world of darkness

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lunedì 30 giugno 2014

JUNE OF GHOSTS 3: Joyland (Stephen King)

Buongiorno!!
Ovviamente sono di nuovo qui a rompere, per concludere l'assurdissima raccolta denominata JUNE OF GHOSTS, anche se bisogna ammette che in questa puntata i fantasmi sono piuttosto immaginari, o per lo meno, ci sono solo per sentito dire.
In teoria avrebbero dovuto esserci, eh, ma facciamo finta di niente.
Si vede che l'egregio signor King, scrivendo questo romanzo, si è allegramente perso per strada e si è dimenticato che genere di storia aveva intenzione di scrivere, e anche a che cosa si dedica di solito.
O magari no, chi lo sa.
Ma va bene, direi che tanto vale postare il commento relativo a Joyland senza girarci troppo intorno.
Come si è già potuto intuire dalla premessa, questa recensione non ha proprio nulla di positivo, quindi non la consiglio troppo a chiunque abbia apprezzato questo romanzo.
E' strano anche per me aver commentato negativamente un libro di Stephen King, ma insomma, quando ci vuole ci vuole.
L'unica speranza è che si tratti soltanto di uno scivolone ... fortunatamente, l'ultimo scritto dell'autore (Doctor Sleep, la recensione in proposito prossimamente su questo blog ^^) sembra essere vecchio stile... E i lettori intelligenti ringraziano.

***



JOYLAND
Di Stephen King

Inizio dicendo che da questo libro mi aspettavo decisamente di più, come mi aspettavo di più dall'autore. Sarà una questione di impressioni personali, ma l'ultimo romanzo dell'acclamato Re non mi è piaciuto proprio.
Partiamo dal principio: il protagonista, che racconta la storia in prima persona scrivendo le sue memorie, è tale Devin Jones che, nell'estate e nell'autunno del 1973 lavorò al parco divertimenti di Joyland, nella Carolina del Nord. Lui viene dal Maine, dove ha lasciato il padre, il lavoro da schifo alla mensa e la fidanza Wendy che è pronta a partire allegramente per Boston.
Dunque: Wendy è brutta e cattiva e appena ne ha l'occasione molla il caro Devin per un altro, spezzandogli il cuore eccetera eccetera. Già di questo aspetto poteva non fregarmene particolarmente. Insomma, non ho certo voglia di leggere delle lagne di un ventunenne alle prese con le delusioni scaturite dal primo amore andato male. Mi domando però come mai a Devin, tradito, sia concesso tanto di fare la vittima, mentre quando a subire il tradimento sono le donne sembra tutto molto più normale. Bah.
Devin Jones, soprannominato fin da subito Jonesey al parco divertimenti, entra a far parte della grande famiglia del carrozzone, conoscendo i personaggi che più saranno influenti nel corso della storia: il signor Esterbrooks, il proprietario del parco, Fred Dean, l'addetto all'amministrazione e all'assunzione del personale, Lane Hardy, uno dei manovratori di giostre che incanta tutti con la sua parlantina da luna park e che, per così dire, prende Devin sotto la sua ala (diventerà anche il suo caposquadra, per il quale effettivamente Devin lavorerà) e Rozzie Goldman, ovvero Madame Fortuna, come è definita a Joyland, la chiromante. Si dice che il novanta per cento di quello che dice siano idiozie, ma che per il restante dieci ci prenda eccome. Rozzie dice a Devin di stare lontano dal Castello del Brivido, unica attrazione al buio di Joyland, stile casa dell'orrore, dove pare ci sia lo spettro di una ragazza uccisa che si mostra solo ad alcuni dipendenti del parco. Gli dice anche che nel suo futuro vede una bambina con un cappello e una bambola e un ragazzino con un cane. E che uno dei due avrebbe un potere speciale, anche se non sa dirgli quale.
Per saperne di più sullo spettro, Devin chiederà maggiori informazioni (come gli è stato consigliato) alla sua futura padrona di casa, che gli racconterà di un delitto avvenuto proprio nel Castello del Brivido quattro anni prima. C'è anche qualche foto della vittima (Linda Gray) insieme al suo assassino, scattata dalle cosiddette Sirene di Hollywood, ragazze impiegate nel parco per rompere le scatole scattando fotografie ai bifolchi (da chiamare assolutamente frollocconi), tentando poi di vendergliele. Ma da queste istantanee si vede proprio poco, anche perché l'uomo misterioso indossa berretto da baseball e occhiali scuri. Ma ha un tatuaggio raffigurante un aquila o un falco sulla mano. Questo sarà senz'altro un dettaglio importante, ma non nel modo in cui si potrebbe pensare.
Bene, dato il quadro generale della situazione, si penserà (come quando l'ignaro lettore legge la trama del racconto): beh, sembra una bella premessa per una storia di fantasmi, come fa a sembrare un brutto libro? Sono d'accordissimo, parlasse di sto benedetto spettro, con la maestria di King in questo genere di cose, sono certa che sarebbe stato un romanzo dal quale non staccarsi un attimo. Ma si dà il caso che l'adorabile fantasma di Linda Gray non solo passi in secondo piano, ma direi piuttosto in terzo se non in quarto o in quinto.
Non per niente la vediamo (per così dire) non più di mezza volta: quando Devin e gli amici che lavorano con lui, Tom e Erin, entreranno quasi per scherzo nel Castello del Brivido nel loro giorno libero, e sarà proprio Tom, quello che non credeva all'esistenza dello spettro, a vedere la ragazza defunta. Fantasia delle fantasie, vede colui che non crede.
Dunque vi domanderete giustamente: ma se questo libro parla così poco del fantasma come dici, quale mai sarà l'argomento principale? Il guaio è che questa è una domanda che mi pongo anch'io.
Mi sono ritrovata a sfogliare le pagine continuando a pensare: Avanti signor King, più fantasma e meno chiacchiericcio inutile! Arriviamo al punto, su! Ma superata la metà del testo, ho capito che le mie erano vane speranze. Ho letto altri libri di King che iniziavano un po' moscetti per poi andare alla grande nel seguito, ma questo non è stato certo il caso.
Comunque sia assistiamo all'incontro del caro Devin con la bambina di cui gli parlava Rozzie (niente di importante ai fini della storia, se non per marcare l'idea che Rozzie qualche volta ci prende, e per farci capire meglio che Devin è il protagonista e quindi l'eroe eccetera eccetera), e poi a quello del ragazzino con il cane.
Ora non so dire se mi sia stato più antipatico Devin o Mike (il ragazzino, per l'appunto). Mi ha fatto sorridere un commento trovato sul web, dove si sosterrebbe che è impossibile non provare simpatia per il protagonista. Il che è strano, perché io ci sono riuscita benissimo. L'ho trovato odioso fin dalla prima pagina: la vittimina che viene tradito dalla fidanzata che è una brutta serpe (come tutte le ragazze, quando si comportano come gli uomini), il ragazzo modesto barra eroico barra amato da tutti barra bravo a fare qualunque cosa faccia per la prima volta. Insomma, un personaggio così odioso (e l'egregio signor King mi perdoni l'irriverenza...ma scontato. Molto, molto scontato) come più odioso non si può. E salva la bambina dal soffocamento con l'hot dog, e salva Eddie Parks (un altro tizio che lavora a Joyland, volutamente antipatico, irritante e stupido) da un attacco di cuore, e diventa il più bravo di tutti a impersonare Howie, la mascotte del parco per cui i bimbi vanno matti, e a Joyland è adorato da tutti. E che noia!! Più fantasma e meno chiacchiericcio inutile, signor King!! Su!!
Infine il colpo di grazia: arriva Mike Ross. Il ragazzino sulla sedia a rotelle affetto dalla sindrome di Duchenne che è tanto maturo, tanto adorabile...e tanto sensitivo. Con lui ci sono il cane di cui parlava Rozzie e la madre Annie. Questa prima si comporta in modo seccato nei confronti del ragazzo che inizia allegramente a rompere le scatole, poi lo accetta e gli si avvicina. Per giungere poi, più avanti, alla scontata conclusione della faccenda. Scontata e anche disgustosa e irritante, se posso aggiungere.
Sta di fatto che Mike fa capire a Devin di essere in possesso di questo potere speciale, e più volte gli suggerisce la frase non è bianco, che nemmeno lui sa a cosa si riferisca di preciso, ma che a quanto pare ha a che fare con l'omicidio del Castello del Brivido.
Comunque sia, arriva il momento di salutare allegramente il lavoro estivo, ma Devin decide che sì, meglio restare a Joyland ancora un po' e mollare l'università. In fondo non gli va giù che Tom abbia visto lo spettro e lui no. Al che il lettore si domanda: Arriviamo finalmente allo spettro, signor King? Finalmente ci siamo? Ci ha fatto aspettare così a lungo, ma il bello sta per arrivare? E invece si tratta come sempre di vane speranze.
Dunque Devin rimane al parco, ma Erin e Tom se ne vanno, e il nostro protagonista noioso chiede a Erin di fare delle ricerche per lui a proposito dell'omicio di Linda Gray. Quando, più tardi, durante l'autunno, la ragazza tornerà a trovare l'amico, gli rivelerà quel che ha scoperto, ma oramai mancheranno non più di un centinaio di pagine alla fine del romanzo, e c'è ben poco da parlarne.
Anche perché, prima della conclusione dove si svela finalmente sto benedetto assassino, c'è la visita a Joyland che Devin regala a Mike per farlo contento, nonostante gli iniziali categorici rifiuti di Annie. E qui proprio non ho capito, anche se magari è perché sono strana io. Ma se io avessi dodici anni, fossi bloccata su una sedia a rotelle, e mi portassero a un parco divertimenti per la prima volta nella mia vita a farmi fare le giostre per i bambini piccoli perché, per via delle mie condizioni, non posso pretendere di più, mi sentirei umiliata e preferirei stare a casa, altro che felice come una Pasqua, come invece si dimostra Mike.
Mike e il suo cavolo di aquilone, che un giorno Devin gli ha spiegato come far volare (c'erano dubbi sul fatto che Devin ci sarebbe riuscito, dando così una gioia infinita al bambino disabile? Ma figuriamoci, lui è l'eroe degli eroi).
E così arriviamo alla conclusione: dopo uno strano avvenimento nei pressi del Castello del Brivido durante la visita a Joyland di Mike, dopo aver rimuginato a lungo sulle informazioni ricevute da Erin, Devin Jones si fa improvvisamente Sherlock Holmes e risolve il crimine (o meglio, i crimini), proprio nel momento in cui il dolce assassino sceglie di telefonargli...e di dargli appuntamento a Joyland.
Ancora una volta eviterò di raccontare il finale, ma non è che ci voglia molto o sia particolarmente eclatante. Sappiamo già che il protagonista non può certo essere ucciso, visto che sta scrivendo le sue memorie.
Così resta solo una cosa (piuttosto ovvia) da domandarsi.


Niente in più da dire, questo libro non mi ha detto assolutamente niente, anzi, l'ho trovato parecchio banale e noioso. Ho continuato a leggerlo tanto perché 1. le cose incomplete mi danno sui nervi 2. era pur sempre un romanzo di Stephen King, per cui era giusto concluderlo 3. volevo sapere in ogni caso chi fosse l'assassino. Speravo almeno in un colpo di genio nel finale, ma proprio... soprattutto per la storia del non è bianco. Ma per favore!!
L'unica cosa divertente, per me, è stata la Parlata di Joyland, secondo la quale i bifolchi che frequentano il parco divertimenti sono i frollocconi, o dove i bagni sono chiamati i cacatanto.
Mi sono tenuta l'espressione frollocconi, che penso userò per un po'. Per il resto questo libro mi ha proprio delusa.
Spero di non essere sembrata esageratamente offensiva in questo commento (d'altro canto ho letto una sola recensione quasi negativa per questo romanzo, le altre erano tutte entusiastiche), ma forse il mio disappunto in proposito è dovuto specificatamente al fatto che da questo autore mi aspettavo parecchio di più, qualcosa nel suo stile che, in questo caso preciso, sembra proprio essersi perso per strada.
Insomma, se anche i grandi autori e i grandi geni cominciano a scrivere storielle noiose dove dobbiamo sorbirci il protagonista lagnoso ed eroe della situazione, che cosa ci resta di bello da leggere? E' deprimente.
Altra faccenda particolarmente antipatica: che non esista una suddivisione in capitoli possiamo anche lasciarlo correre, anche se è fastidioso, ma che i paragrafi siano separati gli uni dagli altri da degli improponibili cuoricini...quello no! Il Re dell'horror non può farmi una cosa simile. Anche se la cosa mi ha dato un'ideuccia graziosa: in quel che scriverò d'ora in poi (sempre che riesca a scrivere qualcosa, non ci spero troppo ormai. NDR) saranno aboliti gli asterischi per separare i paragrafi. Al loro posto... i teschietti con ossa scrociate!
Ovviamente l'idea è nata dalla frase mentale I cuoricini signor King? Ma non sarebbero stati meglio degli adorabili teschietti? Beh, visto che lei non apprezza l'idea, vorrà dire che li userò io.
Ma meglio non far troppo caso ai miei deliri verso l'autore.

Concluderei dicendo: una lettura deludente, consigliata a chi non ha voglia di impressionarsi e non vuole impegnarsi con una storia forte. Adatto a chi ha bisogno di evadere dalla realtà per mezzo di protagonisti eroici e noiosi.
Chiedo seriamente scusa al signor King, ma mi dispiace, questo libro non ha nulla di lui e del suo genio.
Ma sicuramente (come ho già potuto constatare) piacerà a molti altri lettori.  
Mi domando che cosa si siano fumati coloro che l'hanno paragonato a quel capolavoro del Miglio Verde. Siamo lontani anni luce, ragazzi.
Mettere sullo stesso piano John Coffey e Mike Ross proprio non funziona.

Detto questo, a ognuno l'eventuale lettura e le eventuali opinioni personali. Chissà, magari ho solo detto un mucchio di idiozie e non capisco un tubo.

Voto finale: 4. E mi sento generosa. 

***

*lady in blue* 

venerdì 20 giugno 2014

JUNE OF GHOSTS 2: Kafka sulla spiaggia (Murakami Haruki)

Buonasera!!
Eccomi qui con la seconda puntata strampalata di JUNE OF GHOSTS... a dire il vero avrei preferito postare il tutto in giornata, ma sì, ieri sera ho brillantemente deciso di rovinarmela, ancora devo capire con quale assurdo criterio, ma dettagli.
Bando alle ciance.
Come anticipato, anche il post di oggi riguarda il commento di un libro, sempre letto circa un anno fa. Ora non ricordo esattamente quando, ma mi pare che lo stessi leggendo proprio in estate.
Un libro complicato, per certi versi, soprattutto perché possiede un forte lato onirico e profondo. Un libro senz'altro affascinante, anche se, per certi versi, davvero allucinante. Si potrebbe benissimo definire un libro fumato, cosa forse ampiamente dovuta al contesto giapponese da cui proviene.
Per far parte della raccolta JUNE OF GHOSTS, ovviamente, devono c'entrare necessariamente i fantasmi, anche se, bisogna dirlo, il tutto con un po' di fantasia e in maniera un po' balorda. Insomma, anziché i soliti spettri, qui troviamo lo spirito vivente o quella strana entità del ragazzo chiamato Corvo.
E' difficile dare un'idea in proposito dopo tutti questi mesi dalla lettura (già era stato complicato allora scrivere questo commento), ma ricordo che ogni tanto dava la bella idea di una frullata o centrifuga mentale, che infine lasciava il lettore carico di domande e perplessità. Ma anche con una sorta di piacevole sensazione, come con ogni testo che valga la pena leggere.
Ora la pianto, e vi lascio al commento in questione, fortunatamente già preparato e riguardato.
Oggi temo di non essere troppo in grado di formulare frasi di senso compiuto... ancora mi chiedo perché mi sia voluta così male da rovinarmi la giornata...bah! Misteri inspiegabili ...



KAFKA SULLA SPIAGGIA
Di Murakami Haruki
“Tamura Kafka,
nella vita c’è un punto in cui
non si può più tornare indietro.
E poi c’è un punto,
ma i casi sono molto più rari,
in cui non è più possibile
andare avanti.
Quando questo accade,
 che sia un bene o un male,
l’unica cosa che possiamo fare
è accettarlo in silenzio.
È così che viviamo.”

(Da pagina 178 del testo)


Da dove si può cominciare a commentare un libro come questo? Senz’altro è una bella domanda.
È difficile trovare un appiglio, così come spesso non si riesce a fare durante la lettura.
Da una parte abbiamo Tamura Kafka, un ragazzo quindicenne che scappa di casa perché vuole sfuggire alla profezia lanciatagli dal padre, ma forse anche perché sente di non poter più restare lì.
Inconsciamente, penso sia alla ricerca di qualcosa, forse per colmare il vuoto dell’abbandono subito dalla madre quando era piccolo. Kafka ovviamente non è il suo vero nome, ma non è stato scelto per via dello scrittore (meno male, perché avrei preferito evitare scarafaggi giganti), ma perché in ceco significa corvo. Ed è un chiaro richiamo al ragazzo chiamato Corvo, che appare più volte nel corso del libro, come parte integrante dello stesso Kafka. A volte le loro figure sono ben scisse, quasi si trattasse di due io differenti. A volte è difficile capire dove inizia uno e dove finisce l’altro.
Ma il ragazzo chiamato Corvo parla sovente con Kafka, gli dice che deve essere il quindicenne più tosto del mondo. Ma lo redarguisce anche verso ciò che (anche se in sogno) non avrebbe dovuto fare, perché così facendo, non ha certo superato la maledizione/profezia di suo padre.
Dall’altro lato, invece, quasi fosse dalla parte opposta dello specchio, c’è Nakata, uno strano vecchietto che sappiamo essere un po’ stupido a causa di uno strano incidente (del quale mai viene fornita una spiegazione, sebbene sia narrato che cosa accadde, ma quale fu la causa scatenante rimane un mistero) subito quand’era bambino. Nakata non sa leggere, non è in grado di fare ragionamenti né di avere ricordi. Però sa parlare con i gatti, e inizialmente lo troviamo così, a parlare prima con uno poi con l’altro felino, mentre si trova alla ricerca di un micio scomparso.
Nakata è stato incaricato dai padroni del gatto di ritrovarlo, in quanto nella zona è risaputa la sua abilità nell’avvicinarsi a questi animali.
E Nakata trova il gatto in casa di questo strano individuo che si fa chiamare Johnny Walker (come quello del whiskey, ma ovviamente, da brava astemia, io non lo conoscevo), il quale sostiene di non essere malato di mente mentre squarta i gatti e taglia loro la testa, asserendo di dover prendere le loro anime per costruire un flauto che non si vede. Per farlo deve seguire un mucchio di regole strampalate, tra cui quella che declama che i gatti in questione debbano soffrire atrocemente.
Certo, concordo: non è malato il tizio, no! Sta benissimo! Ma Johnny Walker ha chiamato a sé Nakata perché vuole essere ucciso da lui. Il simpaticone in questione a quanto pare non può uccidersi da solo, anche questo fa parte delle regole. E così, mentre Johnny Walker fa fuori tre gatti davanti al vecchietto, il lettore si ritrova a incoraggiare Nakata perché prenda una benedetta arma e massacri il dolce individuo, cosa che infine avviene.
Ma poi ci si domanda, poco dopo, quanto ci sia di reale in questa storia dei gatti massacrati.
Perché Nakata si risveglia fuori dalla casa di Johnny Walker, con i due gatti che ha salvato, senza essere macchiato di sangue.
Sarà invece Kafka a risvegliarsi in un posto che non conosce, con del sangue addosso.
E una parte della profezia diceva che sarebbe stato lui a uccidere suo padre.
E il seguito? Di facile intuizione, se si pensa a Edipo. Anche se c’è una piccola aggiunta.
Da una parte, Nakata prova ad andare dalla polizia per costituirsi, ma l’agente di servizio non lo prende sul serio, così inizia il suo viaggio verso la città di Takamatsu, nello Shikoku. Lo stesso luogo raggiunto da Kafka, senza che nemmeno il ragazzo sapesse per quale motivo aveva scelto questa destinazione.
Non credo che la fuga di Nakata sia tanto legata a ciò che ha fatto, come è segnalato sulla quarta di copertina, piuttosto direi che lo fa perché comincia a sapere che c’è qualcosa che deve fare; anche se scopre il passo successivo da compiere solo dopo essersi completamente lasciato alle spalle quello precedente. Riceverà aiuto da Hoshino, un camionista che inizialmente si ritroverà a dargli un passaggio perché Nakata gli ricorda il nonno morto da poco, ma poi il legame tra i due diventerà qualcosa di più, e infatti sarà proprio Hoshino, alla fine, a chiudere il lavoro iniziato da Nakata.
Invece, per quanto riguarda Kafka, questo se ne va dall’albergo dove risiedeva dopo essersi svegliato con i vestiti sporchi di sangue che non sapeva da dove venisse. Dopo una prima notte di ospitalità da parte di Sakura, una ragazza incontrata sul pullman che l’ha condotto lontano da casa, (la quale, benché sia un personaggio secondario, ha la sua importanza, anche per la profezia), finisce per diventare parte integrante della biblioteca Komura. Kafka aveva iniziato a frequentare questo luogo già da subito dopo il suo arrivo a Takamatsu. Preso sotto l’ala di Oshima, l’uomo barra donna barra gay barra non si sa bene cosa sia che lavora presso la struttura, inizia, per così dire, la sua nuova vita. Ed è qui che apprende la notizia della morte di suo padre. Capiamo che si tratta dell’uomo ucciso da Nakata, ma sugli articoli di giornale correlati non si fa menzione a gatti squartati e decapitati, quindi si collega questo omicidio al sangue che il ragazzo si è trovato addosso.
Lui stesso teme di averlo fatto in sogno, anche se non ne serba memoria.
Ma che cos’è esattamente Kafka sulla spiaggia, invece? È una canzone, ed è anche un quadro. Entrambi sono legati alla direttrice della biblioteca, la signora Saeki, che vive nei suoi ricordi.
Ed è di quella parte della signora Saeki, la ragazza di quindici anni vestita d’azzurro che, come spirito vivente, ogni notte si presenta in camera di Kafka per rimirare quel quadro, di cui inizialmente il ragazzo si innamora.
In uno dei versi di Kafka sulla spiaggia si parla dell’enigmatica e misteriosa Pietra dell’entrata, ed è questa pietra che Nakata scopre di star cercando attraverso il suo viaggio. Un’entrata che deve essere aperta e poi richiusa, perché tutto torni ad essere come deve.
Ma cosa troviamo poi alla fine di questo libro? Qualcosa di fuggevole, pensieri e metafore, ma anche una notevole crescita del personaggio più giovane. Ma non risposte, di quelle nemmeno l’ombra. Né di interpretazioni. Quelle sono tutte lasciate al lettore.
Questo libro è metaforico, visionario, onirico e filosofico. E anche molto profondo. Viene automatico, in certi momenti della lettura, domandarsi dove effettivamente si stia andando. Oppure sembra di trovarsi improvvisamente fermi, mentre tutto il resto del mondo si muove. Sembra di dover cogliere un pensiero, un significato, ma nella sua pienezza e concretezza poi non lo si riesce effettivamente ad afferrare. O forse è solo che questa lettura fa male alla sanità mentale :D
Qualche dubbio sul fatto che l’autore si sia rollato e spippacchiato cinque o sei cannoni devo dire che sorge, questo è certo. Si tratta però di un libro che, in qualche modo, scava nella mente, e non solo dei personaggi presentati, a mio parere. Ma un po’ di tutti. E per leggerlo, ci si deve fermare.
È indispensabile.
Mi è piaciuta molto l’atmosfera che nasce dal luogo della biblioteca Komura: un luogo tranquillo e silenzioso, dove ci si può immergere nella lettura come parte integrante di essa. Viene voglia di trovarsi davvero in un luogo simile. Dà quasi l’idea di una fuga dalla realtà.
Un altro luogo importante è quello della montagna, o meglio ancora della foresta che si trova su di essa, dove Kafka, accompagnato da Oshima in due diverse occasioni, trascorrerà alcuni giorni, vivendo nella casa di quest’ultimo. E, alla fine, sarà proprio immergendosi in questa foresta che troverà l’entrata. L’entrata che è stata aperta e che presto verrà richiusa.
Questo è un libro in cui tutti i personaggi sono costretti, in un modo o nell’altro, a fermarsi a pensare insieme al lettore. Persino Hoshino, il camionista che diventa l’accompagnatore di Nakata, si ritroverà a farlo, avvicinandosi a un mondo (quello della musica classica) che prima non aveva mai considerato.
E forse è Nakata l’unico a non pensare, anche perché lui non ne è in grado. Lui deve solo ricongiungersi con quella parte di sé che ha perso quand’era bambino.
Per non dimenticare niente, questo è anche un libro che non ammette censure. D’altro canto, si sostiene che la responsabilità cominci nei sogni, e nei sogni non si può nascondere o censurare niente; e, come ho già detto, in questo testo è molto forte il lato onirico.
Per concludere, che cosa si potrebbe dire? Come per l’inizio, anche questo passaggio non è semplice. Kafka sulla spiaggia è senz’altro una lettura diversa, destinata ai recessi reconditi della mente, che ogni tanto ha davvero dell’irreale e dell’assurdo, quasi risulta incomprensibile, ma spesso colpisce nel segno. E credo non sia da sottovalutare nemmeno la parte assurda. Forse anche lì ci sono fondi di verità, anche se c’è da scavare per recuperarne uno stralcio.
Kafka sulla spiaggia, nelle sue ultime pagine, lascia l’illusione di avere tra le mani qualcosa che non c’è. Come un pugno di aria.

Va bene, penso di essere arrivata al massimo dello sproloquio. Ma è seriamente difficile dare una spiegazione concreta a questo libro. Credo che però sia una lettura importante. E spesso sa anche essere divertente.

Credo che dire di più sulla storia in sé sarebbe superfluo. Per saperne di più, questo libro va soltanto letto, anche se lascia con tante domande.

Ho apprezzato molto, comunque, il contesto giapponese che trovo sempre molto suggestivo e interessante. Penso che sia anche un contesto un po’ pazzo e inafferrabile, a volte seriamente allucinante, ma sa attrarre, e fa sempre pensare che ci sia qualcosa sotto da scoprire.

Altro aspetto interessante, che mi ha colpita, e che nonostante tutto stavo dimenticando di nominare, è il fatto che Kafka e Nakata, benché siano i protagonisti della storia, durante tutta la narrazione non si incontrino mai. Come se davvero si trovassero rispettivamente da un lato e dall’altro di uno specchio.

Infine gli aspetti tecnici: la prima edizione in lingua originale è del 2002, quella italiana (pubblicata da Einaudi) è invece del 2008.

In ultimo: consiglio questo libro? Sì, ma solo se ci si vuole fermare.

Voto finale: 7 ½ 

***

*lady in blue*

martedì 10 giugno 2014

JUNE OF GHOSTS 1: Il porto degli spiriti (John Ajvide Lindqvist)

Ciao!! Eccomi già di ritorno :D
Come pensavo sono allegramente a casa. Ancora non ho capito se sia stata realmente una mia scelta (del tipo o mi dai un aumento o t'attacchi e non firmo) oppure se sia stato tutto deciso in precedenza dal grande genio dei geni. D'altro canto io sto benedetto contratto (che c'era, eh. Sì sì, c'era.) non l'ho mai visto. E sì che ci si aspetta che quando uno ti dice "sì, oggi pomeriggio ti porto il contratto", poi si attenga a quanto ha detto il precedenza, ma direi che non è stato così. Sì, per alcune persone far finta di niente quando fa comodo sembra essere essenziale. Comunque, chissà come mai, a un certo punto mi sono rotta e ho dato le mie condizioni, e visto che l'alternativa geniale era un aumento di 500€ all'anno... Beh insomma, dopo più di un anno di sacrifici e rotture di scatole per star dietro a un soggetto di questo genere, direi che era una bella presa in giro. Ma come anticipato temo non mi dispererò. Per ora un pochino di relax intanto che sistemo carte, cartine e cartacce per la richiesta del sussidio di disoccupazione, e poi via a cercare qualcosa di meglio, ovviamente sperando in bene. Temo però che non sentirò mai la mancanza di questo "lavoro", chissà cosa mi spinge a pensare ciò. Misteri, come sempre.

Ma veniamo a noi.
Dunque, come preannunciato inizio a mettere in pratica la mia idea balordissima riguardante i post che pubblicherò su questo blog. In pratica ho costatato che a continuare così, con tutti i bei post programmati che mi rimangono, potrei fare in tempo a raggiungere l'età per la pensione prima di finire, quindi ho deciso di accelerare un po' i tempi, ma anche di pubblicarli in modo più sensato, raggruppando le varie cosine.
In termini di tempo ho intenzione di velocizzare il tutto con tre post al mese, teoricamente ogni dieci giorni, poi vedremo se mi ricorderò veramente di farlo ^^
La cosa simpatica è che, dopo aver messo insieme i vari post corrispondenti a ogni mese, mi sono resa conto che spesso, senza volere, questi avevano qualcosa in comune nell'argomento trattato; la questione mi ha spinto a conferire dei "titoli" a questi raggruppamenti. Per lo meno a quasi tutti.
Di fatti, con un po' di fantasia, questo mese dovrebbe chimarsi June of Ghosts, ovvero Giugno di fantasmi. Sarà composto da tre commenti di libri (ciò con cui devo seriamente portarmi avanti), anche se devo ammetterlo, l'ultimo che tratterò sarebbe stato meglio che parlasse davvero di fantasmi e non facesse finta. Da qui, forse, si può capire a che testo mi riferisco :D

Ma andando sempre con ordine.
La prima puntata di June of Ghosts prevede il commento del libro Il porto degli spiriti di John Ajvide Lindqvist, un testo che ho letto ormai da un pezzo, credo circa un annetto fa. Di fatti, nel rileggere il commento, inizio a far confusione anch'io e a perdermi su certe considerazioni che ormai ho dimenticato. Spero, in ogni caso, che come sempre questa recensione appaia interessante.
Niente da dire, sicuramente si tratta di un libro molto bello.

**



IL PORTO DEGLI SPIRITI
Di John Ajvide Lindqvist

Sembra quasi incredibile, eppure, tra tutti gli escrementi letterari che circolano al giorno d’oggi, quando si mette piede il libreria, si riesce sempre a trovare un testo valido.
Un libro che ti chiama e ti sussurra Leggimi. Sono un mondo intero.
E questa è stata la sensazione che mi ha accompagnata inizialmente leggendo questo romanzo: che dentro di esso, come in tutti i libri buoni, si racchiudesse un mondo a sé, un mondo completo dove perdersi e dimenticare quello da cui si proviene.
Una sensazione che si è affievolita un po’ nel procedere della lettura, ma forse è stato soltanto per via dell’abitudine che si cominciava a fare alla storia.
Leggendo queste pagine, comunque, sembrava davvero di trovarsi in Svezia e, soprattutto, di vedere il mare.
La vicenda si svolge sull’isola di Domarö, luogo fittizio, e per questo forse perfetto per narrare una storia. Anders, la moglie Cecilia e la figlia Maja di quattro anni vanno in gita al faro di Gavåsten, un isolotto poco distante da Domarö dove non c’è nient’altro.
Ma a un certo punto Maja scompare, e di lei non c’è più traccia. Non ci sono nemmeno impronte sulla neve.
Prima di sparire, quando si trovava ancora con i genitori all’interno del faro, avrebbe chiesto a suo padre, indicando la neve Cos’è, papà? Ma Anders non avrebbe visto alcunché.
E il lettore ritrova Anders dopo due anni, quando, dopo essersene rimasto a Stoccolma per un po’, e dopo la separazione avvenuta dalla moglie, sceglie di tornare a Domarö, alla casa lasciatagli in eredità dal padre e costruita a suo tempo dal nonno. Un’abitazione denominata Smäcket, che a quanto pare significa stamberga.
Ed effettivamente non è proprio Buckingham Palace. Pare che il nonno, nel costruirla, abbia fatto un bel casino.
Ma ad Anders non importa più di tanto. Oramai è un relitto umano, non cerca di certo una sistemazione particolarmente confortevole.
Non si può dire certo che il protagonista abbia tentato di farsi forza: decisamente si compiange, e sembra che faccia di tutto per sprofondare sempre di più. È un alcolizzato e non si cura affatto di se stesso. Alla fine nella sua condizione è anche comprensibile: ha perso sua figlia e poi è stato lasciato dalla moglie, quasi non potessero condividere insieme quel dolore.
Ma a Domarö Anders non è solo: c’è Anna – Greta, che è sua nonna, e Simon, il compagno di quest’ultima, che da giovane era un prestigiatore insieme alla sua prima moglie (la cui storia burrascosa è poi terminata a causa della tossicodipendenza di lei) e che, apprendiamo, tiene con sé, all’interno di una scatola di fiammiferi, una strana larva nera denominata Spiritus, che lo aiuta a controllare l’acqua e al quale l’uomo sarebbe legato per la vita.
Sappiamo anche che è stata una sua scelta, anche se, a suo tempo, non si era certo aspettato di trovarlo.
Ad attendere Anders a Domarö c’è anche il mare, quel mare immenso che è il vero protagonista di questa storia. Un mare misterioso, dalla potenza infinita, che inghiotte, risucchia e controlla.
Ma come, per il momento, non è dato saperlo.
E se anche Maja fosse sparita a causa del mare?
Ma Maja è davvero scomparsa nel nulla? Anders inizia a trovare strani segni: delle scritte incise sul tavolo con la scrittura incerta della bambina, un pannello che inizia a ricoprirsi sempre più di perline. Quelle perline con le quali Maja amava sempre giocare e che, al ritorno di Anders a Smäcket, ha trovato un po’ sparpagliate per la camera. Eppure era certo che così non fossero quando, due anni prima, aveva lasciato l’isola. E forse Maja sta disegnando qualcosa per mezzo di quelle perline.
Ma anche lo stesso Anders comincia a sperimentare strani comportamenti: si ritrova, non sa perché, a leggere i giornaletti di sua figlia, a dormire con il suo orsacchiotto di peluche. Come se Maja fosse dentro di lui. Come se ne fosse posseduto. E sul tavolo, Maja (attraverso di lui, Anders ne è certo) gli ha scritto Portami. E Anders farà della sua ragione di vita quella di trovare la sua bambina.
Mi è piaciuto e mi ha colpito molto un estratto riconducibile al momento in cui Anders è appena tornato a Domarö: vede una bimba sui sette anni che corre con lo zainetto in spalla verso i genitori.
Il suo pensiero è: doveva capitare a te. Atroce se lo si vede con occhi esterni, comprensibile se lo si realizza con quello di un genitore disperato che ha perso il proprio figlio. E se fosse capitato a quella bambina, i suoi genitori avrebbero sicuramente pensato lo stesso, se avessero visto Maja.
Ma comunque sia, di cosine strane a Domarö ne accadono spesso, non è vero? Ne sono sempre accadute, lo si può credere?
E Simon, il quasi – nonno di Anders, viene a conoscenza (per puro caso, ed è incredibile come una casualità possa cambiare il corso di un’intera storia) di qualcosa di sinistro e agghiacciante, qualcosa che Anna – Greta già sapeva (non si conosce mai realmente una persona, perché non si è quella persona. Questo era il pensiero di Simon prima ancora di scoprire la compagna implicata nella conoscenza di un segreto dell’isola). Qualcosa che ha a che vedere con il mare e con le persone che spariscono, perché il mare prende con sé.
Ma è strano, perché il mare, per la prima volta, ha restituito un corpo. Che si stia indebolendo?
Così i misteri a Domarö si infittiscono: alcune persone iniziano ad assumere comportamenti strani e violenti, cominciano ad avvenire degli incendi a varie abitazioni e appaiono due strane figure. Quelle di due ragazzi spariti tanti anni prima, si presumeva annegati in mare, e che Anders conosceva. E Anders avrà modo di avere nuovamente contatti con loro, solo che non saranno particolarmente piacevoli questa volta. Un’altra vecchia conoscenza di Anders a Domarö è Elin, quella strana donna che da ragazzina faceva la troietta e che poi era diventata una specie di diva. Quella strana donna che ora continua a fare operazioni con lo scopo di deturparsi sempre di più, per diventare sempre più orrenda, e non si capisce per quale motivo lo faccia.
Perché è una punizione, sosterrà lei, ma sarà davvero così? Forse in parte, ma c’è qualcos’altro che la spinge a farlo. Qualcun altro.
Anche Elin, oltre alle operazioni, assume strani comportamenti. Anche lei sembra posseduta da qualcosa. Fino alla sua tragica fine.
All’inizio non sappiamo molto del resto della famiglia di Anders: di suo nonno sappiamo che ha costruito alla cavolo Smäcket e che è morto, presumibilmente in mare (strano. Anche lui?) mentre Anna – Greta era incinta del padre del protagonista. Di quest’ultimo, al principio, non sappiamo davvero niente, se non che era un pescatore, e qualcosa di quand’era ragazzino e Simon e Anna – Greta si erano appena conosciuti. Si avverte l’assenza di questo personaggio, come se il vuoto lasciato volontariamente dall’autore in proposito, per poi tornare a colmarlo in seguito, instillasse la curiosità del lettore su di esso. Un po’ come a dire: e suo padre? Perché non parla di suo padre? C’è qualcosa che stona. E in effetti, di Johann, si parlerà a tempo debito. Della madre di Anders invece si sa soltanto che vive a Stoccolma.
Di fronte a tutto questo susseguirsi di stranezze, misteri e orrori, Anders si fa sempre più piccolo.
La sua instabilità è palese, e ogni tanto manifesta segni di regressione, come se tornasse bambino, come quando si succhia il pollice per la paura che qualcuno che voglia fargli del male stia entrando nella sua stanza, ma si trattava soltanto di Simon.
È Anders stesso che, in quei momenti, si sente piccolo. Un piccolo bambino di fronte alla potenza del mare.
Ma anche il mare ha un nemico, un qualcosa che lo tiene a bada e immunizza chi ne fa uso. Non lo Spiritus, che controlla sì l’acqua e sarà, infine, la chiave della vicenda, ma dell’altro, che lascio alla scoperta dell’eventuale lettore.
E i tasselli di questo puzzle trovano il loro posto molto lentamente, a ogni rivelazione sembra sempre che manchi qualcosa. C’è anche molto di astratto in questo testo, e questo aspetto lo rende decisamente suggestivo.
E Maja? Dove si trova Maja? Com’è finita dentro Anders? E perché la bambina lo lascia quando si apprende che genere di persone il mare prende con sé? Come farà l’uomo a farla ritornare in sé?
Anders è il protagonista della vicenda, ma anche Simon e Anna – Greta hanno la loro decisiva importanza. Soprattutto, però, il protagonista di questo libro è il mare.
Un mare che nasconde e che di certo non ha pietà. Un mare che domina e che ha una propria essenza. Un mare inaccessibile.
O quasi.
Il finale del testo, che non ho intenzione di rivelare, è piuttosto aperto. Lascia il lettore con la domanda legittima E adesso? Ma non è dato saperlo.
Un libro particolare, dove incombe la presenza dei fantasmi (o qualcosa di simile ai fantasmi) in modo decisamente diverso dall’usuale. Un libro dove l’astratto avvolge e cattura, dove il lettore può confondersi e ritrovarsi sempre all’improvviso, quasi senza rendersene conto. Perché quando sembra che si sia fatta chiarezza, c’è sempre qualcosa che ingarbuglia di nuovo tutto, e persino alla fine, anche se i pezzi del puzzle hanno dato forma alla figura conclusiva, spiegando ogni cosa, si ha la sensazione di qualcosa si fuggevole, di vagamente incomprensibile.
Un libro che sicuramente avrei gustato meglio seduta tranquilla sul divano, piuttosto che in metropolitana, dovendo far attenzione alle fermate e dovendo sopportare la gente irritante che rompeva in sottofondo, ma pazienza, si fa quel che si può.
In ogni caso è una lettura che mi è piaciuta molto. E speriamo che i bei testi continuino a esistere, e che prosegua anche il loro richiamo destinato ai lettori che li cercano.     


Voto finale: 8.
 

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*lady in blue*