world of darkness

world of darkness

sabato 15 giugno 2013

Riflettori spenti

Originariamente postato sul vecchio blog il 23 gennaio 2013

Per essere felici occorrono tre cose: essere imbecilli, egoisti e in salute.
Ma se manca la prima è tutto finito.
(Frase letta sullo schermo alla banchina della metropolitana)
Buongiorno di nuovo, inizio il nuovo post con la citazione sovrastante perché la trovo proprio simpatica. E soprattutto veritiera. E perché purtroppo gli imbecilli abbondano, ma disgraziatamente non se ne rendono conto.
Ma ora veniamo a noi … il lavoro è finalmente iniziato, anche se non è stato piacevole dover fare una settimana praticamente intera non pagata, con la scusa che fosse un’intergrazione al corso fatto il mese scorso, per di più tutto il giorno e con un genio che mi faceva anche uscire in ritardo in pausa pranzo, sapendo benissimo che avrei dovuto prendere la metropolitana per tornare a casa e poi di nuovo in negozio. Ora però il numero delle ore di lavoro è effettivamente quello per cui sono pagata (tranne quando, come ieri, mi fa fare mezzora di ritardo perché deve chiacchierare con i conoscenti), anche se sarebbe carino rispettare la distribuzione delle stesse decisa in precedenza, ma probabilmente sarebbe chiedere troppo.
Ok, fine delle ciance iniziali potenzialmente inutili.
Che cosa posto oggi di bello? Un raccontino one-shot, che avevo scritto quest’estate, sebbene l’idea in proposito fosse decisamente precedente a quel periodo; ma tra una cosa e l’altra questo testo è finito su carta (anzi, su word) solo a luglio. Non ricordo minimamente che cosa l’abbia ispirato in particolare, ho solo il flash mentale di aver deciso di scrivere di questo argomento mentre, l’inverno scorso, mi trovavo in metropolitana.
Si tratta di un’introspettiva, abbastanza breve, dove vengono messe in contrapposizione la realtà e la finzione, il sorriso falso di quando i riflettori sono accesi, e il calar delle tenebre che giunge quando questi vengono spenti.
Più nel dettaglio è la storia di una ragazzina che ha partecipato a un concorso canoro televisivo e che, nonostante credesse profondamente di vincere, arriva seconda, messa in disparte per via di un moccioso dal bel faccino che ha fatto molta presa sul pubblico.
I riflettori si spengono, e si passa dalla luce alle ombre.
L’immagine del gufo è significativa in questo contesto, come si evincerà dalla lettura.
Mi piacerebbe saper disegnare e aver postato un’immagine fatta a mano in proposito, ma disgraziatamente non è così, e mi devo accontentare della foto.
Buona lettura!!
 

RIFLETTORI SPENTI





Complimenti al vincitore!
Sì, davvero bravo; gli applausi del pubblico sono tutti per lui, e sono meritati. In mezzo a tutte quelle persone festanti e allegre c’è sua madre in lacrime: di gioia, di commozione, di orgoglio.
E di me chi sarà orgoglioso? Niente gloria per la seconda classificata, solo un abbraccio di consolazione e una compassionevole pacca sulla spalla, come a voler dire avrai anche tu il tuo momento, sarà per la prossima volta. Solo che non c’è spazio per una prossima volta, non esiste nulla che possa lenire questo orgoglio ferito.
Però sai, caro vincitore, io sorrido. Sì, ti guardo, e sorrido proprio in tua direzione. Ti applaudo persino, come fa il pubblico, perché queste ovazioni te le meriti.
Il mio battimani però altro non è che il sostegno della maschera.
Vorrei essere lì, al posto tuo, sotto quei riflettori, a dissetarmi, insaziabile, dell’ammirazione dei più; sì, perché niente è migliore di essere la prima, colei che trionfa, una sorta di regina per una sera. E forse qualcosa di più.
Vorrei che quei coriandoli bianchi stessero scivolando su di me; vorrei essere io a reggere in mano quel microfono, ora, anziché questa stupida maschera.
Sorriso smagliante. Complimenti al vincitore!
Volevo arrivare per prima in questa corsa, anche perché questa sera erano in tanti a seguire la finale, tutti attaccati allo schermo; volevo che, alla fine, fossi io al centro dell’attenzione; e del palco.
Perché in fondo, dopo tutti questi anni di impegno solenne e quasi maniacale, me lo sarei meritato.
Molto più di lui, in definitiva, che canta perché Madre Natura gli ha dato una bella voce, ma non ha mai preso lezioni in proposito, non sa cosa sia la tecnica.
E poi ha quel bel faccino, aspetto da non sottovalutare; questo fa molta presa sul pubblico, molto più di una ragazzina bassa di statura e con i capelli castani, come me.
Ma di nuovo, complimenti al vincitore! Un successo ampiamente meritato e per niente sofferto, su questo non ci sono dubbi.
Perché dove può mai essere la sofferenza, quando la fortuna è dalla tua parte? Dov’è possibile scovarla quando prendi senza difficoltà ciò che altri anelano come una chimera?
In questo momento non mi rimane altro che il mio sorriso finto, che i miei complimenti al vincitore, e le mie mani che sbattono tra di loro per esprimere qualcosa che in realtà non penso. Qualcosa che non voglio pensare.
Perché lì, dovevo esserci io. Io che ho sofferto per tutto questo, io che ho fatto del canto la mia ragione di vita. Io che avrei dato la mia vita pur di vincere, questa sera.
Ma il traguardo l’ha tagliato per primo qualcun altro e io, qui, sono solo in secondo piano, già dimenticata.
Mi domando adesso, se durante il progredire della trasmissione, in questi mesi, gli spettatori si siano mai accorti di me, anche se sono arrivata in finale. Forse hanno avuto occhi solo per il suo bel faccino, per la voce angelica che gli esce naturalmente dalla gola.
Complimenti al vincitore! Caro vincitore, vorrei che ci fosse la tua faccia, in questo momento, tra le mie mani che battono a ritmo della tua canzone.
Ma sto sorridendo e, nei miei occhi, non esiste la minima umidità: è già abbastanza umiliante essere arrivata seconda, senza bisogno che il tutto venga incrementato da un bel pianto patetico.
Lasciamo perdere.
I riflettori non sono puntati su di me, ma ci sono sotto comunque, meglio conservare la dignità, la compostezza. E la mia maschera.
Quei maledetti riflettori accecanti, vorrei che improvvisamente ci fosse un blackout.
Voglio nascondermi al buio di me stessa; perché sento che in me stanno calando le tenebre.
Un’oscurità tenuta a bada solo da questo sorriso fasullo, ma che presto mi travolgerà; io voglio che mi travolga, ma non qui, non ora, perché siamo in televisione, e tutto deve andare diversamente, tutto deve essere come sembra.
Un po’ come vale per il presentatore del programma: è tanto bravo con i bambini, lui. È tanto simpatico, lui. È una persona semplice e alla mano, a cui si vuole bene, lui.
Sì, questo solo finché si trova sotto i riflettori accesi; quando quella luce viene a mancare prende il sopravvento la sua ombra, quella che se ne sta nel camerino a sballarsi con le altre presentatrici o con qualche strana sostanza dall’effetto individuabile.
Quando prende quella roba (che non so bene cosa sia), non ci sta con la testa, e spesso se la prende con noi ragazzi, arrivando a insultarci. Per fortuna non ha mai alzato le mani, ma credo che sappia che questo non gli conviene.
Si trattiene quando è fuori di testa, ma avrebbe voglia di farlo.
Lo stesso vale per gli altri partecipanti: siamo tutti tanto amici, noi. Ci stimiamo a vicenda, noi. Gareggiamo per partecipare, per divertirci, noi. Non ci interessa vincere, a noi.
Già, nemmeno a me interessava vincere, è per questo che me sto qui a sorridere beata, ad applaudire e che dopo abbraccerò mister bel faccino (complimenti al vincitore!) per mostrare la mia sportività e il mio affetto nei suoi confronti. Quello che si estinguerà non appena sarò fuori di qui e, finalmente, fuori di me.
Perché, a dispetto dei riflettori accesi, io ho voglia di dare libero sfogo al mio orgoglio ferito, alla mia collera. Questo è ciò che si nasconde lì dove nessuno può vedere, dove nessuno può entrare.
Sotto i riflettori della televisione tutto è perfetto, tutto è come, chi è fuori, vorrebbe che fosse.
Una bella illusione, peccato che non valga, alla fine di tutto. Peccato che dietro al mio sorriso esista solo delusione, disperazione, e tanto, tanto disprezzo.
Perché forse lui meritava di vincere, ma io lo meritavo di più.
Non passi anni della tua vita a esercitarti ogni santo giorno, per poi arrivare seconda.
È inaccettabile, soprattutto se a prevalere su di te è stato mister bel faccino.
Ma che vuoi farci? Non puoi darlo a vedere.
Puoi solo sorridere. Battere le mani. E immaginare che, tra di esse, ci sia quel suo bel faccino da riempire di schiaffi.
**
Quando sono salita in macchina con i miei sorridevo ancora, ma avevo scelto di non parlare. Mia madre e mio padre non erano delusi, mi hanno detto che, per loro, sono stata comunque la migliore.
Per loro? Io sono stata la migliore, punto.
Mister bel faccino non è altro che un usurpatore di meriti; sì. Certo, è bella la sua voce, nulla da dire, perfetta la sua presenza scenica, nessuno può negarlo. Ma dietro, cosa c’è?
Niente.
Solo una fortuna sfacciata.
Complimenti al vincitore! Li meritava gli applausi. Forse quelli degli altri, ma non di certo i miei.
Il pubblico, cioè una massa di caproni ignoranti che belano appena ne hanno l’opportunità, concede le sue ovazioni a chiunque, alle mode passeggere, ai quei piccoli fuochi insignificanti, destinati a estinguersi al primo spruzzo di pioggia; o di novità.
I caproni adorano le novità, dimenticando l’erba che hanno brucato fino a poco prima.
A ben vedere non volevo davvero i loro applausi, non per quello che rappresentavano nel profondo.
Volevo solo vincere, perché la mia superbia lo esigeva, perché lì, sul piedistallo, il posto doveva essere mio.
Ma ora posso solo vedere il paesaggio oscuro della notte che sfreccia accanto al finestrino del sedile posteriore sul quale prendo posto.
Sto adorando questo buio, penso che vorrei farne parte, che mi piacerebbe essere una creatura della notte, oppure che questa non avesse mai fine.
Sono stanca della luce, non voglio vederla mai più.
Ormai anelo solo le tenebre, perché solo lì posso rifugiarmi dalla mia orribile maschera, dallo scherno di me stessa, dalla dolorosa consapevolezza di non aver raggiunto quel che volevo: non gli applausi scaturiti dagli zoccoli caprini, ma la luce della vittoria, l’innalzamento di me lì dove avrei potuto guardare tutti dall’alto in basso.
Ma giuro, mi sarei finta umile. Non avevo intenzione di canzonare gli altri, volevo solo essere la migliore, perché anni di sacrifici volevano che questo accadesse.
Mano a mano che procediamo verso casa il mio sorriso sbiadisce, cala, si fa impercettibile.
È calato il sipario, gente, è finito lo spettacolo, gli attori possono riposarsi e tornare alle loro vite.
Complimenti al vincitore!
Complimenti un bel cavolo.
Gliene farà di festa la sua famiglia! Oh sì, sono tutti orgogliosi, loro. Orgogliosi di mister bel faccino, il re della televisione, il dio del canto, la voce d’angelo.
Quel piccoletto insulso non canta per passione, si vede. Lo fa perché gli conviene, perché la sua dolce voce e il bel faccino potrebbero fargli fare carriera, ma non va oltre questo.
È un prodotto delle finzione.
Un prodotto dei riflettori.
Ma ora, finalmente, quei riflettori sono spenti, e non vedo l’ora di essere a casa, nella mia camera; mi sento come una creatura della notte: forse un gatto, ma più probabilmente un gufo.
E questo gufo ghermirebbe volentieri il bello scoiattolo tra i suoi artigli, e lo dilanierebbe con piacere crescente. Forse non per mangiarlo, ma solo per fargli presente come dovevano andare le cose.
La vittoria mi spettava di diritto, mister bel faccino, perché ti sei messo in mezzo? A questo punto tanto valeva essere una come tante altre, dalla voce mediocre e senza il minimo talento, almeno la sconfitta non sarebbe stata così amara.
Ma il fatto è che non voglio essere mediocre, non accetterei mai questo pensiero.
Bramo essere la prima, la migliore, l’unica e inimitabile. La dea, la più grande. La sublime.
Non vale la pena essere seconda.
È deprimente arrivare a un gradino dalla conquista della tua vita, e rendersi conto di non poter andare più su di così; e questo non perché non hai più forza, o non ne hai la capacità, ma perché un piccolo idiota dal bel faccino ti mette i bastoni tra le ruote e, incitato dai più, ti taglia la strada e conquista la vetta.
Questo è intollerabile.
Oh, notte, prendimi con te; inghiottimi. So che la mia rabbia sta nuotando nella finta calma che ho dimostrato finora, so che la prosciugherà fino all’ultima goccia, fino a quando potrà esplodere.
Forse è quel che voglio, ma sarebbe meglio evitarlo; finire immersa dall’oscurità potrebbe essere più semplice, più appagante. E sicuramente sarebbe più silenzioso.
Perché le sento già quelle urla dentro di me, taglienti come lame. Mi stanno già facendo sanguinare.
Ormai il mio sorriso è sparito definitivamente; al posto suo, sul mio volto, è venuto a formarsi un broncio serio e incupito.
Scendo dalla macchina e schivo la mano di mia madre, che cerca di posarsi sulla mia spalla.
Lascio che i miei genitori entrino, e io rimango per qualche istante sulla porta.
Solo alcuni momenti, con lo sguardo rivolto verso il cielo.
Un’ultima supplica rivolta alla notte, perché questa mi rapisca e impedisca che si svolga l’inevitabile.
Ma la mia preghiera non viene accolta, così varco la soglia.
**
Nella mia stanza ho scelto di restare al buio. Giaccio supina sul pavimento, nella mia notte fasulla chiusa tra quattro mura, a osservare questo cielo troppo vicino, opprimente, e dannatamente menzognero.
Non ho ancora voluto parlare con nessuno; desidero rinchiudermi nel silenzio, ascoltando solo l’inudibile lamento dei miei pensieri.
In fondo a cosa mi serve ancora la mia voce? Attraverso di essa non ho raggiunto il mio scopo, quello della mia vita, e ora non vale più la pena usufruirne per scomodarmi a proferire parola.
Respiro piano; sono quasi calma, la mia rabbia si è assopita.
È ancora dentro di me, ma velata, nascosta, stretta tra braccia amorevoli ma ferree, che le impongono di rassegnarsi.
Come sarebbero dovute andare le cose? Ci sarebbe stata una festa se avessi vinto il concorso? Come sarebbe stata incoronata questa regina? Queste domande ormai non mi servono più, ma non posso fare a meno di pormele.
Perché dannazione, io volevo vincere.
Dovevo vincere.
Chissà come si sta divertendo ora mister bel faccino, come si sta godendo la gloria e la notorietà.
Già, e magari non l’apprezza come farei io. Forse vede questa vittoria come un gioco, una bella fortuna, una meravigliosa esperienza.
Bravo, complimenti vivissimi! Anzi: complimenti al vincitore!
Alzo le mani su di me e le batto in un lento applauso.
Ora siete tutti contenti, non è vero? Lasciamo indietro la ragazzina che ha studiato canto fin dalla più tenera età, e diamo tutti i nostri elogi a mister bel faccino, lui sì che ci farà diventare tutti più ricchi.
Complimenti a tutti, davvero. Non solo al vincitore.
A cosa mi è servito dedicare la mia vita a questo scopo? A rimediare uno squallido secondo posto?
No, ragazzi, non scherziamo; non è il caso.
Piccolo idiota di mister bel faccino, non potevi restare a casa tua? A cantare con il karaoke alle feste patetiche della tua allegra famigliola? Ti assicuro che anche così avresti commosso senza sforzo la tua mammina.
In fondo a te che importa di questa vittoria? Che cosa pensi di ricavarne? Magari, a lungo andare, ti costruirai una carriera (sempre grazie al bel faccino, questo è ovvio), ma poi? Nient’altro? Non esiste nulla di più profondo? No, io lo so bene; perché ti ho letto dentro, caro il mio mister bel faccino, e a te del canto non importa niente.
Non sei come me, no. Tu non vali nemmeno la metà di quanto valga io.
Tu non sei niente, al mio confronto.
Stupido, maledetto, inutile, insulso ragazzino dai tratti graziosi.
Sento prepotentemente rinascere il gufo in me; la creatura notturna assetata del sangue della bestiolina graziosa, che tutti trovano adorabile.
Quanto ancora mi piacerebbe prenderti a schiaffi!
Così, non avendoti sottomano, comincio a infierire sulle mie, di guance.
Chiudo gli occhi ad ogni colpo, e ogni dolore è esaltante; ma anche fortemente odioso.
Più mi colpisco più mi sento spinta a continuare; e la mia collera comincia a risalire.
Eccola lì, la mia amata rabbia oscura; finalmente si è liberata dalla morsa che la teneva prigioniera.
Avrei voluto chiudere gli occhi sparendo nella notte, ma ora che sono qui da sola, anelo soltanto a esplodere.
Mi schiaffeggio sempre più forte, fino a quando, sentendomi il viso completamente in fiamme, non urlo con tutto il fiato che ho in corpo.
Un grido che forse potrebbe rovinarmi la voce, ma che mi importa? Tanto ormai non vale più nulla. Sono arrivata seconda, e non voglio mai più vedere un riflettore acceso, mai più.
In un attimo sento i miei genitori che si precipitano verso la mia stanza, spaventati, e a gran voce mi chiedono cosa sia successo.
Fulmineamente balzo in piedi e mi dirigo velocemente alla porta; prima che possano aprirla le piazzo davanti una sedia, di modo che sia bloccata.
Non voglio nessuno qui, nessuno. Solo la mia rabbia; la mia follia, e la mia notte che desidero diventi eterna.
Voglio il buio, soltanto il buio. Voglio fare a brandelli la mia maschera di poco fa.
Le guance mi bruciano, ma me ne importa ben poco.
Dannazione, dovevo vincere io, solo di questo mi interessa.
La gloria spettava a me.
Ma no, niente va come dovrebbe. Eccolo lì che arriva: mister bel faccino, ma che onore! Dannato, piccolo imbecille.
Al solo pensiero del suo visino angelico e insopportabile mi tiro un altro schiaffo, poi mi tiro i capelli con le mani.
Sì, fa male, è meraviglioso, ne voglio ancora di questo dolore.
Tanto non potrà mai eguagliare quello che mi ha procurato questa sconfitta.
Le voci angosciate dei miei, fuori dalla porta, mi irritano ancora di più; urlo loro di fare silenzio, di lasciarmi sola.
Sento che mia madre ha cominciato a piangere.
Brava, piangi, sfogati pure, stupida. Per voi sono stata comunque la migliore? Per voi?
Io lo sono, e dovevo vincere.
Quei riflettori … oh, sì, quei riflettori infidi e subdoli, ma tanto lusinghieri: loro dovevano illuminare me. Io dovevo essere avvolta dalla gloria che producono.
Io sola, dovevo essere la stella.
Che stai facendo, mister bel faccino? La tua mammina ti sta riempiendo di baci? Perché sei stato tanto bravo? Perché l’hai resa orgogliosa con la tua apparenza? Tutti i parenti e gli amici (e gli amici degli amici), si sono complimentati con te? Sono fieri di conoscerti?
Che meraviglia! Che scena commovente! Me la immagino, che splendore!
Comincio a tirarmi sempre più forte i capelli, finché non mi scappa un nuovo urlo.
Nuove richieste di aprire la porta risuonano dall’esterno; ma no, io non lascerò entrare nessuno: questa è la mia tenebra, nessuno vi ha accesso oltre a me. Restatene fuori, tutti quanti.
Lasciatemi in compagnia solo del gufo che c’è in me.
Senza nemmeno pensare comincio a percorrere la stanza a grandi passi.
Non è tutto un po’ troppo perfetto, qui? Sì, insomma: il letto è rifatto alla perfezione, i soprammobili sono disposti senza una pecca; persino i quaderni sulla scrivania sono in perfetto ordine. Come dici, gufo? Meglio fare un po’ di casino, tutto questo ordine ti disturba?
E perché no?
Per prima cosa mi avvento sulle lenzuola, e comincio a disfare il materasso. Voglio che sia tutto alla rinfusa, tutto distrutto.
Intanto ansimo. No, non è corretto: ringhio, schiumo, sto ribollendo di rabbia.
Ho i capelli incollati al viso, sudati fradici, e questo mi innervosisce ancora di più.
Ma sì, va bene così! Deve essere tutto sbagliato, qui dentro, tutto sottosopra.
È per questo che afferro ogni oggetto che, al buio, mi capiti a tiro, e inizio a scaraventarlo contro la parete: inizio dalla sveglia sul comodino. Emette il rumore di un campanello strozzato, poi si fracassa cadendo al suolo.
Infine non vedo nemmeno più cosa sto prendendo in mano; i miei artigli da gufo ghermiscono qualunque cosa, vogliono solo distruggere.
Come questa sera ha distrutto me e il mio orgoglio.
E questo solo a causa di un ragazzino dal viso grazioso, questa è proprio bella.
No, no, non esiste. Deve esserci stato un errore; ripetete il concorso, rifate le votazioni e, soprattutto, aprite bene le orecchie e state ad ascoltare chi è il miglior cantante tra me e lui.
Ascoltate attentamente, forse la prima volta vi è sfuggito qualcosa.
Come? Non si può annullare il programma e ricominciarlo da capo? Quel che è fatto è fatto? No, signori, non ci siamo, non ci stiamo capendo.
Si dà il caso che la vincitrice sia io, quella che ha sacrificato tutto per la sua voce.
Non vi risulta? Strano. Davvero. Aspettate un momento: e se il vincitore in carica avesse un misterioso incidente in cui perdesse la vita? Allora prenderei il suo posto, non è vero? Sì? Già, è così.
Complimenti al vincitore! Esprimo per lui tutto il mio cordoglio e, con onore, mi impossesso del suo scettro.
Sì, sì, potrebbe andare.
Basta che si levi di mezzo, che quel che è mio, e mi spetta di diritto, mi venga restituito come è giusto che sia.
Forse mister bel faccino starà meglio sepolto sotto metri di terra, perché no.
Continuo a ringhiare, mentre sembra che demolire tutto non basti a placare la mia ira, la mia disperazione, e la mia disfatta.
Tutto sommato non era stato difficile indossare quella maschera sotto i riflettori accesi, ma ora non è più tempo per le carnevalate.
È qui al buio che sono davvero quella che sono; nella mia notte eterna, tra le mie cose distrutte e fatte a pezzi, tra i miei pensieri sull’orlo della follia.
In fondo è qui che voglio rimanere.
Prendo fiato profondamente, poi urlo di nuovo.
L’ultimo grido: il più assordante, il più spietato, il più devastante. Forse non riuscirò mai più a cantare in seguito, ma non importa.
Invoco il buio, invoco la fine, perché tutto ciò che volevo erano quei riflettori abbaglianti ed effimeri puntati su di me, ma dal buio della luce soppressa, qui dove nasce e muore la verità, ormai non ho più via d’uscita. E non voglio averla.
Urlo ancora.
10 luglio 2012
*lady in blue*

3 commenti:

  1. Ciao! Questa breve storia è veramente introspettiva come anticipi, si sente tutta la delusione e tutta la rabbia della ragazzina sconfitta nel concorso. Questo racconto, man mano che proseguivo nella lettura, mi ha trasportato su due binari di sensazioni e impressioni altalenanti. Una sorta di pena per lei, perchè nonostante si sia impegnata, sforzata, esercitata per anni per eccellere, viene sconfitta da come dice "un bel faccino e una bella voce" che sono soltanto un dono di madre natura e non frutto di anni e anni di esercizi e sacrifici. Dall'altra però la superbia della protagonista, che si crede superiore a tutto e a tutti (ma a suo giudizio), non me la rende molto simpatica. La furia distruttiva, la crisi isterica a cui dà sfogo quando arriva a casa potrebbero persino sembrare esagerate e ad un certo punto viene quasi da pensare "non sta esagerando? in fondo si tratta solo di un concorso"... Ma poi uno ripensa alla fatica che le è costato arrivare fin lì e prova compassione... Insomma, sono arrivata fino alla fine un po' confusa, soprattutto perchè descrive una situazione in cui (per fortuna) non mi sono mai trovata. Forse proprio per questo, perchè non ho mai partecipato a concorsi e gare, non posso capire come ci si senta. A parte poi tutti i bellissimi modi di dire che ci inculcano fin da piccoli, del tipo: l'importante non è vincere ma partecipare", e di imparare a saper accettare le sconfitte in modo sportivo, ecc... cosa che la tua protagonista non è certamente in grado di fare. Arriva addirittura ad augurarsi che il bel faccino muoia e venga sepolto sotto metri e metri di terra. Cosa possono fare rabbia e delusione...
    Bello poi il leitmoriv: "complimenti al vincitore", un sarcastico ritornello che accompagna fino alla fine con tutta la sua amarezza. Ad un certo punto, a leggerlo, mi è sfuggito anche un ironico sorriso.
    A presto
    Yoshiko

    RispondiElimina
  2. Ciao Yoshiko! Beh, che dire? Ancora una volta, con la tua interpretazione del mio racconto, ci hai azzeccato in pieno :). Volevo proprio che questa protagonista fosse vista così, facendo pena da un lato perché non ha raggiunto il risultato sperato nonostante gli anni di studio e sacrifici, vedendosi poi soffiare il trionfo da un ragazzino che non ha lottato quanto lei; anzi, che forse non ha lottato affatto. Dall'altro lato, però, la reazione di questa stessa protagonista deve fare "allontanare" il lettore da lei. Perché, per l'appunto, esagera. Pensa che, mentre scrivevo questo racconto, mi dicevo che la rabbia di questa ragazzina era troppa, e che sfociava in qualcosa di veramente oscuro e spaventoso. Alla fine, mi sono risposta che, questa reazione, è dovuta al "male" che può fare la televisione, la necessità di prevalere e di imporsi con superbia che un tale concorso potrebbe istigare in un animo orgoglioso come quello della protagonista.
    Ovviamente, questa ragazzina arriva a pensare a soluzioni un po' troppo "drastiche" ... diciamocelo, che si auguri la morte del suo avversario non va esattamente benissimo, partecipare a questa gara, dove forse l'apparire era più importante di tutto il resto, le ha fatto solo del male, perché ha trasformato il suo sogno, la sua ragione di vita, in qualcosa di negativo che la getta in un vortice di rabbia spaventosa. Sicuramente ha tutte le ragioni di rimanerci male, quando ti impegni e ti sacrifichi, e vieni poi messo da parte da qualcuno che a momenti non sa nemmeno che cosa stia facendo (ma che è fortunato), indubbiamente girano ... ma questa reazione, per l'appunto, è troppo. Troppa rabbia per una ragazzina, soprattutto.
    Grazie anche per questa nuova recensione!

    RispondiElimina
  3. Già, mi hai tolto le lettere dalla tastiera. In effetti la tua storia potrebbe essere d'insegnamento a quelle persone (maggior parte ragazzine e donne) che farebbero e fanno di tutto pur di comparire in televisione e diventare famose, come se lo scopo della vita sia questo, fama e notorietà. Direi che hanno un modo completamente distorto di prendere le cose, una mancanza di valori e di etica grande quanto un baratro, che si riempiono di niente, hanno priorità del tutto sballate e sono per lo più persone superficiali. Anche se, credo in tutto questo, ci mette il carico anche l'ambizione dei genitori che smaniano per avere una figlia in tv (magari velina) e un figlio calciatore famoso... Il classico insomma. Ne ho in mente a bizzeffe, di esempi, che si trovano quotidianamente davanti ai nostri occhi e ti giuro che mi verrebbe voglia, quando leggo certe notizie, di sbatterli nello sprofondo dell'Africa e lasciarli lì sperando che capiscano cosa siano le cose davvero importanti nella vita. E in confronto a quello che gli farei io, la tua ragazzina è una santa ;)

    RispondiElimina