio per questo. Questa canzone forse non la si ascolta in ogni momento, ma solo quando ci si sente particolarmente ispirati a guardare in profondità e non solo di se stessi. Posso dire, inoltre, che questo è il primo brano che sono riuscita a imparare al pianoforte, motivo in più che forse mi ci lega.

(Il link, nel caso il video sopra non funzionasse: https://www.youtube.com/watch?v=ZPiHvlAw-ZM)

Scelgo questo video in particolare perché è quello che preferisco abbinato a questa canzone. Adoro la scelta delle immagini fatta da chi l'ha creato e, segnalo, ce ne sono un paio che mi hanno ispirata tantissimo per la stesura di "Caduta".
Qui di seguito, il testo:



HELLO (CIAO)

Playground school bell rings again (La campanella del cortile della scuola suona di nuovo)
Rain clouds come to play again
(Le nuvole di pioggia vengono a giocare di nuovo)
Has no one told you (Qualcuno ti ha detto)
She's not breathing? (Che lei non sta respirando?)
Hello, I am your mind
(Ciao, sono la tua mente)
Giving you someone to talk to (Ti do qualcuno con cui parlare)
Hello
(Ciao)

If I smile and don't believe
(Se sorrido e non ci credo)
Soon I know I'll wake from this dream
(Presto, lo so, mi sveglierò da questo sogno)
Don't try to fix me, I'm not broken
(Non cercare di ripararmi, non sono rotta)
Hello I am the lie
(Ciao, sono la bugia)
Living for you so you can hide (Vivo per te così tu puoi nasconderti)
Don't cry
(Non piangere)

Suddenly I know I'm not sleeping
(Improvvisamente so che non sto dormendo)
Hello, I'm still here
(Ciao, sono ancora qui)
All that's left of yesterday
(Tutto ciò che è rimasto di ieri)

*

Leggendole e rileggendole, devo dire che queste parole mi danno davvero l'idea di essere quelle di una bambina. In parte però, perché poi ci sono quelle frasi (Has no one told you she's not breathing - Don't try to fix me I'm not broken- All that's left of yesterday) che sembrano improvvisamente più adulte, come se fossero suggerite da una mente cresciuta, che si insinua in questo passato, in questo ricordo vivido e latente che ogni tanto torna a farsi sentire.
Come sempre trovo eccezionale la capacità che Amy ha sempre avuto di trattare questi argomenti, nonché il coraggio di prenderne in considerazione uno così personale, in particolar modo per esporlo al pubblico che non sempre capisce.
Sull'argomento, come accennavo, si ritornerà con l'album successivo, grazie alla canzone Like You: a mio parere, una delle più belle scritte da Amy Lee, ma ci arriveremo quando sarà il momento.

Ora passiamo al secondo brano: My Last Breath - Il mio ultimo respiro.
Stando alla pagina dell'Evanescence Reference di Wikipedia è stato ispirato dall'attacco dell'undici settembre 2001 a danno delle Torri Gemelle. Devo essere sincera che, se non l'avessi letto in questa dichiarazione fatta a quanto pare da Amy e Ben in un'intervista, non l'avrei mai detto semplicemente leggendo il testo. Dopo averlo appreso mi sono detta che, forse, non è il fatto in sé quello che viene raccontato in questi versi, ma quella che potrebbe essere la situazione soggettiva vissuta da qualcuno in quella circostanza, forse un ultimo addio e la ricerca di una persona amata negli ultimi momenti, quando ormai c'è la consapevolezza della morte. Ho ritrovato questo pensiero anche in un brano tratto dall'ultimo album, Never Go Back, che si riferisce sempre in questo modo "soggettivo" al terremoto e tsunami avvenuti in Giappone nel 2011 ma, anche in questo caso, ne parlerò a suo tempo.
Di My Last Breath non ho molto da dire, forse perché nonostante non mi dispiaccia è una della canzoni che meno mi colpiscono di Fallen, di fatti se dovessi fare una classifica di preferenza in questo senso, la metterei al penultimo posto, prima soltanto di Taking Over Me.

Qui, la si può ascoltare:

(Il link, nel caso il video sopra non funzionasse: https://www.youtube.com/watch?v=A4PaeZhxLWQ)

E qui, il testo:



MY LAST BREATH (IL MIO ULTIMO RESPIRO)

Hold on to me love (Stringiti a me, amore)
You know I can't stay long
(Sai che non posso restare a lungo)
All I wanted to say was
(Tutto ciò che volevo dire era)
"I love you and I'm not afraid" (“Ti amo e non ho paura”)
Can you hear me?
(Riesci a sentirmi?)
Can you feel me in your arms?
(Riesci a sentirmi tra le tue braccia?)

Holding my last breath
(Trattenendo il mio ultimo respiro)
Safe inside myself
(Al sicuro dentro di me)
Are all my thoughts of you
(Sono tutti i miei pensieri di te)
Sweet raptured light (Una luce dolce e rapita)
It ends here tonight (Stanotte termina qui)

I'll miss the winter
(Mi mancherà l’inverno)
A world of fragile things
(Un mondo di cose fragili)
Look for me in the white forest
(Cercami nella foresta bianca)
Hiding in a hollow tree 
(Mentre mi nascondo in un albero cavo)
(Come find me)
(Vieni a trovarmi)
I know you hear me (So che mi senti)
I can taste it in your tears (Ne sento il sapore tra le tue lacrime)
 
Holding my last breath (Trattenendo il mio ultimo respiro)
Safe inside myself
(Al sicuro dentro di me)
Are all my thoughts of you
(Sono tutti i miei pensieri di te)
Sweet raptured light (Una luce dolce e rapita)

It ends here tonight (Stanotte termina qui)

 
Closing your eyes to disappear,
(Chiudi gli occhi per dissolverti)
You pray your dreams will leave you here;
(Preghi che i tuoi sogni ti lascino qui)
But still you wake and know the truth,
(Ma sei ancora sveglio e conosci la verità)
No one’s there...
(Lì non c’è nessuno)

Say goodnight,
(Dì buonanotte)
Don't be afraid,
(Non avere paura)
Calling me,(Chiamandomi)
Calling me as you fade to black. (Chiamandomi mentre svanisci nel nero)

(Say goodnight)
(Dì buonanotte)
Holding my last breath (Trattenendo il mio ultimo respiro)
(Don't be afraid)
(Non avere paura)
Safe inside myself (Al sicuro dentro di me)
(Calling me, calling me)
(Chiamandomi, chiamandomi)
Are all my thoughts of you (Sono tutti i miei pensieri di te)
Sweet raptured light (Una luce dolce e rapita)
It ends here tonight (Stanotte termina qui)

Holding my last breath (Trattenendo il mio ultimo respiro)
Safe inside myself
(Al sicuro dentro di me)
Are all my thoughts of you
(Sono tutti i miei pensieri di te)
Sweet raptured light (Una luce dolce e rapita)

It ends here tonight (Stanotte termina qui)


(Holding my last breath)
(Trattenendo il mio ultimo respiro)
 


**

Sono contenta, sono riuscita a finire di parlare di questo splendido album. L'undicesima e ultima traccia in realtà sarebbe Whisper ma, essendo stata trattata in precedenza come Everybody's Fool e My Immortal, sarebbe stato inutile riprenderla.
Quando tornerò a ripescare gli Evanescence, a febbraio secondo i miei calcoli, accennerò brevemente all'unico album live prodotto dal gruppo, dal quale posso estrapolare quattro tracce che, finora, erano rimaste inedite. Anzi, tre a essere precisi, perché una è una cover, della quale parlerò comunque.

Buon inizio di nuovo anno! Diciamocelo: speriamo che il 2015 non sia una ciofeca :D.

*lady in blue*




sabato 20 dicembre 2014

DECEMBER OF BONES 2: Scheletro (Cap.5)



V

SCHELETRO

Corre velocemente, e non si stupisce del fatto che il corridoio sembri infinito.
E' invece stupita dalla distanza tra lei e lo scheletro, che continua a diminuire. Non è rapido, la sua andatura è traballante e incerta, come può esserle così vicino? Eppure lo è sempre di più.
Helen, di tanto in tanto, mentre continua a correre, si volta a guardarlo. Lo scheletro prosegue nella sua tetra camminata e nei suoi movimenti agghiaccianti come in un rituale: un braccio contro il muro, l'altro rivolto al pavimento. Trascina i piedi. Il cranio continua a ricadergli in avanti.
Oddio. Oddio. Oddio. E' questo che Helen pensa in quel momento. Ma perché si muove in quel modo? Non potrebbe semplicemente correrle dietro?
Il corridoio continua a estendersi all'infinito, lo scheletro accorcia sempre più le distanze.
Poi all'improvviso le è addosso. Ha sentito le sua dita afferrarla (prova un brivido tremendo nel venirvi a contatto, per via di quei brandelli di pelle attaccati alle ossa). Helen si ritrova a terra, lo scheletro a ricoprire il suo corpo.
Ma non sarebbe corretto dire che questo l'abbia buttata a terra. Sembra le sia caduto addosso.
E ora è lì che giace.
Immobile.
E Helen grida sotto il suo peso.

*
Helen quella volta faticò a svegliarsi. Sforzava gli occhi affinché si aprissero, ma questi non volevano saperne. Intanto, continuava a vedere nella mente la stessa immagine, ripetuta senza sosta. E in più, sentiva quello strano rumore.
Nel sonno, Helen non riusciva a capire da dove provenisse, né quale fosse la sua natura. Era un suono strano, gutturale, e sembrava mostrare sofferenza. Eppure non lo riconosceva. Era forse lo scheletro a emetterlo? A dirla tutta, le sembrava di no. Ma in fondo Helen era così occupata a sfuggirgli da non volerci fare troppo caso.
Infine, dopo che lo scheletro le fu caduto addosso per l'ennesima volta, Helen riuscì a raggiungere la veglia. Fu come aver appena ripreso a respirare e, mentre lo faceva, le doleva il petto.
Tossì con forza, e il dolore si intensificò.
Si tirò a sedere emettendo un lamento e premendosi la mano al petto, poi si sforzò di respirare a fondo per calmarsi.
Ci mise qualche istante a mettere a fuoco la stanza, a capire dove si trovasse. Si stupì nel rendersi conto di essere a casa dei suoi genitori, ma dopo qualche minuto iniziò a ricordare: il cimitero, il suono di foglie calpestate che era certa di aver sentito, ma che in realtà aveva solo immaginato, l'ombra che la inseguiva, quella che l'aveva afferrata parandosi davanti a lei.
Iniziava a dare un volto a tutto ciò.
Era ancora confusa, eppure d'un tratto si accorse che quel rumore, quello che sentiva nel sogno e che non capiva da dove nascesse, non era stato solo il frutto della sua immaginazione. Era reale, palpabile, e aveva una provenienza precisa.
Si alzò lentamente. Le girava un po' la testa, e fu per questo che al primo momento si sostenne alla parete, ma si riprese presto.
Tossì di nuovo, e ancora una volta si lamentò per il dolore scaturito dal petto.
Incurante del proprio stato di salute, Helen iniziò a muoversi a piedi nudi verso l'origine del suono; intanto rivedeva nella testa, con più chiarezza, quant'era accaduto quella notte. Aveva davvero immaginato il suono di foglie calpestate che si era ostinata a voler seguire, ma non era stato lo stesso per le ombre che avevano preso a inseguirla. Solo che non erano davvero ombre, solo persone che si muovevano al buio. Quando aveva puntato la luce della torcia verso l'uomo dal quale aveva cominciato subito a scappare, le era sembrato che l'ombra scivolasse via, ma non era così: in realtà era stata lei a distogliere la luce dalla figura, perché questa si era riflessa su qualcosa di metallico, e le aveva provocato dolore agli occhi. Ora capiva che si trattava di un agente di polizia e che, ovviamente, si trovava lì per lei.
L'ombra che invece l'aveva afferrata e aveva urlato il suo nome altri non era che suo padre. Suo padre, che doveva aver chiamato la polizia per andare a cercarla. Helen suppose che la famiglia fosse stata avvertita della sua assenza dall'università, e forse erano saltate fuori le sue continue visite al cimitero dalla testimonianza di qualcuno che l'aveva notata.
Stava di fatto che oramai era a casa, e non c'era più speranza di trovare lo scheletro. I genitori non le avrebbero mai permesso di andarsene in giro indisturbata la notte e anzi, Helen dubitava che l'avrebbero lasciata tornare al dormitorio dell'università.
Mentre pensava a tutto ciò, si avvicinò sempre più alla fonte del suono che, ne era sempre più certa, non stava immaginando; c'era soltanto la porta del bagno a dividerla da esso.
E Helen l'aprì.
Sbatté le palpebre più volte e inizialmente faticò a riconoscere quella figura inginocchiata di fronte alla tazza. Quella figura, che emetteva il suono di chi stia rimettendo.
Aveva il viso ricoperto dai capelli biondi, le dita si serravano ad artiglio sulla tavoletta del wc, l'addome seguitava a contrarsi. Indossava soltanto una canottiera e delle culottes.
A Helen corse un brivido profondo lungo la schiena, talmente intenso che quasi le attanagliò il cervello.
<<Sarah>> esclamò senza quasi sentire la propria voce.
Sarah alzò lo sguardo verso la sorella e le puntò addosso gli occhi. Occhi vuoti, spenti e morenti. Pensò Helen. E non fu l'unico pensiero a balenarle in mente.
Quanto è magra.
Si disse anche.
L'orrore in lei nacque prima che fosse trascorso un solo istante. Senza pensare si fiondò su di lei, la prese per le spalle e, allontanandola dalla tazza, la condusse a sé. Era la sua adorata sorella, ma Helen provò comunque un moto di raccapriccio quando avvertì le ossa sporgenti sotto le dita.
<<Sarah, che fai? Che ti succede?>> domandò Helen come se non fosse ovvio. Aveva sgranato gli occhi, e le stava venendo da rimettere a propria volta per lo choc.
Sarah si gettò tra le sue braccia; Helen dovette resistere all'impulso di respingerla a causa dell'orrore che la sua magrezza le ispirava.
<<Io non volevo mangiare>> iniziò Sarah singhiozzando <<io non volevo, mi hanno obbligata. Io non posso mangiare>> seguitò aggrappandosi alla sorella. Helen chiuse gli occhi e ricambiò la stretta. Le accarezzò i capelli dicendole piano di fare silenzio.
<<Io non volevo nemmeno venire qui, stavo bene da sola. Andava tutto bene>> proseguì Sarah stringendosi sempre più a Helen.
<<Loro non capiscono, non hanno mai capito>> concluse in un sussurro, ancora tra le lacrime.
Helen non sapeva dire se fosse il proprio quel cuore che batteva all'impazzata nel suo petto, perché era certa che il suo dovesse essersi per forza fermato.
In quel momento comprendeva tante cose. E ricordò anche il messaggio di Sarah di quel giorno, quando non si era nemmeno domandata di che cosa stesse parlando, e le aveva risposto con la prima frase venutale in mente.
Mi hanno presa. Le scriveva sua sorella, felice, e lei, insensibile e fredda, aveva concluso il tutto con un Sono felice per te. Non ricordava la domanda di Sarah a quell'agenzia di modelle. Era stata tanto indaffarata a cercare il suo scheletro, che aveva dimenticato l'ossessione di sua sorella per la moda. Di fatti, a New York, Sarah lavorava come stilista. Ma il suo sogno, fin da bambina, era sempre stato quello di fare la modella.
La magrissima modella.
Aveva speso tanto tempo ed energie a cercare lo scheletro del suo sogno, e solo allora, Helen si rendeva conto di averlo trovato, e di averlo avuto sempre così vicino. Helen pianse abbracciata a Sarah perché era stata un'egoista: aveva dato per scontato che lo scheletro nel suo sogno ricorrente avesse a che vedere con lei e con lei soltanto, aveva addirittura consultato una chiromante per scoprire dove cercarlo e, peggio di ogni altra cosa, aveva creduto alle fandonie che quella andava raccontando.
Lo scheletro del sogno voleva chiamarla, era vero, dirle qualcosa di importante, ma non si trattava di ciò che aveva creduto fin dall'inizio.
Era con Sarah che tutto aveva a che fare, era lei che le domandava aiuto.
E ora, a Helen non restava altro se non le sue lacrime e una sorella anoressica.
Si stupì soltanto di pensare una cosa. Una cosa che non avrebbe dovuto venirle nemmeno in mente: Sarah, cosi magra, faceva davvero impressione. Ma sembrava avere ben poco a che fare con lo scheletro che Helen aveva sognato per tre mesi consecutivi.

*

Il giorno peggiore della vita di Helen, fu quello della morte di Sarah.
Dopo quella notte in cui la trovò in bagno a rimettere quel poco che i genitori l'avevano obbligata a mangiare, aveva deciso di prendersi cura di lei. Aveva anche lasciato definitivamente l'università per starle accanto a tempo pieno.
Il giorno successivo, aveva appreso da sua madre che lei e suo padre non erano mai riusciti a mettersi in contatto con Sarah da quanto era tornata in città, quasi tre mesi prima, e che, se quella notte era a casa con loro, era soltanto perché erano stati contattati dall'ospedale in cui la ragazza era stata ricoverata in seguito a uno svenimento.
Sarah era diventata anoressica, non ci vollero esami per dimostrarlo, ma era maggiorenne, per cui non firmò il consenso al ricovero in ospedale, e se ne andò contro il parere del medico. Era così debole, però, che i genitori non faticarono a condurla a casa con loro.
Quella sera l'avevano forzata a mangiare qualcosa, ma lo stomaco di Sarah, ormai abituato all'inattività, non aveva retto.
Helen aveva pianto più e più volte quand'era da sola, chiedendosi perché non avesse riflettuto, perché non avesse capito prima quanto il potere segreto della sua mente stesse tentando di riferirle.
Da quella notte in poi, Helen non sognò più lo scheletro.
Helen soffriva tantissimo per Sarah, ma era anche in collera con lei. Come aveva potuto ridursi in quello stato solo per far piacere agli occhi altrui? Se solo sua sorella fosse stata abbastanza forte da reggere, Helen l'avrebbe certamente presa a schiaffi.
Invece, quando si trovava da sola con lei, non faceva altro che sussurrarle dolci parole d'incoraggiamento e accarezzarle la fronte. Quel senso di raccapriccio nei suoi confronti, però, cresceva ogni giorno di più. Helen lo scacciò più e più volte, costringendolo nel luogo più nascosto e più profondo di sé. Sarah era sua sorella, e benché il suo stato le ispirasse ribrezzo, Helen era convinta di doverle restare accanto.
Un’infinità di volte aveva sfogliato quei giornali e quei cataloghi dove Sarah posava come modella, con i suoi occhi morti e la pelle che le si attaccava sempre di più alle ossa.
Helen l’aveva fatto aggredita da lacrime di rabbia.
Poi giunse quel giorno, e Helen perse definitivamente la ragione. E il controllo.
Aveva fatto di tutto affinché Sarah si riprendesse, e tornasse a mettere su peso, ma ogni tentativo di ristabilirla era inutile. Sarah non collaborava, sembrava non attendesse altro che la morte.
E la morte giunse ai primi del mese di maggio.
Helen era appena uscita dal bagno, quando vide Sarah sulla soglia della propria camera. Aveva un braccio appoggiato contro la parete, come per sostenersi, l'altro pendeva verso il suolo. Respirava a fatica; anzi, si disse Helen, forse non respirava affatto.
Sarah era più abominevole che mai: ormai era pelle e ossa. Un semplice scheletro con la pelle addosso.
E fu in quell'istante che Helen lo riconobbe.
Non appena Sarah iniziò a strisciare i piedi che raggiungerla, Helen strillò e iniziò a correre.
Lei e Sarah erano da sole in casa quel giorno, e Helen avrebbe tanto voluto che non fosse così. Per la prima volta nella sua vita, Helen avrebbe voluto non essere sola.
Sarah le andava incontro imperterrita; benché faticasse a tenersi in piedi, si avvicinava sempre di più. Helen si domandò se le sue gambe le stessero obbedendo a dovere, perché, nonostante tutto, non correva velocemente quanto avrebbe voluto.
E poi, improvvisamente, Helen si voltò a guardare Sarah e la sua tetra camminata di morte verso di lei: la testa, a tratti, le ricadeva sullo sterno, come se il collo non fosse in grado di sostenerne il peso. Trascinava i piedi. Si sosteneva al muro con un braccio.
Helen non faceva quel sogno da mesi, ma d'un tratto fu come se questo non l'avesse mai abbandonata.
Ora capiva perché, quelle notti ormai lontane provava tutto quel terrore.
Fece appena in tempo a pensare che meritava tutto quello, per non essersi accorta di quanto stesse accadendo a sua sorella, quando inciampò, rovinando a terra. Sarah le fu subito addosso, e le crollò sopra, forse ormai incapace di mantenersi in piedi.
Helen iniziò a urlare fin dal primo momento in cui avvertì il suo peso schiacciarle il corpo. Nonostante fosse leggera, non riuscì a togliersela di dosso; sentiva che Sarah la teneva ferma a terra, e si stringeva a lei con quel poco di forza che le restava.
Helen restò così, urlante, e sentì quella forza venire sempre meno, così come il respiro già flebile di Sarah.
I suoi genitori la trovarono un'ora dopo, con la sorella morta distesa addosso.
Helen urlava ancora.
 3/22 ottobre 2013

***

Due righe di spiegazione a proposito di questa storia: "Scheletro" è stata ispirata, fondamentalemente, da un orrendo cartellone pubblicitario che infestava Milano più di un anno fa, durante quella diavolo di settimana della moda. Ricordo che erano raffigurate cinque diverse modelle le quali, però, secondo me avevano tutte un aspetto comune: gli occhi; quegli occhi che sembravano morti e quasi facevano impressione. Occhi vuoti di chi vive solo per accontentare quelli degli altri, di occhi. 
Ed ecco che in qualche modo mi sono decisa a riportare questa mia sensazione in un racconto, ingarbugliando tutto ciò con la trovata pseudo-horror dello scheletro come apparizione onirica e con il tema del rapporto delle sorelle che, come si sa, mi è particolarmente caro. O, per lo meno, sono portata naturalemente a trattarlo. 
Insomma, questo voleva essere una sorta di testo di denuncia e, ancora una volta, vuole porre una particolare attenzione sul ruolo e condizione della donna. 
Quante ce ne sono di ragazze come Sarah, la cui più grande aspirazione è fondamentalmente quella di uccidersi pur di far piacere agli sguardi altrui? Quante come Helen, che non si accorgono di quel che accade accanto a loro finché non è troppo tardi? 
In fondo penso che non si arriverà mai alla parità dei sessi fino a che si vedranno in giro immagini di questo genere, fino a che non ci si sveglierà, capendo che si deve essere se stesse e non quello che gli altri vogliono che la donna sia e rappresenti, sia essa la figura della "mamma in stile Mulino Bianco" o quella, appunto, della modella anoressica. O molte altre ancora. 
Dedico questa storia non alle ragazze come Sarah (anche se spero che prima o poi aprano i loro "occhi morti"), ma a tutte quelle che non lo sono, e hanno il coraggio di essere sempre loro stesse, senza scendere a compromessi. 

*lady in blue* 

mercoledì 10 dicembre 2014

DECEMBER OF BONES 1: Scheletro (Cap.4)

Anche per questo mese il titolo della "raccolta" resta lo stesso.
Ecco il quarto capitolo di questo racconto ... ci avviciniamo alla conclusione ;).



IV



 NOTTI FREDDE, BUIE, SOLITARIE ... E INSANE



Helen quella sera andò a dormire tranquilla.

Sapeva che avrebbe sognato ancora lo scheletro, ma non voleva darsi pensiero. Non quella notte. Aveva preso la sua decisione, e da donna sicura qual'era era certa che l'avrebbe portata fino in fondo, affrontando le sue paure e i suoi demoni pur di venire a conoscenza della verità, ma voleva concedersi un ultima notte di riposo e di pace. Nel sonno avrebbe visto sempre la stessa immagine, ma avrebbe comunque dormito, e questo, prima di cominciare, era l'importante.

La mattina seguente si sentiva pronta, ma non era certamente quello il momento di agire. Perché qualunque cosa rappresentasse quello scheletro, lui viveva nella notte, ed era lì che l'avrebbe incontrato, bastava lasciarsi condurre.

La chiromante a cui si era affidata il giorno precedente le aveva detto di seguire gli indizi che il potere della sua mente le proponeva. Ma a quali segnali poteva affidarsi? Se l'era domandato solo per un secondo, nella stanza dedicata all'occulto. Si era risposta subito.

Tutto ciò che vedesse durante il sonno era un corridoio infinito e uno scheletro che le andava incontro. Lo scheletro. Un simbolo di morte? Era possibile, ma forse non era necessariamente pericoloso. Le carte avevano parlato chiaro, ci sarebbero stati dei cambiamenti. Forse si trattava, per l'appunto, solo di un indizio. Un indizio che le suggerisse dove cercare, dove dirigersi. Perché doveva incontrarlo, di questo ormai era sicura. Lui la stava chiamando, anche se Helen non sapeva per dirle che cosa.

Ed era uno soltanto il luogo che le era venuto in mente per trovarlo; l'unico che, con gli scheletri, potesse avere qualcosa a che fare.

Vi si avventurò la sera appena successiva al suo incontro con Madame Luna Calante. 
Quel giorno si era sforzata di presentarsi in facoltà e di seguire le lezioni, ma in realtà aveva continuamente pensato a tutt'altro. E aveva riletto più volte quell'opuscolo. Il potere segreto della mente. Helen era sorpresa e attratta dalla vastità di questo potere, e dalle sue capacità.

Sperava soltanto di essere in grado di liberarlo a dovere. Lui era lì con lei, la chiamava, e voleva mostrarle qualcosa.

Aveva portato con sé soltanto una torcia, che aveva nascosto dentro un marsupio che si era legata in vita, per il resto, voleva affidarsi soltanto alle forze che la circondavano.

Entrò in quel luogo di morte che era pomeriggio, e c’era ancora un po’ di luce. Camminò fingendosi tranquilla e noncurante, con il capo chino e le mani in tasca, e simulò di star cercando il ricordo di una persona a lei cara.

In realtà pensava soltanto a quel che sarebbe capitato quella notte. Lui sarebbe apparso subito? Forse avrebbe dovuto pazientare, così come suggerivano le carte di Madame Luna Calante.

In ogni caso, Helen si ripromise che non si sarebbe data per vinta, non finché il suo scheletro non avesse deciso di uscire finalmente allo scoperto.

E quale luogo migliore per auspicare l’arrivo di un simbolo tanto oscuro, se non il cimitero? Helen si domandò se lo scheletro la stesse già osservando, magari nascosto dietro una delle lapidi.

Trascorse quel pomeriggio come in una sorta d’irrealtà, muovendosi come un’ombra tra le pietre erette per i morti, allontanandosi sempre più dall’uscita. Osservò tanta gente raggiungere le tombe dei propri cari, porvi accanto dei fiori, recitare una preghiera, e poi andarsene.

Helen realizzò che in quel cimitero erano sepolti i suoi nonni, ma non volle andare a far loro visita.

Il suo scopo, quella volta, era un altro, e non c’era niente che importasse di più.

Fu per questo che si accovacciò nelle vicinanze di un mausoleo sperando di non essere vista, quando ormai cominciava a fare buio e i cancelli stavano per essere chiusi. Stava iniziando a fare anche davvero freddo, ma Helen non volle curarsene.

Osservò di soppiatto, raggomitolata su se stessa, il custode che perlustrava la zona per scovare eventuali intrusi, ma lei si era nascosta sufficientemente bene e non fu notata. Quando la luce della torcia dell'addetto si fu allontanata del tutto, Helen accese la sua.

Aveva il respiro accelerato, le mani gelide e il cuore a mille, ma si sentiva abbastanza forte da affrontare le proprie paure. Nel silenzio irreale dei morti, iniziò a puntare la sua unica fonte di luce intorno a sé, in nessun luogo definito.

Davanti, a destra e a sinistra, poi si voltò e illuminò la porzione di cimitero alle sue spalle. Di nuovo a destra e a sinistra.

Niente.

Decisa, scelse di muoversi. Doveva perlustrare ogni angolo: di certo lui l'aspettava, ma non le sarebbe apparso da un momento all'altro come per magia, come faceva nel sogno. Non poteva essere tutto così semplice.

Per quanto si dicesse sicura, il suo passo era leggermente incerto mentre si muoveva. Teneva la torcia bassa, e la spostava da un lato e dall'altro, cercando di far penetrare la sua luce anche negli angoli, senza lasciarsene scappare neanche uno.

Ancora niente.

Helen non si perse d'animo, e proseguì.

Giunse infine improvviso il rumore che la fece sussultare (e quasi gridare). Si riscoprì tremante dopo aver realizzato che si trattava soltanto del gracchiare di un corvo. Non poteva permettersi di spaventarsi per un nonnulla. Si disse cercando di essere severa con se stessa, doveva mantenere il suo sangue freddo. Non che le ci sarebbe voluto poi molto per conseguirlo, pensò con una punta di doloroso sarcasmo, date le basse temperature. D'altro canto, ormai era novembre.

In effetti, le dita che stringevano la torcia iniziavano a dolerle non poco.

Ma Helen sopportò, più perché volesse fu perché doveva farlo. Non si sarebbe data pace fino a quando non avesse trovato la figura che la chiamava.

Ma quella notte non trovò nulla; aveva vagato fino all'alba tra le lapidi, sicura di aver controllato più e più volte tutti gli angoli, ma non aveva avuto successo. Poco male, aveva pensato per incoraggiarsi, sapeva di dover avere pazienza. Fu per questo che tornò la notte seguente.

Ancora una volta portò la sua fedele torcia con sé.

Di nuovo fu certa di aver ispezionato ogni spazio, perfino il più recondito, ma ancora una volta, l'alba giunse senza che dello scheletro avesse trovato traccia.

La terza notte si domandò se stesse cercando la figura giusta; forse l'immagine nel suo sogno era soltanto un simbolo che le indicava dove cercare, ma non doveva aspettarsi davvero un'apparizione del genere. In effetti, per quanto stesse perdendo la propria lucidità, riuscì a comprendere che non sembrava affatto facile che uno scheletro saltasse fuori dal nulla ciondolando sulle proprie ossa. Come invece faceva nel sogno.

Ma sogno e realtà, per quanto correlati, restavano due mondi distinti. Il potere segreto della mente non era semplice da interpretare, per questo doveva sforzarsi di vedere oltre l'immagine fisica che mentre dormiva era tanto nitida.
Eppure era certa di trovarsi nel posto giusto.

Fu per questo che, tremando vistosamente per il freddo (oramai erano tre notti che trascorreva ore all'aperto), iniziò a leggere uno per uno i nomi riportati sulle lapidi. Era alla disperata ricerca di un altro indizio, e da qualche parte doveva saltar fuori.

Anche perché ormai stava impazzendo.

Sussurrava decise imprecazioni tra i denti mentre la sua mano tremante scandagliava i monumenti mortuari che incontrava sulla via.

Tutti nomi vuoti, sconosciuti, freddi e distanti. Incappò nelle tombe dei nonni, ma non vi fece più di tanto caso. Non cercava un membro della sua famiglia, ma qualcosa di oscuro e nascosto. Non sapeva esattamente che cosa stesse cercando, ma era certa che non avrebbe avuto dubbi, qualora la soluzione le si fosse parata davanti agli occhi.

Eppure di questa soluzione, non vi fu nemmeno l'ombra né quella notte, né le tre successive.

Oramai Helen non dormiva da quasi una settimana. Una settimana senza che vedesse lo scheletro. Una settimana senza trovarlo.

Eppure doveva; doveva assolutamente. Lui doveva parlarle.

Stava cominciando a vedere tutto nero anche di giorno. Dopo quella settimana di follia, decise che l'università poteva aspettare per un po', ed essere tralasciata. Non solo non ci pensava, ma non le interessava affatto. Non considerava più lo studio o le sue ambizioni, solo la presenza che la chiamava a sé. Eppure non sapeva più che cosa stesse cercando.

La notte che seguì fu più fredda delle precedenti: non aveva piovuto, ma quel giorno il cielo era rimasto sempre coperto, e una pesante foschia si era abbattuta sulla città rendendo flebile la visibilità. Helen aveva cominciato a vedere storpiati i volti delle persone normali, che sembravano aver assunto le sembianze di spettri inquietanti. Tentò di convincersi che la causa di questo strano fenomeno era la nebbia, e le sue notti insonni sicuramente avevano contribuito, ma dentro di sé cominciava ad avvertire che c'era qualcosa in più.

Forse lo scheletro, quella presenza sinistra che l'aveva guidata fino al cimitero, era entrato in lei senza che Helen avesse avuto modo di accorgersene. Forse, quei cambiamenti di cui avevano parlato i tarocchi, riguardavano proprio questo.

La verità, era che Helen non sapeva più che cosa aspettarsi, né che cosa cercare.

Pensava soltanto alla notte, luogo selvaggio e onirico dove lui continuava a nascondersi.

Non aveva più considerato nessuno di quelli che le stavano intorno: né i suoi genitori, né sua sorella, né la compagna di stanza o gli altri amici. Per lei esisteva soltanto il regno dei morti; i vivi sembravano far parte di un altro pianeta.

Quella sera, Helen tremava di freddo già prima di varcare il cancello del cimitero. Tossiva frequentemente e si sentiva stordita, ma non le importava affatto. Dove sei? Continuava a pensare soltanto. Dove sei?

Con la sua fedele torcia stretta nel pugno si avventurò ancora una volta tra i meandri dell'oscurità, nuovamente alla ricerca di ciò che si occultava ai suoi occhi. Si faceva luce da ogni lato, ma allo stesso tempo si addentrava sempre più tra le ombre e ne veniva risucchiata.

<<Ho atteso abbastanza, ormai. Fatti vedere!>> esclamò stizzita parlando piano e con la voce tremante. Eppure non aveva più paura, perché la follia può portare anche a questo.

Le prime ore di quella notte, però, com'era avvenuto fino ad allora, non portarono a niente.

Il suo respiro accelerato si condensava in spesse nuvole di vapore, le dita si ghiacciavano. A dire la verità, non si sentiva più i piedi.

Fu per questo che a un certo punto, stanca, sconvolta, spossata e dolorante, si sedette ai piedi di una lapide. Si strinse le ginocchia al petto nel tentativo di scaldarsi ma, dopo tutto il freddo che le era entrato nelle ossa, procurarsi calore sembrava impossibile.

Piagnucolava tra sé e sé, come non aveva mai fatto prima d'allora. Si dondolava avanti e indietro e la torcia, ancora stretta nella sua mano, faceva correre la sua luce avanti e indietro, come a simulare il movimento di un'altalena.

Un'altalena che oscilli tra la sanità mentale e la follia.

<<Fatti vedere, dannazione! Dove sei?>> continuava a ripetere Helen sull'orlo delle lacrime. Si sentiva come una bambina piccola molto vicina a sperimentare un attacco di panico. Avrebbe voluto avere con sé qualcosa di morbido da stringere, qualcosa che la facesse sentire più al sicuro e non in trappola, non così sola. Ma c'erano soltanto le sue ginocchia da tenere strette a sé. E improvvisamente Helen si rese conto che queste si erano fatte più magre. Sapeva che avrebbe dovuto provare un senso d'orrore, ma non fu così. Respirando affannosamente, tentando di uscire dal suo stato di irrealtà, si passò la punta delle dita sulle rotule sporgenti. Aveva mangiato pochissimo in quei giorni, giusto il necessario per mantenersi in vita, per il resto, l'appetito le era sempre mancato.

<<Sei in me? Mio Dio, sei in me?>> si ritrovò a domandare al nulla, in tono lamentoso. Intanto continuava a dondolarsi; la sua torcia continuava il suo gioco di luce a metà tra la vita e il mondo dei pazzi.

<<Perché non mi rispondi? Rispondi!>> proruppe Helen alzando finalmente la voce. Perché quel mostro l'aveva chiamata tanto insistentemente, se poi non aveva intenzione di uscire allo scoperto? Fu così che crollò. Senza poterne più fare a meno, iniziò a piangere. I suoi erano i singhiozzi spaventati di una bambina che si sia svegliata al buio e voglia la mamma. Ma ormai, Helen viveva soltanto circondata dal buio, compreso quello che le albergava nella mente.

Senza rendersene conto si portò il pollice alle labbra e iniziò a succhiarselo. Una ciocca di capelli biondi le cadde davanti al viso, mostrandosi crespa e appiccicaticcia. Era una settimana che non si lavava i capelli, e il tempo umido di quei giorni glieli stava rovinando.

Ma Helen non se ne curò, come ormai non si curava più di niente. Come ormai non si curava più nemmeno di se stessa.

Continuando a singhiozzare, e sentendosi avvolgere sempre più da una crudele oscurità che, prima d'allora, non le aveva mai fatto paura, Helen continuò a ripetere frasi sconnesse fino all'alba, quando alla fine se ne andò, eludendo ancora una volta i controlli.

Voleva soltanto che lui si mostrasse. Voleva soltanto questo. Perciò non avrebbe demorso.

Infatti tornò la sera successiva, e anche quelle che seguirono. Non trovò mai niente, ma non si diede per vinta. Ricordava che le carte avevano predetto che, scoprire la verità, non sarebbe stato facile.

Oramai erano passate tre settimane dalla sua prima visita al cimitero.

Aveva tentato di rimettersi in sesto, anche se soltanto per piccole cose: mangiava un po' meglio, si faceva regolarmente la doccia, e di giorno cercava di dormire qualche ora (sempre facendo lo stesso sogno), ma non era tornata a frequentare l'università, per quella ci sarebbe stato tempo quando quell'incubo fosse finito. Si premurava anche di evitare scrupolosamente la sua compagna di stanza; infatti, Helen entrava in camera soltanto quando Gloria non c'era e si chiudeva subito dentro. Di solito approfittava dei momenti in cui l'amica si trovava a lezione per tornare a dormire o a rifocillarsi. Aveva trovato dei suoi biglietti sulla scrivania della zona comune. Gloria era preoccupata per lei, ma Helen non si era premurata di risponderle. Non le lasciò nemmeno due righe, tanto per tranquillizzarla.

La sua mente ormai viveva altrove.

E quella notte, dopo tre settimane di follia, aveva deciso che sarebbe riuscita ad abbattere i muri che la separavano da quell'altrove. Sapeva che non avrebbe retto ancora per molto, per questo doveva finire tutto.

Comunque dovesse finire.

Questa volta, si preparò per combattere il freddo. Per fortuna non le era ancora venuta la febbre, ma continuava ad avere quella brutta tosse, e Helen voleva evitare di essere costretta a letto. Dunque indossò i guanti, la sciarpa e un cappello di lana, oltre a un pesante cappotto. Questa volta lasciò in stanza il marsupio e preparò uno zaino, dove inserì la solita torcia (e delle batterie di riserva, prima che la luce l'avesse abbandonata nel bel mezzo della notte), un termos con del caffè caldo e una coperta di plaid.

Helen si sentiva pronta, e più sicura che mai.

Ormai non entrava più al cimitero dall'ingresso principale. Era sicura che, così facendo, avrebbe attirato l'attenzione di uno dei custodi, perché nessuno va a visitare la tomba dei propri cari tutti i santi giorni.

Aveva trovato una sorta di passaggio segreto che consentiva di introdurvisi all'interno trovandosi in uno degli angoli più remoti del vasto spazio, e quello era perfetto per lei.

Così facendo, non fu costretta a recarsi nel solito luogo che custodiva le sue notti già nel tardo pomeriggio. Fu lì solo verso mezzanotte.  

Quella notte non avrebbe ammesso un altro buco nell'acqua; avrebbe dovuto trovarlo.

Non si mise però a cercarlo forsennatamente, come aveva fatto nelle settimane precedenti. Voleva conservare le energie e la serenità; voleva che fosse lui ad andare da lei. Era così che doveva essere.

Perciò si limitò a sedersi ai piedi di una vecchia lapide (era davvero vecchia, la data di morte del malcapitato risaliva al 1916) e, dopo aver estratto il plaid dallo zaino, se lo pose sulle spalle. Tirò fuori anche la torcia, ma per il momento non l'accese.

<<Sono qui, mi hai sentito? Sono qui!>> fece ad alta voce, ma senza urlare. Voleva che lui, e soltanto lui, la sentisse. <<Questa notte non mi sfuggirai>> aggiunse poi rivolgendosi più a se stessa, questa volta.

Trascorsero così la prima ora, la seconda e la terza. Finalmente Helen si era decisa a portarsi dietro un orologio dal display luminoso, di modo da non dover essere costretta a riprendere la cognizione del tempo soltanto grazie al sorgere del sole.

Le venne nuovamente voglia di piangere (l'aveva fatto parecchie volte durante le notti già trascorse) quando notò l'ora, e la totale assenza di segnali che ancora le si mostrava alla vista, ma si impose di mantenere la calma. Lui non si sarebbe mai fatto vedere, se lei non fosse stata presente e lucida con la testa.

Fu dopo circa mezzora che sentì quel rumore. Sembrava un suono di passi, ma era attutito da qualcosa. Passi sulle foglie cadute dagli alberi.

In silenzio, si alzò, e seguì la chiamata. Era certa che fosse giunto il momento, ne era pienamente sicura.

Ovviamente, portò la torcia con sé. Si era tanto abituata all'oscurità di quella notte che, quando l'accese, la luce le fece dolere gli occhi come se d'improvviso le forse apparso davanti il sole di mezzogiorno.

Con passo deciso, proseguì.

A propria volta stava calpestando le foglie cadute dagli alberi, ma questo non la distolse da quel suono che udiva tanto chiaramente e che non sembrava né avvicinarsi né allontanarsi. Era come se fosse lì. Era lì.

Di colpo si fermò sui suoi passi. Girò su se stessa, puntando la torcia in ogni direzione. Niente.

Eppure sentiva calpestare le foglie.

Tentò di calmare il respiro che via via si faceva più veloce, intanto seguitava a girare in tondo, sempre facendo attenzione alla porzione di spazio che illuminava di volta in volta.

Quel suono era così nitido.

Dove sei? Dove sei? Dove sei? Continuava a ripeterlo nella mente, sicura che lui potesse sentirla. E la sua voce mentale a tratti sovrastava, e a tratti veniva sovrastata, da quel rumore di foglie.

Stava ancora girando su se stessa, quando si accorse che stava immaginando tutto, che quel suono era solo nella sua testa.

Oh no. No. No. No. Pensò disperata. Non voleva impazzire. Non voleva finire i suoi giorni alla ricerca di uno spettro che non si mostrava.

E forse, il suo scopo era solo quello.

<<Se non vuoi farti vedere, allora lasciami in pace, hai capito? Lasciami in pace!>> urlò con quanto fiato avesse in corpo. Lo scheletro continuava a infestare i suoi sogni, anche se questi ormai si manifestavano solo di giorno, ma perché le appariva costantemente, se poi non si faceva vedere?

Helen era stanca. Anzi, era esausta.

<<Esci subito, maledetto! Oppure vattene dalla mia testa, vattene! Non ho paura di te se è questo che credi. Non ho paura>> gridò ancora, e lo fece talmente forte da sentir male alla gola quando lasciò andare l'ultima parola.

Improvvisamente, poi, vide quell'ombra. Si muoveva tra le lapidi di fronte a lei e le andava incontro. E sentì chiaramente che non era lui, non avrebbe potuto esserne più sicura. Puntò la torcia in quella direzione, ma l'ombra scivolò via, sparendo alla sua vista. Poi tornò ancora.

Così Helen fece ciò che faceva sempre nel suo sogno con lo scheletro: scappò.

Non era lui. Non era colui che voleva parlarle. Forse era stata una trappola, lo era stata fin dall'inizio. Che cosa mai le era entrato nella testa?

Questi erano i suoi pensieri mentre correva a perdifiato. Il cuore sembrava esploderle nel petto, ma Helen non smise di correre.

Non stava piangendo, ma in questo caso avrebbe voluto sentirsi stimolata a farlo.

Detestava quell'aridità che giungeva sempre nei momenti sbagliati.

Eppure, nonostante l'assenza di lacrime, Helen stava morendo di paura. Correva al buio più totale, perché nell'istante in cui era stata presa dal panico aveva lasciato cadere a terra la torcia, senza rendersene conto.

L'ombra che la seguiva era dietro di lei, Helen ne sentiva i passi e la presenza. E il respiro.

Un'altra ombra però le apparve all'improvviso davanti, e la ghermì. Helen urlò con quanto fiato avesse in gola.

Anche l'ombra urlava, mentre la scuoteva.

<<Helen!>> stava dicendo.

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*lady in blue*