world of darkness

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sabato 15 giugno 2013

Rien (A Madame Royale)

Originariamente postato sul vecchio blog il 19 dicembre 2012

Sì, lo so, avete ragione, è un pochino presto per aggiornare di già, ma quello che voglio proporre adesso è un testo che, da quando è stato scritto (a inizio ottobre), ho deciso che avrei pubblicato oggi.
Il perché un po’ lo si può intendere dal titolo: è dedicato a Maria Teresa Carlotta di Borbone, detta Madame Royale, la figlia primogenita della Regina Maria Antonietta e di Luigi XVI, che nacque proprio il 19 dicembre.
Era il 1778, e che fosse nata una femmina fu una delusione per tutti, ma non troppo per la Regina, che la amò ugualmente fin da subito (quando l’ebbe tra le braccia, le disse “Povera piccola, non sei ciò che tutti desideravano, ma non per questo mi sei meno cara. Un maschio sarebbe appartenuto allo Stato. Tu sarai mia. Condividerai le mie gioie e allevierai le mie pene”.), il suo unico problema consisteva nel fatto che ancora non aveva dato un erede al trono del regno, e questo doveva comunque accadere, ma amò lo stesso la sua bambina.
Contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, però, questo scritto non tratta della nascita di Maria Teresa, ma del momento della sua liberazione, quando, nel dicembre del 1795, passò dalle mani dei francesi a quelle degli austriaci, perché fosse condotta a Vienna, alla corte del cugino imperatore Francesco II.
Perché dunque ho voluto pubblicarlo oggi? Perché comunque credo che questa data sia la più significativa e rappresentativa della principessa, e ho creduto che fosse giusto così.
Ho provato a ogni modo a immedesimarmi in questo personaggio piuttosto complesso e a immaginare i suoi pensieri in quei momenti, mentre si trova sulla carrozza che la conduce verso la libertà del corpo, ma non quella della mente.
Devo dire che non è stato per niente facile, forse è per questo che non ho superato le tre pagine di stesura; ma poi mi sono detta che è stato meglio così… è inutile profondersi in inutili parole quando ciò che c’è da dire è breve.
Solo rileggendolo poco fa, per verificare che non ci fossero errori, ho paragonato questo scritto a una sorta di “pagina di diario”, forse sarebbe da vedere sotto questa prospettiva. D’altro canto, in breve, è quel che Maria Teresa sente e pensa in quegli attimi.
E’ chiaramente un testo a cui tengo, anche se non mi soddisfa più di tanto, ma se questo è ciò che ho saputo fare in proposito, va bene così, almeno non ho lasciato nel silenzio il fatto di voler scrivere di questo personaggio storico.
A proposito: devo segnalare che le informazioni riguardo a Maria Teresa che ho inserito in questo scritto sono state spiluccate qua e là sul web, ovunque abbia letto qualcosa su di lei. Anche perché su questa figura non si trova granché..
Detto questo, penso di poter augurarvi buona lettura.
So che è inquietante che il titolo del testo sia in francese (Rien, ovvero “nulla”), ma ho pensato che fosse meglio così…non che poi la cosa mi piaccia molto, ma questa è un’altra faccenda.

 

RIEN

 

A Maria Teresa Carlotta “Madame Royale” (19 dicembre 1788- 19 ottobre 1851)



26 dicembre 1795

Libera.
È ciò che sono da questo giorno, dopo più di tre anni.
Libera; sì, è proprio vero: ho sentito il gelo trapassarmi gli abiti prima di salire in carrozza.
Ho percepito chiara e palpabile l’aria che credevo di aver dimenticato e non me n’è importato niente. Rien.
Ho tanto freddo dentro, che ho lasciato che quello che mi ha colpita qui fuori non mi lasciasse orme addosso. Non voglio che più niente mi scalfisca, ho già sofferto abbastanza.
Eppure adesso non sento niente; neanche quando me l’hanno detto, no, giuro, io non mi sono afflitta per quella notizia.
Mia madre è morta. Mia zia è morta. È morto anche mio fratello. Ma in fondo, che differenza fa? Avevo già perso mio padre, che amavo più di tutti, perché stare male di nuovo?
Voglio avere la debolezza di disfarmi degli affetti.
In fondo, non lo dissi una volta, da bambina? Non mi sarebbe importato se la Regina fosse morta, sapevo bene che non l’avrei rivista mai più, ma questo non mi avrebbe creato alcun disturbo, al contrario, ne sarei stata lieta. Così affermai. (1)
Quindi perché non ancorarmi a questo pensiero anche adesso? Sarebbe meglio.
Lascio che la carrozza mi conduca in silenzio verso la sua meta. Sarà un viaggio lungo, fino a Vienna. Quasi non vorrei andarci, ma non volevo nemmeno restare in Francia.
Desidero stare lontana il più possibile dal luogo che ha distrutto ciò che avevo, lasciandomi sola, con tra le mani … solo il nulla. Rien.
Come ciò che sento dentro.
Non riesco neanche più a parlare (2); in questo momento non voglio nemmeno provarci. A quale scopo dovrei farlo? Non ne vale la pena.
Ho tentato di essere forte fino a questo momento, ho fatto di tutto per non sprofondare nell’abisso annullante del nero profondo, mentre ancora mi trovavo al Tempio, ma ora è diverso.
Lì pulivo la mia cella ogni giorno. Mi occupavo di me stessa affinché non mi intaccassero parassiti e malattie. Camminavo. Leggevo. (3)
Ora non so più che cosa farò, una volta giunta a destinazione.
E da chi sto andando, poi? Da mio cugino, l’imperatore Francesco II, questo lo so, ma che senso ha? Perché dovrei andare da lui? Lui che non ha fatto nulla per impedire che a mia madre toccasse la sorte che l’ha uccisa. Non che mi interessi, no, lo giuro. Non importa se mia madre è morta, non soffrirò per questo, me lo sono ripromessa.
Però credo che andare lì, per me, non abbia senso ugualmente.
Niente ha più senso per me, niente.
Non vedo altro che il vuoto fuori dalla carrozza.
Ma in fondo non importa davvero dove io stia andando; basta essere finalmente lontana da qui, dalla mia prigione, dai miei incubi.
La mia solitudine, quella credo che resterà, ma forse è meglio così: da sola potrò annegare meglio il marcio che mi è nato dentro.
A mia madre non voglio pensare, no, perché non soffro per lei. Per lei non sento niente. Ma mi manca mio padre, di questo sono sicura. O forse è solo l’unico sentimento che sono disposta ad accettare, perché del re conoscevo già la sorte, mentre per molto tempo ho ignorato quella degli altri. E se posso perpetrare in me una sofferenza già esistente, non posso accoglierne nel mio animo di nuove: oramai non ho più lacrime da piangere, mi sento arida e vuota, non posso più provare pena per nessuno che non sia mio padre. (4)
Ho superato il limite, e adesso basta. Sono l’unica superstite della mia famiglia, la Provvidenza ha voluto così, lo devo accettare, ma non voglio più guardarmi indietro, non adesso, e non dovendo affrontare tutto in una volta sola.
Ma se la notizia della morte di mia madre non mi ha turbata (lo giuro, non ho provato niente. Non provo niente tuttora), sono ancora più indifferente nei riguardi di quella di mio fratello.
Sempre che io possa ancora considerare Luigi Carlo in tal guisa: provo una profonda rabbia e risentimento quando nella mente rivedo il suo volto.
E disgusto anche.
Una parte di me mi dice che questo avviene per quello che il fanciullo affermò oramai due anni orsono a proposito di nostra madre e nostra zia, ma io desidero ardentemente zittire quel lato della mia coscienza. Perché questo mi porterebbe ad ammettere che amavo mia madre, e non voglio che sia così. Io non ho affetti nel cuore, porto con me solo il ricordo di mio padre. (5)
E la carrozza prosegue in questo gelido giorno di fine dicembre. Il nuovo anno segnerà un nuovo inizio? Un ritorno alla vita? Non credo, e sinceramente spero di no.
Non penso che sarei mai in grado di tornare a vivere, non sul serio.
Guardo fuori dalla carrozza, vedo la terra svizzera dove sono passata dalle mani dei francesi a quelle degli austriaci, e mi viene in mente che vorrei andarmene, perdermi da qualche parte e proseguire con la mia esistenza sotto un falso nome, dimenticando ogni cosa.
O forse rinchiudendomi da qualche parte, nella mia solitudine, ad attendere che l’Onnipotente scelga di portare via anche me, da questo mondo. (6)
Lo penso e l’idea si tramuta in desiderio. Quanto vorrei non essere più Maria Teresa Carlotta, mai più!
Addio Maria Teresa! Addio Madame Royale! Addio Mousseline! (7)
Ma Mousseline a dire il vero non esiste più da molto tempo ormai, come Chou d’amour (8).
Ora esiste soltanto il nulla, perché non so più che cosa sono.
Si è perso tutto nelle tenebre della rivoluzione, lì dove è andato perduto anche quel fratello che voglio rinnegare con tutta me stessa, anche se questo non avviene per quel motivo. No.
So comunque che non potrei scappare, anche se alla mia persona sostituissero un’altra fanciulla; perché potrei tentare di dimenticare, ma non arriverei lontana.
Le catene bruciano e le ho sempre attorno ai polsi.
Voglio il nulla, e non lo raggiungerei fuggendo e ponendo qualcun’altra al posto mio.
Sono certa che il nulla mi attende lì dove sto andando, e di sicuro ci saranno anche i miei incubi, nella stanza in cui dormirò, mi sembra già di sentirli avvicinarsi come mostri minacciosi che si formano solo quando cala il sole.
Ma quelli ci sarebbero ovunque.
Per quanto tempo vedrò la mia prigione la notte? Per quanto tempo sognerò quella cella che spazzavo ogni giorno affinché la sporcizia non si accumulasse, e per mantenere attivo il corpo e la mente? Forse è meglio che non me lo domandi, così come non voglio soffermarmi a pensare sul destino dei miei familiari, al di fuori di quello di mio padre il re.
Io vorrei davvero fuggire e inseguire il nulla più totale e le tenebre, ma proprio non posso, perché ne finirei schiacciata. Devo continuare a essere me stessa, anche se non è facile, perché non posso cancellare il fatto di chiamarmi Maria Teresa Carlotta, di essere la figlia dei defunti reali di Francia.
Non posso, anche se vorrei. E vorrei perché oramai non conta più nulla.
Nulla come quello che sento. E come quello che vedo. Rien.
Non posso rinnegare i miei genitori, anche se non voglio pensare a mia madre.
E mi domando come quest’ultima abbia affrontato la ghigliottina; mi chiedo se avrà pianto. Forse sì, ma non nell’ora fatale, non credo. Piuttosto me la immagino fiera e orgogliosa, con gli occhi aridi e lo sguardo duro. Perché mia madre non avrebbe mai dato ai suoi carnefici la soddisfazione di vederla cedere e poi è sempre stata così controllata. (9)
Ricordo di averla vista soltanto una volta perdere il suo sangue freddo: fu quando svenne dall’orrore, per aver visto la testa della principessa de Lamballe issata su una picca.
Quella fu davvero l’unica volta in cui perse il controllo e la sua forza.
Ma mia madre amava i suoi amici molto più di quanto amasse se stessa, per questo non riesco a immaginarmela in preda al panico nei suoi ultimi momenti.
Credo sia stata forte.
Ma in fondo per quale motivo sto a pensarci su? Che me ne importa? A me non interessa nulla di mia madre, né di ciò che ha fatto negli ultimi minuti della sua vita.
Per me non esiste, è un nulla.
Non voglio pensare a lei, anche perché non fu saggio né giusto, da parte sua, amare tanto Luigi Carlo: quel figlio indegno. Che collera! Che disprezzo! Non riesco a vedere il suo volto nella mia memoria senza indignarmi. Sono contenta che sia morto, sì, anche se questo mi impone di essere rimasta sola, anche se con la sua dipartita non mi è rimasto nulla.
E anche se è spirato ad appena dieci anni.
Questo dovrebbe per caso indurmi a tornare sui miei passi, e riconsiderare la sua situazione? No, in nessun modo. Luigi Giuseppe non aveva ancora compiuto otto anni quando ci lasciò, e lui non sarebbe mai stato tanto vigliacco! Sofia Elena mancò che non aveva nemmeno raggiunto il suo primo compleanno, anche se, a dirla tutta, non provo pena per lei, perché non feci nemmeno in tempo ad affezionarmi. Solo mia madre la pianse, perché lei amava chiunque le fosse amico, e per lei Sofia lo sarebbe diventata. (10)
Ma ora non mi importa nulla del dolore di mia madre, né di quello di nessun altro.
Sono sicura di aver già dimenticato il mio; ora io non sono altro che fredda come il mio dicembre.
Come questo dicembre.
In me esiste soltanto il vuoto.
E giuro che non perdonerò mai mio fratello, non m’importa per quale motivo io lo odi così tanto, so soltanto che non posso più pensare a lui. Non posso averne pietà; forse, per la sua anima, l’avrà provata il Signore.
Io invece lo odio dal profondo, voglio cancellare dalla mente il ricordo di quel bambino.
Anche perché, tutto ciò che riesco a ricordare di lui, è il momento in cui ebbe il coraggio (o la sfrontatezza) di dirlo davanti a me. Di accusarle davanti a me.
Non che mi importi di mia madre, ma quelle erano tutte menzogne, e atroci per giunta.
Le parole che uscirono dalla bocca di Luigi Carlo, quel giorno, non furono altro che una bestemmia; e non mi importa nulla di che cosa gli fecero per indurlo a quella dichiarazione infame, non voglio neanche saperlo.
So che non posso tollerare il suo ricordo.
E poi non voglio che esista più alcun legame dentro di me; posso ammettere soltanto il ricordo di mio padre.
Per cui lascio che la carrozza prosegua e scelgo di dimenticare ogni cosa; di restare me stessa, ma di non provare più niente.
Mi lascio condurre verso la destinazione come un corpo vuoto, come un essere annullato dalle sventure.
Forse a Vienna riprenderò a parlare, forse prima o poi troverò uno sprazzo di serenità tra quelle mura, ma in questo momento non mi interessa nemmeno pensarci.
In questo istante so soltanto che mi sto dirigendo senza indugi verso il nulla a cui ormai appartengo.
Non voglio ricordare i morti, non voglio piangerli.
Voglio anche dimenticare lo splendore della mia infanzia, perché anche quello si è dissolto nel vano e nell’invisibile, come tutto ciò che esistette in me prima che quest’incubo si facesse reale.
Ora è un incubo calmo, ma penso che non lo supererò mai.
Esiste ancora la vita, qui dinanzi a me. Solo per me. Sono rimasti tutti indietro. Mi hanno lasciata sola, tutti quanti.
Non mi resta che proseguire, che guardare avanti, dentro gli occhi di questo nulla eterno.
E, soprattutto, non voglio pensare a mia madre.
3 ottobre 2012
****
(1) Questa frase si rifà a ciò che ho letto nella biografia di Maria Antonietta di Antonia Fraser: a causa dell’educazione severa che la Regina imponeva alla figlia affiché fosse mitigato il suo carattere “spigoloso” e altezzoso, la bambina non l’amava molto, arrivando persino a sostenere che non le sarebbe importato se la madre fosse morta. Lei sapeva che cosa significava, “quando una persona muore non la si vede più, e lei non avrebbe più visto la Regina. E non le sarebbe dispiaciuto, così avrebbe potuto fare quel che voleva.”
(2) Tra le varie informazioni per l’appunto spiluccate in internet c’era anche questa: Maria Teresa fu incapace di parlare per diverso tempo; in Austria dovette poi sottoporsi ad allenamenti di lettura per poter riprendere.
(3) Anche questo appreso grazie alle ricerche sul web. Maria Teresa si diede da fare per non sprofondare nella sporcizia e per non impazzire, al Tempio. Al contrario di ciò che fece suo fratello.
(4) Maria Teresa amò molto suo padre, sin dall’infanzia. Ho avuto l’idea che la sofferenza per la morte di quest’ultimo fosse l’unica che potesse accettare, almeno in quel momento, anche perché si trattò della persona a cui era stata più affezionata.
(5) Maria Teresa non perdonò mai al fratello Luigi Carlo le accuse d’incesto che questi inflisse alla madre e alla zia; in questo caso però, ho pensato che la povera ragazza non fosse ancora in grado, appena uscita dall’incubo, di accettarne la vera motivazione, dato che, secondo la mia concezione, questa volle fuggire dagli affetti.
(6) Le ultime due frasi si riferiscono alle varie storie (che per me non sono altro che dicerie) secondo le quali la vera principessa sarebbe stata scambiata, durante il viaggio, con un’altra fanciulla che la impersonò fino alla morte, mentre Maria Teresa visse in seguito sotto falso nome. Una delle più fantasiose tra queste “favole” racconta di una certa “duchessa (o dama, non ricordo) in nero”, la quale sarebbe vissuta isolata in una torre o castello, e sarebbe andata sempre in giro velata per non farsi riconoscere, ma che in realtà sarebbe stata la vera Maria Teresa Carlotta. Non so voi, ma io sento odor di frottola.
(7) Mousseline era il nomignolo affettuoso con il quale la chiamava la madre.
(8) Chou d’amour, invece, fu il nomignolo dato da Maria Antonietta a Luigi Carlo.
(9) Mi piaceva l’idea che, conoscendo a fondo la madre (alla quale si avvicinò sicuramente molto durante il periodo della sua adolescenza, che non fu certo rosea), Maria Teresa riesca a sentire, anche volendone rinnegare la persona, come sua madre sia andata effettivamente incontro alla morte.
(10) “Non dimenticate che sarebbe stata mia amica”: queste furono le parole di Maria Antonietta alla morte dell’ultimogenita, la principessa Sofia Elena, quando si tentò di consolarla facendole presente che la bambina era morta che era ancora molto piccola, come a voler dire che per questo non si poteva provare un dolore tanto grande. Appreso dalla biografia della Regina di Antonia Fraser. Anche se, per scrivere questo, ho detto un’impreciosione: secondo la stessa biografia della Fraser, Maria Teresa fu molto addolorata per la perdita della sorellina.
**
Grazie a chi vorrà dare un’occhiata a questo breve lavoro che però per me significa parecchio.
Buona fine del mondo per venerdì (dedicato ai creduloni)
Buon Natale e buone feste in generale (dedicato a chi è un po’ più intelligente) :D
*lady in blue*

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