world of darkness

world of darkness

sabato 15 giugno 2013

La chiave di pezza (Cap.6 + Epilogo)

Originariamente postato sul vecchio blog il 15 dicembre 2012

Ci sono finalmente :)  Dopo più di quattro mesi dall’averla conclusa,e più di tre da quando ho iniziato a pubblicarla sul blog, arrivo (alla buon’ora) a pubblicare l’ultimo capitolo di questa storia, seguito dall’epilogo (quest’ultimo è una cosa breve :D )…
D’altro canto bisogna dire che in questo periodo questa storia inizia ad acquisire un po’ più di senso: se non altro, ora la neve c’è, anche se sinceramente ne avrei fatto volentieri a meno :).  Ormai sono una specie di ghiacciolo, soprattutto considerando il lasso di tempo passato a congelarmi quasi tutti i giorni nell’aspettare il treno per tornare a casa dal corso…Sì, è molto divertente dover andare nei piccoli paesini limitrofi, soprattutto con queste temperature, quando i treni sono, come dico io, “puntualmente in ritardo”..
Ma forse ora ho finalmente finito il corso (e dico forse perché non è ancora certo che non debba andare ancora domani), ma spero vivamente di sì dato che sono un po’ “stufina” di tornare a casa alle 9 di sera…anche se per fortuna, ho fatto quasi sempre solo il pomeriggio…
E ora non mi resta che da aspettare di iniziare il lavoro vero e proprio…se mai apriranno il negozio, s’intende …. chissà, forse ce la si fa per metà settimana…
Ma va beh, sarà il caso che la finisca con queste cosine che non c’entrano un piffero e che torni alla conclusione di questo benedetto racconto che, ancora un po’ che aspettavo, l’avrei finito di pubblicare dopo un anno dalla sua effettiva conclusione…
Beh, a parte gli scherzi…era davvero ora che si arrivasse alla fine della pubblicazione..
Siamo alle battute finali, Leyla è certa di avere per le mani la verità, anche se Paul Gallant ha sostenuto di non aver mai visto Hillary, e Josh si è dimostrato disponibile ad accompagnarla a casa del sospettato, nonostante siano in corso le indagini, per consentirle di guardare le pareti, come vuole la ragazza, affinché questa possa scorgervi appeso sopra l’oggetto (il sole-luna blu) che è certa di trovare…
Si parte di qui… Leyla riuscirà a venire a capo di qualcosa? La chiave aprirà la porta?
………………………………….
Buona lettura!! ^^
 

LA CHIAVE DI PEZZA

 

VI

LA PORTA ROSSA


Quella notte aveva fatto di nuovo il sogno del letto ghiacciato su cui lei si trovava insieme a Hillary; sopra di loro pendeva il sole-luna blu, poi scendeva la neve rossa che ricopriva la bambina scomparsa fino a inghiottirla. Il topolino di pezza che si era trovato in mezzo a loro per tutto il tempo si era tramutato in una chiave di pezza; con questa Leyla aveva aperto la porta rossa e, dentro, non aveva trovato altro che alcuni capelli di Hillary.
Il pomeriggio successivo era andata con Josh a casa di Paul Gallant, sicura che avrebbe trovato il sole-luna appeso a una delle pareti dell’abitazione, ma così non fu.
Cercò e osservò con attenzione, guardò più o più volte per essere sicura di non lasciarsi scappare nemmeno un frammento di muro, ma non scorse ugualmente l’oggetto che andava cercando e che avrebbe consolidato la sua tesi.
Era tornata a casa avvilita, distrutta e sentendosi tradita da se stessa, perché si rendeva conto che quel viaggio era stato totalmente inutile, che ormai Hillary era persa per sempre.
Si chiedeva anche come avesse potuto credere di risolvere il caso basandosi sulla forza dei suoi sogni, e per di più in così pochi giorni. Era stata una follia, un’inutile e tremenda follia, che le imponeva di doversi separare anche da Josh. Avrebbe perso per sempre anche lui.
Era vero che Bonnyrigg distava da Edimburgo non più di una ventina di minuti in auto, ma a quale scusa avrebbe potuto addurre per tornarci? Avrebbe dovuto dire qualcosa tipo mamma, la prossima volta che vai da zia Sarah vengo anch’io, ma prima vorrei passare a salutare un amico. Beh sì, un amico un po’ speciale che mi piace molto. Quanti anni ha? Mi sembra trentasette. No, non avrebbe sicuramente funzionato.
Le restavano soltanto quella notte e il giorno successivo per restare lì, non avrebbe mai concluso o scoperto niente. Era stata stupida a credere di poter trovare qualcosa, a pensare che bastassero i richiami di sua sorella per condurla alla verità.
Eppure Hillary la stava chiamando da qualche parte e per questo Leyla si sentiva una traditrice anche nei suoi confronti. Non era stata in grado di seguirla, di porre tutte le sue attenzioni sulla chiave di pezza. Aveva voluto fare d’istinto, di fretta, mossa dall’ansia di arrivare a qualcosa al più presto, convinta che la soluzione fosse a portata di mano.
Ma si era solo impuntata a seguire la via più semplice, quella che pareva risolvere tutto e subito, ma che non si era rivelata altro che una falsa pista.
Non era stato Paul Gallant a prendere sua sorella. Non l’avrebbe trovata mai più, forse Hillary non sarebbe nemmeno più tornata nei suoi sogni.
Quella sera era scesa per la cena, ma aveva mangiato poco; dopo era rimasta un po’ da sola con Jamie affinché potessero chiarirsi e ristabilire la pace tra loro. Si era scusata e l’amica l’aveva rassicurata con un abbraccio. Leyla, stretta in quell’abbraccio, si era lasciata andare a singhiozzi arrendevoli e rassegnati. Perché oramai aveva soltanto da aspettare che arrivasse l’ora di tornare indietro; avrebbe detto definitivamente addio a Hillary e anche a Josh.
Non le restava altro che cominciare ad abituarsi all’idea, anche se era inaccettabile.
Quella notte, prima di addormentarsi, aveva deciso di lasciare accesa la luce sul comodino e lo era ancora quando si svegliò di soprassalto, sentendo la porta aprirsi.
Si tirò a sedere spaventata e non riuscì a capire per quale motivo Josh stesse entrando, chiudesse a chiave, e le facesse segno di fare silenzio portandosi l’indice alla bocca.
Lo osservò avvicinarsi al letto con il cuore che le martellava come un tamburo nel petto.
<<Leyla>>, la chiamò a bassa voce sedendosi sul materasso, un po’ come aveva fatto la sera precedente; Leyla lo ricordava. Deglutì rumorosamente quando lui le prese il viso tra le mani.
<<Leyla, come posso pensare di lasciarti andare?>>, le sussurrò dolcemente. La ragazza era così stranita e stregata da quelle parole che non fu in grado di rispondere.
<<So che non avrei dovuto>>, riprese dunque l’uomo, ora accarezzandole il viso, <<ma in questi giorni, da quando ti ho vista, non ho fatto altro che pensare a te, giorno e notte>>.
<<A-anch’io. Anch’io ti ho pensato sempre>>, rispose Leyla al colmo dell’emozione.
E dentro di lei, il solito lato impudente cominciava a eccitarsi.
Nel frattempo Josh si era posto in ginocchio sul letto; Leyla aveva fatto lo stesso di fronte a lui e in quel momento l’uomo la stava stringendo in vita.
<<Tu sei una ragazza fantastica, non ho fatto altro che sognarti. So che sei troppo giovane per me, ma ho bisogno di averti prima che tu te ne vada per sempre>>.
Leyla si sentì arrossire e cominciare a tremare.
<<Ma non farò niente che tu non voglia>>, e detto questo avvicinò le sue labbra a quelle della ragazza, attendendo un cenno di questa per andare oltre.
Leyla sentì il suo respiro mischiarsi con quello di Josh e senza poter resistere oltre lo baciò con trasporto. Era il suo primo bacio, ma se la cavò bene. La passione che provava nei suoi confronti liberava con vigore il suo istinto femminile.
Josh a quel punto discese a baciarla sul collo, poi riprese a parlare, <<Te lo voglio chiedere, perché voglio essere in grado di fermarmi>>, ansimava, <<vorresti essere mia per questa notte, Leyla? Vuoi concederti a me?>>, e dicendolo le aveva stretto più forte i fianchi.
Lei si stese supina sul materasso, <<io sono già tua, Josh. Lo sono dal primo istante>>.
Lui allora le sorrise e subito le fu addosso. Leyla percepì lo spessore del suo desiderio che, intrappolato nei pantaloni, ormai premeva su di lei.
Lo baciò di nuovo con foga e affondò le dita tra i suoi capelli, beandosi del suo profumo che sapeva di notte, così come simili alla notte erano i suoi occhi.
Passarono pochi istanti prima che entrambi si ritrovassero senza vestiti; lui le aveva allargato le gambe e, prima di prenderla, le aveva dato un nuovo bacio e le aveva sorriso.
<<Ti amo, Josh>>, aveva sussurrato lei, poi l’uomo era entrato.

Quando si svegliò, quelle ultime parole pronunciate in sogno le risuonavano ancora nella testa: <<Ti amo, Josh. Ti amo, Josh>>. Al primo momento le era sembrato di sentire ancora addosso e tra le gambe il suo calore, ma poi si era resa conto che si trattava soltanto del suo stesso sudore.
La luce era ancora accesa sul comodino, così come l’aveva lasciata prima di addormentarsi e sognare Josh che entrava nella sua stanza per fare l’amore con lei.
Un sogno assurdo, folle, improponibile. Così come era stata assurda e folle l’idea di giungere a Bonnyrigg per trovava la verità su Hillary, quella sorella perduta che forse non sarebbe davvero più apparsa nei suoi sogni. Forse era stata lei stessa a volervi insinuare dentro Josh, perché non poteva accettare di lasciarlo; lei sentiva di amarlo davvero e con tutta se stessa.
Se lui si fosse davvero presentato sul suo letto, chiedendole di fare l’amore con lui, lei non ci avrebbe pensato due volte, anche se aveva soltanto sedici anni contro i trentasette di lui; anche se lei non si era ancora mai donata a nessuno.
Perché Leyla sentiva che non avrebbe potuto amare nessun altro per tutta la vita che non fosse Josh; lui era l’uomo per lei, l’unico che potesse farle provare quei brividi, l’unico che potesse svegliare in lei quel sentimento.
Ma la crudeltà del destino le imponeva di dimenticarlo per forza, di rinunciare a lui, così come sentiva di dover rinunciare a sua sorella Hillary.
Si voltò sul fianco con le lacrime agli occhi, stringendo in una mano il topolino di pezza.
Allungò l’altra verso il comodino e afferrò la statuetta in ceramica della donna e della tigre avvinghiate insieme. Leyla non era ancora una donna, ma si sentiva come una tigre in gabbia.
**
La mattina successiva era rimasta a letto fino a tardi, sebbene non avesse dormito quasi per niente in seguito al sogno su Josh. Se n’era stata lì distesa con lo sguardo rivolto verso il soffitto, a respirare profondamente, stringendo con forza al petto il topolino di pezza; la chiave di pezza che non aveva la sua porta da aprire.
Non aveva pensato in quei momenti, piuttosto si era sforzata di liberare la mente e di perdere il contatto con la realtà. Non voleva sentire più niente, non voleva più rendersi conto di niente.
Di lì a ventiquattro ore sarebbe dovuta tornare a casa con Jamie e, anche se non voleva che accadesse, non poteva farci niente. Ma forse era comunque meglio così: perché dopo il sogno di quella notte dubitava che sarebbe stata più in grado di guardare Josh in volto; già aveva sempre fatto fatica a farlo di suo, le sarebbe diventato totalmente impossibile dopo quell’incontro amoroso ma onirico con lui.
Si era sforzata di scendere all’ora di pranzo, ma quasi subito era tornata in camera; aveva trascorso lì il resto della giornata, un po’ stesa sul letto, un po’ guardando fuori dalla finestra chiusa.
Attendeva rassegnata che giungesse la morte del giorno, quel tramonto che segnava la fine di tutto; perché la volta successiva in cui avesse visto quel sole d’inverno sarebbe stato troppo vicino il momento dell’addio. Sapeva che doveva arrivare, ne era consapevole, ma faticava comunque a realizzarlo. Perché la mattina seguente avrebbe perso tutto.
Il mistero di Hillary sarebbe per sempre rimasto sepolto sotto la neve lucente di quel giorno lontano; una neve che non cancellava, ma avrebbe coperto ancora e ancora, finché non si fosse notato più nulla. Forse sarebbe tornata a dimenticarla e il pensiero era sconvolgente.
Leyla voleva portare Hillary dentro di sé, ma non sarebbe stato così facile, per quanto ancora la amasse, se non era stata in grado di scavare a dovere.
Avrebbe dovuto scavare nella neve rossa, ma non l’aveva trovata.
Addio Hillary. Addio per sempre. Si era ritrovata a pensare mentre già le sembrava che l’oblio le calasse addosso come un’agghiacciante sipario nero. Fine dello spettacolo. Fine dei giochi. Fine delle speranze. Quel che era perduto sarebbe rimasto tale.
Aveva proseguito il pomeriggio ascoltando la musica con il suo lettore mp3, e più volte era tornata indietro alla stessa canzone: perché io scapperei, scapperei, scapperei, scapperei con te. Perché mi sto innamorando di te, no, io non smetterò mai di innamorarmi di te (1) . E quella parte di lei, quella impudente, quella che si faceva sempre più forte e autoritaria, avrebbe davvero voluto poter scappare con lui. Se non poteva riavere indietro sua sorella, desiderava ricavare comunque qualcosa da quel viaggio. Sarebbe fuggita volentieri con Josh, se soltanto lui l’avesse mai considerata (e avesse avuto voglia di infrangere la legge portando con sé una minorenne), e a Leyla sarebbe dispiaciuto soltanto doversi lasciare indietro una persona: Laurie.
Soltanto quell’ultimo giorno si domandò come stesse; la povera piccola Laurie che aveva trovato la chiave che lei non aveva saputo usare e che senza dubbio la stava aspettando impaziente. La sua sorellina. Si rammaricava di aver perso una sorella, ma nel caso fosse mai scappata con Josh ne avrebbe persa un’altra. Avrebbe forse avuto il coraggio di farlo davvero? Non lo sapeva; era certa soltanto del fatto che stava perdendo tutto, persino il controllo di se stessa.
Arrivò a sera senza uscire dalla sua stanza se non per andare al bagno, poi si sforzò nuovamente di farsi vedere al piano di sotto per la cena. Ancora una volta si limitò a spizzicare dal suo piatto più che mangiare, ma pensò che forse, una volta tornata a casa e lasciatasi alle spalle tutta quella faccenda (e Josh. Poteva lasciarsi alle spalle lui, come se niente fosse?) le sarebbe tornato l’appetito.
Appena aveva potuto se n’era tornata in camera e svogliatamente e con rammarico aveva iniziato a preparare la sua borsa dei vestiti.
Cosa avrebbe pensato sua madre se avesse saputo il motivo del suo viaggio? Se avesse saputo che si era recata proprio a Bonnyrigg avrebbe avuto dei sospetti, forse. Leyla pensò che se aveva fatto una cosa giusta nei giorni precedenti, questa era stata proprio il fatto di non aver aperto bocca con sua madre al riguardo. Parlarle nuovamente di Hillary l’avrebbe sconvolta e averlo fatto per niente sarebbe stato inaccettabile e crudele.
Era meglio lasciare che tutto restasse sepolto dalla neve così com’era stato prima che la manina di Laurie scavasse per trovare il topolino di pezza.
Leyla lo teneva in mano, seduta sul bordo del letto, e lo osservava malinconica. Ancora una volta, come la notte prima, prese anche la statuetta sul suo comodino; la mise a confronto con il pupazzo: quelli erano i due simboli di ciò che più aveva amato e a cui era stata costretta a rinunciare.
Erano soltanto due semplici oggetti, ma le stavano facendo del male. Strinse forte il topolino al petto mentre, senza guardare, tornava ad appoggiare sul comodino la statuina della donna con la tigre. Ma senza accorgersene la appoggiò sul bordo; cadde e si ruppe in due, proprio all’altezza della testa del felino.
Le scappò un’imprecazione; una di quelle che i suoi non volevano assolutamente sentirle dire e che lei si guardava bene dal pronunciare in casa.
Nervosamente risollevò la statuetta da terra. E adesso? Le tremava la mano mentre lo pensava.
Quello sì che era un vero colpo di fortuna: era obbligata a lasciare Josh, questo lo sapeva, ma voleva che all’uomo restasse almeno un ricordo positivo di lei; e invece no, era andata a rompere una bel soprammobile che lui aveva accuratamente riposto nella sua stanza. Brava Leyla, davvero complimenti! E quasi le venne voglia di schiaffeggiarsi da sola per non essere stata attenta a quel che faceva. Non che si sarebbe proprio massacrata le guance: uno schiaffetto giusto per tornare in sé non le avrebbe fatto male; ma lasciò perdere, in fondo lasciarsi l’impronta delle sue stesse dita sulla gota non avrebbe rimesso insieme i due pezzi separati.
Ma la colla sì. Quella avrebbe potuto benissimo rimediare al danno, se non perfettamente, almeno un po’. E magari, in quel modo, Josh non si sarebbe accorto subito della statuetta rotta, e così, forse, non avrebbe sospettato di lei.
Bella idea, restava il fatto che non sapeva dove trovare l’occorrente.
Ripeté un’altra volta l’imprecazione di poco prima e poi, in punta di piedi, uscì dalla stanza cercando di non far scricchiolare la porta.
Non si era nemmeno resa conto di aver portato con sé il topolino di pezza.
Mentre camminava si mordeva il labbro inferiore. Temeva che lui si svegliasse, percorresse i suoi stessi passi, e la scoprisse nell’intento di frugare tra le sue cose; a quel punto la scusa ti ho rotto una statuetta, sto cercando la colla, non sarebbe stata né utile né lusinghiera.
Il corridoio era buio, ma non così tanto da non poter scorgere nemmeno i propri piedi, così Leyla riuscì a raggiungere le scale e iniziò a discenderle. Piano. Un gradino alla volta. Certo, sarebbe stato antipatico farli tutti in una volta e magari scendendo di faccia.
Ma fortunatamente arrivò di sotto sana e salva.
Soltanto a quel punto si concesse di accendere una prima luce. Muovendosi sempre con passo felpato pensò a quale poteva essere il posto migliore per cominciare a cercare: l’armadio della sala, i cassetti sulla scrivania, in cucina? Cominciò dal primo: aprì le ante, ma non trovò altro che libri, dischi e qualche vecchia videocassetta dei tempi che furono. Trovò anche qualche scatolina, ma erano tutte vuote o contenenti cose di poco conto.
I cassetti della scrivania le apparvero subito più probabili; aprendoli trovò una grossa confezione di graffette (di quelle che durano tutta la vita e si possono anche tramandare ai posteri), una pinzatrice, forbici, scotch e … la colla. Già, ma era quella a bastoncino, e non avrebbe riattaccato un granché.
L’imprecazione le salì di nuovo alle labbra, ma in questo caso si sforzò di trattenerla.
Dove le restava da guardare? In cucina? Era meno possibile ma non di certo da escludere, anche perché in cucina si potevano trovare, a volte, le cose più disparate: una volta suo padre, in uno dei cassetti, ci aveva lasciato un calzino e questo era tutto dire.
Anche in questo caso, però, non ebbe fortuna: trovò solo gli attrezzi strettamente correlati alla stessa cucina come mestoli, spatole, forchette, coltelli e affini. Ma niente colla ultraresistente.
Uscendo dalla cucina spense la luce e cominciò a tornare verso le scale; stava quasi per risalire quando le tornò in mente la cassettiera vicina all’ingresso.
Un’ultima occasione: forse sarebbe stata quella buona.
Accese la luce del corridoio, spegnendo quelle accese in precedenza.
Aprì il primo cassetto: c’erano solo cavi che non si azzardò nemmeno a toccare per paura di combinare un disastro. Fece lo stesso con il secondo e lì poté concedersi di frugarvi dentro: trovò un vecchio telefono ormai inutilizzabile, vari documenti che non si scomodò a leggere, una pinza e dei dizionari tascabili (uno di questi era inglese – gaelico scozzese).
Il terzo cassetto era vuoto.
Se ne stava per tornare in camera quando le venne in mente che forse non aveva inserito bene la mano nell’angolo a destra del secondo cassetto. E con la fortuna che stava avendo nel trovare le cose, probabilmente la colla che cercava si sarebbe trovata proprio in quel punto.
Comunque stessero le cose, si disse che valeva la pena dare una seconda occhiata, così tornò indietro. Riaprì il cassetto, andò ad analizzare l’angolo che era rimasto oscuro, ma non trovò nulla. Dandosi della stupida spostò da un lato i documenti a cui poco prima non aveva prestato molta attenzione; le era sorto il dubbio di aver cambiato loro posizione inavvertitamente; e se Josh era un poliziotto ci avrebbe messo davvero ben poco per rendersene conto. E nemmeno quella sarebbe stata una gran bella cosa: aveva già fatto abbastanza, non voleva combinare altri disastri.
Ma fu proprio in quel momento che se lo trovò tra le mani.
Nella destra stringeva ancora il topolino di pezza, così vi venne a contatto; era rimasto proprio sotto a quei fogli, tra il terzo e il quarto, e poco prima non ci aveva fatto caso.
Era di terracotta, non di legno, se ne accorse toccandolo; ed era blu. Un sole e una luna sorridenti erano intrecciati nell’abbraccio della loro eclissi. Leyla notò che la cordicella in alto, quella che avrebbe dovuto essere posta sul chiodo affisso alla parete, era rotta da un lato, rendendo impossibile l’esposizione dell’oggetto.
Fin da subito le tremarono le mani. Un indizio da solo non è abbastanza, devono essere tutti uniti. Si disse nelle mente cercando di convincersi, ma le sue gambe iniziarono ugualmente a muoversi verso quella porticina che aveva notato di sfuggita il giorno del suo arrivo; quella dello scantinato che si trovava proprio accanto al vano-scala.
Quella porticina che però era marrone.
La porta rossa da sola non era bastata, lo stesso doveva valere per il sole-luna blu.
Quando vi fu di fronte si ritrovò a osservare la parete bianca proprio al di sopra dello stipite superiore: lì c’era un segno circolare nero, ma era poco calcato e si distingueva appena se non si guardava con attenzione. O meglio, se non si sapeva dove guardare.
Lo strinse forte tra le mani e, nello stesso tempo, strinse forte anche il topolino di pezza: la chiave bianca. La chiave di pezza. Aveva davanti una porta in quel momento e, anche se non era rossa, doveva comunque azzardarsi ad aprirla. Quando provò, constatò che era chiusa a chiave.
No. Non Josh. Non Josh. Tutti ma non lui. Io lo amo. Pensava tremando.
In quel momento le restava una sola cosa da fare: andare a chiamare Jamie e lasciare che fosse lei a prendere in mano le redini della situazione.

Quando le mostrò il sole-luna blu, Jamie si preoccupò che Leyla fosse sul punto di svenire: tremava vistosamente ed era pericolosamente bianca in viso. Anche lei si era quasi sentita mancare in quel momento, ma prendendo il controllo di sé si era diretta al piano di sotto con la sua giovane amica.
Con sé aveva portato una forcina per capelli: aveva detto che non si passano tanti anni in polizia senza imparare qualche trucchetto dai fetenti a cui si corre dietro; così, appena fu davanti alla porta, si adoperò per allineare con la forcina tutti i pistoncini della serratura. La sua mano, a differenza di quelle di Leyla, non tremava. Ma lei sapeva bene che Jamie era in grado di essere una donna di polso e mantenere il sangue freddo, per questo se l’era sentita, undici anni prima, di cimentarsi nelle ricerche di Hillary sebbene conoscesse sua madre, e questo rendesse il compito più arduo e sgradevole.
Non le ci vollero più di un paio di minuti. Per tutto quel tempo Leyla aveva continuato a pensare che dovesse per forza trattarsi di un sogno, perché quel che stava accadendo era assurdo; non certo meno dell’amore tra lei e Josh sul letto della sua stanza.
Quando la porta finalmente si aprì, Jamie tastò la parete adiacente per cercare l’interruttore; in breve lo scantinato fu illuminato da una debole e intermittente illuminazione aranciata.
Non era un granché, ma fu più che sufficiente: ai piedi della scala che discendeva verso il sotterraneo, nell’angolo in fondo a sinistra, c’era una bambina legata e con il capo reclinato su una spalla. Sia Jamie che Leyla, dopo un primo istante di stordimento, si fiondarono verso di lei; la donna le sollevò la testa e cominciò a esaminarla. Per prima cosa le sentì il polso ponendole due dita sulla carotide: era viva, ma il battito era molto debole, per di più era priva di sensi.
Guardandola in viso Leyla riconobbe subito Mary Johnson, la bambina di cinque anni scomparsa da un mese e mezzo di cui aveva notato il fascicolo il primo giorno in centrale.
Quella centrale dove Josh lavorava. Dove lavorava anche undici anni prima.
<<È quella bambina scomparsa, Jamie, ti ricordi? È Mary!>>, esclamò facendo attenzione a non alzare la voce, ma Jamie parve non ascoltarla: stava continuando a esaminare la bambina. Leyla seguì con gli occhi il percorso delle sue mani. Vide le vene del braccio bucate e si accorse solo in quel momento che la piccola non indossava la biancheria intima; e lungo le cosce le scendeva del sangue. Non Josh. Non Josh. Tra le dita dei piedi, invece, le stava camminando una cimice.
Jamie sciolse le corde che stringevano i polsi della bambina e la prese in braccio, poi sia lei che Leyla si alzarono in piedi. Fu proprio in quell’istante che, guardandosi per la prima volta intorno, notarono le ossa: c’era un teschio proprio a poca distanza, ma ce n’erano di tutti i tipi nell’angolo opposto dello scantinato; a Leyla salì in gola un conato. Non vomitò soltanto perché la porta sbatté chiudendosi e la distrasse. Entrambe sobbalzarono. Lo pensarono, anzi, ne furono certe: Josh si era svegliato, le aveva scoperte e le stava chiudendo dentro. Più tardi avrebbe fatto di loro ciò che preferiva, così come aveva fatto con la piccola Mary.
Jamie però si impose di ritrovare il suo sangue freddo e, sempre tenendo la piccola tra le braccia, avanzò lungo la scalinata. Portò la mano ora tremante verso la maniglia, la abbassò e tirò un sospiro di sollievo quando l’uscio si aprì.
<<Presto, Leyla andiamo fuori di qui. Dobbiamo chiamare subito gli altri agenti>>, le intimò decisa, ma la ragazza non dava segno di volersi muovere o di averla anche solo sentita.
<<Leyla, che ti prende, muoviti!>>, la incalzò di nuovo, questa volta con più impeto.
<<La porta>>, rispose la ragazza con voce assente, <<cosa?>>, fece Jamie senza capire.
<<La porta>>, ripeté l’altra, sempre con lo stesso tono. La donna più grande allora voltò lo sguardo verso il lato interno della stessa. Sgranò gli occhi quando se ne rese conto.
<<È rossa>>, concluse Leyla in un sussurro gelido. E lo era, anche se solo internamente.
Il quadro si era completato: c’era la porta rossa, la chiave di pezza, il sole-luna blu. C’era anche il sangue, anche se in quel momento vedeva solo quello di Mary Johnson.
Era certa che tra quelle ossa nell’angolo ci fossero anche quelle di Hillary, ma non solo le sue.
Il suo amore per Josh si sgretolò tutto in un solo istante; insieme a questo però crebbe in lei, improvvisa e prepotente, la necessità di andarsene.
Corse sulle scale e raggiunse Jamie. Insieme a lei, e alla bimba svenuta tra le sue braccia, lasciò l’abitazione del mostro che aveva amato e al quale aveva sognato di unirsi.
Appena furono fuori chiamarono le forze dell’ordine.

EPILOGO


Josh Scott era stato arrestato e sottoposto, già quella notte, a un lungo interrogatorio. Verso le quattro del mattino aveva confessato il rapimento, lo stupro e l’assassinio di Hillary Moores, avvenuti undici anni prima, e con questi le sevizie inflitte ad altre sedici bambine nell’arco di quindici anni, compresa la piccola Mary Johnson, trovata ancora viva nel suo scantinato.
L’uomo rapiva le sue vittime, le teneva legate in cantina, drogandole affinché non si accorgessero di nulla e non fossero in grado di reagire o di farsi sentire, e così, non appena i suoi appetiti si risvegliavano, scendeva a violentarle senza che queste potessero nemmeno tentare di difendersi. Nel momento in cui si stufava di una di loro, o semplicemente ne trovava un’altra che lo attraeva di più, si sbarazzava della precedente sgozzandola come un maiale al mattatoio.
Aveva sempre lasciato le sue vittime nello scantinato a decomporsi, usufruendo di un depuratore d’aria perché ai piani superiori non giungesse l’odore dei cadaveri. Quel che Josh Scott amava di più, oltre a infliggere la violenza carnale alle piccole, era conservare le loro ossa come trofei; aveva sostenuto di amarle particolarmente.
Tra queste erano state rinvenute delle piccole costole recanti ancora addosso qualche brandello di stoffa verde; Leyla era stata certa fin dal primo istante che quelle fossero le ossa di Hillary, per questo non si sorprese quando il test del DNA lo confermò.
Non aveva sofferto per la sua scoperta, non aveva pianto né si era disperata: in lei non esisteva più la minima traccia del suo amore per Josh, come se questo non fosse mai esistito.
Il suo era rimasto un amore fantasma, destinato a dissolversi completamente nel nero di una notte simile agli occhi dell’uomo. Per lei non solo Josh non esisteva più, ma non era proprio mai esistito.
Quel che contava, ormai, era solo aver trovato Hillary, averle restituito la pace di cui aveva bisogno e che cercava disperatamente da quando era stata uccisa, e averle anche assegnato quel posto legittimo e insostituibile nel suo cuore, che le avrebbe permesso di portarla sempre con sé, andando avanti, ma senza dimenticarla.
Perché Leyla voleva che Hillary restasse per sempre una parte di lei, come era giusto che fosse.
Ma Leyla aveva anche scoperto che esisteva qualcosa di ancora più importante del ricordo di Hillary, sebbene non se ne sarebbe separata mai più: era Laurie. La sua sorellina, come immaginava, l’aveva attesa con trepidazione durante tutti i sei giorni d’assenza ma, nonostante questo, non aveva fatto parola ai genitori del loro segreto. Perché Laurie non si sarebbe mai permessa di perdere la sua fiducia.
Al suo ritorno, Leyla le aveva raccontato tutto, ovviamente all’interno dei canoni di quel che si può dire a una bambina di cinque anni: qualcosa come ho scoperto che c’era un uomo cattivo che ha fatto del male alla mia sorellina e l’ha uccisa, ma adesso è in galera e ci resterà per tutta la vita.
Laurie era stata felice per lei, perché aveva ritrovato quella parte mancante di sé che la rendeva incompleta. Anche a sua madre aveva fatto bene conoscere la verità: dopo lo shock iniziale si era rilassata, riuscendo ad accettare la conferma della fine di sua figlia.
Che fosse morta, Samantha se lo aspettava, quindi si sentì sollevata all’idea di poterle finalmente concedere una sepoltura decente. Questo almeno era ciò che aveva detto lei, ma Leyla credeva che fosse più serena perché finalmente sapeva dove trovarla, a ogni modo l’aveva vicina, e poteva pensare a lei senza farsi troppo male, perché il tempo aveva già lenito le vecchie ferite.
La cosa più dura da accettare per tutti non fu tanto la certezza della morte di Hillary, quanto l’idea delle violenze che aveva subito prima che il mostro la finisse.
Ma quel che più importava, dopo undici anni, era conservare il pensiero di lei come qualcosa di concreto, di esistente, e non più come uno spiffero d’aria gelido che porti a irrigidirsi. Hillary non sarebbe mai più stata relegata nell’oblio pur di sfuggire alla paura del suo ricordo.
Finalmente tutti potevano concedersi di pensare a lei.
E anche Laurie volle fare la sua parte, anche se non l’aveva mai conosciuta; era trascorso più di un anno quando Leyla si sentì pronta per affrontare concretamente il pensiero di Hillary. Fino a quel momento non aveva avuto più problemi a ricordarla, ma far visita alla sua tomba era tutta un’altra cosa. Si era finalmente decisa ad avvicinarsi al suo monumento proprio il tredici di febbraio, dodicesimo anniversario della sua scomparsa. Era stata Laurie a domandarle se poteva andare con lei, e Leyla ne era stata segretamente sollevata, anche se le sembrava assurdo pensare di attingere coraggio dalla sua sorellina di sei anni. Chissà come sarebbe stata Hillary a sei anni?
E quel giorno, come quello lontano, c’era la neve.
Le due sorelle camminavano mano nella mano e si dirigevano in silenzio verso il luogo di eterno riposo di Hillary. L’unico suono era quello del vento anche se, ascoltando attentamente, pareva di sentire anche qualcos’altro: era la melodia silente e incantatrice delle neve, quella che conduce a sé ed evoca la più immensa calma e allegria che si possano sperimentare.
Non che Leyla e Laurie fossero particolarmente felici in quel momento, ma serene lo erano di sicuro, ed era facile lasciarsi cullare dall’armonia percepibile solo nella totale assenza di suoni.
Leyla teneva in mano il topolino di pezza. Fino a quel momento aveva desiderato tenerlo con sé, non aveva permesso a nessuno di toccarlo, ma ormai aveva capito quale fosse il suo posto.
Perché quello era meglio di un mazzo di fiori: il topolino era di Hillary e spettava a lei. Era la sua chiave: la chiave bianca. La chiave di pezza.
La bambina e la ragazza si tenevano ancora per mano mentre osservavano la lapide che riportava il nome della loro sorella scomparsa; una sorella ritrovata per Leyla, una da scoprire per Laurie, ma in fondo la bimba sapeva di averla conosciuta. Lei l’aveva vista in sogno e l’aveva trovata: ormai ricordava i tratti del suo viso e le voleva bene già così, non le serviva altro.
Leyla chiuse gli occhi e volle assaporare quel momento come se si trattasse di un ultimo incontro; o forse era il primo: perché dopo tutto quel tempo trascorso prima a non ricordarla, poi a rievocare la sua immagine, essere lì era come averla accanto per la prima volta. Era come darle il permesso definitivo di insediarsi in lei.
Leyla e Hillary erano come un sole-luna di terracotta rottosi a metà tanto tempo prima, e finalmente rimesso insieme indissolubilmente.
Leyla amava l’idea di poter avere sempre con sé entrambe le sue sorelle; la sua Hillary, che non avrebbe mai più lasciato andare via dai suoi ricordi, e la sua Laurie, che non si sarebbe mai permessa di perdere.
Ed era stata proprio la piccola a rendere possibile tutto ciò: Laurie che aveva trovato la chiave e, inconsapevolmente, l’aveva spinta a cercare la porta.
Aveva avuto ragione Jamie: non era stato un caso se il topolino di pezza era stato trovato proprio da lei. Ma forse anche Hillary aveva la sua parte di merito: se Laurie non avesse trovato il topolino di pezza sepolto nella neve sarebbe andata avanti, si sarebbe allontanata di più.
Forse a Josh sarebbe piaciuta più di Mary Johnson, e l’avrebbe presa come aveva fatto con Hillary.
Leyla si chinò, posò un braccio attorno alle spalle della sorellina e le sussurrò qualcosa all’orecchio; la piccola annuì. Leyla le consegnò il topolino di pezza e Laurie si mosse piano, un passo alla volta, e andò ad adagiarlo accanto alla tomba.
Hillary aveva di nuovo quel che era suo; finalmente avrebbe dormito serena.
Quando Laurie si voltò verso la sorella, questa fu certa, per un istante, di vedere al posto del suo il volto di Hillary. Fu questione di un solo attimo, ma la visione fu nitida.
La neve nasconde, ma non cancella; se si scava a fondo la vita può tornare alla luce, anche attraverso la morte. Perché Hillary, Leyla non aveva dubbi, ormai stava vivendo in Laurie.
E dalla neve saliva ancora la melodia silenziosa.
19 luglio- 3 agosto 2012
FINE
 
(1) Questo estratto è la traduzione del ritornello della canzone “Runaway” dei Corrs.
 
*lady in blue*
 
PS: Ora, per quanto riguarda le pubblicazioni, prima di passare alla trattazione veloce del Sound Asleep EP degli Evanescence, tornerò tra qualche giorno per postare un breve scritto un po’ particolare …

3 commenti:

  1. Ci ho messo un po' a lasciare il commento a questa storia anche se a leggerla ho impiegato appena poche ore. Come al solito il tuo stile è scorrevolissimo e si va avanti con piacere. Ho aspettato quasi due settimane a commentare per avere il tempo di raccogliere le idee. Ho trovato la storia molto sfaccettata, nel senso "piena di spunti su cui lasciare due righe".
    Innanzitutto l'ambientazione invernale che la fa da padrone. Si svolge durante le vacanze di Natale, quello che dovrebbe essere un periodo di gioia e che invece la famiglia di Laurie deve passare separata perchè Leyla non sopporta più di mettere piede nella casa della zia materna dopo lo shock subito da piccola. Poi c'è quella sorta di magica apparizione dello spirito di Hillary bambina, che non riesce a trovare pace e decide di incontrare Laurie, una bambina come lei, forse proprio per la sua simile età, perchè i bambini non sono ancora disincantati come gli adulti e credono a ciò che vedono e accettano il possibile e l'impossibile senza farsi troppe domande. Credo che sia questo il motivo per cui Hillary si sia mostrata a Laurie, a parte il fatto che Leyla ormai l'ha dimenticata (direi piuttosto "cancellata" più o meno consapevolmente).
    E poi c'è, a fare da protagonista, lo strettissimo legame (sopito ma ancora esistente, che basta un input per risvegliarlo!) che collega la gemella vivente alla sorella scomparsa, un legame che continua a persistere anche se una delle due ormai è morta da anni (e poi che morte!). Lo spirito di Hillary cerca pace e nello stesso tempo sembra anche cercare vendetta nei confronti di chi le ha fatto del male e sta continuando a farne ad altre bimbe innocenti.
    Infine c'è l'aspetto macabro del poliziotto bellissimo, buonissimo e perbenissimo che nasconde le sue vittime in cantina, ne abusa e le uccide quando si è stancato di loro. Una trama quasi alla Stephen King...
    Azzeccato lo spazio che dai alla serie di oggetti, dal pupazzo a forma di topo, al soleluna, alla porta rossa, una serie di indizi tipici di un giallo, che si susseguono uno dopo l'altro, con scoperte successive fino alla grande spiegazione finale.
    Tra tutti ho apprezzato in particolar modo il personaggio di Laurie. E' il più bello, più fresco, più ingenuo. Non ha paura della bambina che incontra nella neve, si preoccupa che la mamma sia stata in pensiero per la sua sparizione improvvisa, teme che qualcuno la sgridi perchè ha trovato il pupazzo, riesce a mantenere il segreto che le impone Leyla, accetta senza riserve, da un giorno all'altro, la presenza di una sorellina che non ha mai conosciuto e decide di accompagnare la sorella maggiore al cimitero per dare l'ultimo addio a Hillary. E poi, quando la fai parlare, sembra davvero di sentire le parole di un bambino.
    Parentesi finale. Non ho creduto, neppure quando me lo hai fatto sperare, che Hillary fosse ancora viva e fosse stata adottata. Me lo sentivo che non era così e stavolta ho indovinato!
    Mi è piaciuta molto la foto che hai messo all'inizio della storia. Tieni presente che è stata così evocativa che nella mia testa ho fatto svolgere proprio in quel viale il primo capitolo.
    Yoshiko

    RispondiElimina
  2. Pensa che, dopo aver finito di scrivere questa storia, mi sono detta che non ne ero per niente convinta. Ho sempre pensato che avrei potuto svilupparla meglio, aggiungendo maggiori dettagli, cercando di mantenere più "sopito" il mistero e, a un certo punto, mi sono quasi detta che prima o poi potrei provare a riprenderla e a costruirci qualcosa di più, ma si sa ... si pensa così, poi non è detto che l'ispirazione arrivi.
    Sono contenta che, comunque, il racconto ti abbia ispirato queste sensazioni e che tu abbia captato le, chiamiamole così, "immagini importanti" che ho voluto disseminare qua e là. L'ambientazione invernale è davvero la prima; come mi sembra di aver scritto, è stata proprio questa a ispirarmi, anche se la trama mi era venuta in mente nei mesi estivi (come al solito, normalità zero) ... l'immagine della neve mi ha ispirato molto: la vedo come portatrice di calma, di stasi, di riflessione, ma anche di rassegnazione. E, alla fine di questa storia, di rassegnazione ce n'é di certo, perché finalmente tutta la famiglia può accettare la morte di Hillary, sapendo dove trovarla.
    Mi fa piacere sapere che ti sia piaciuto il personaggio di Laurie ... a essere sincera, è quello che preferisco anch'io, in questa storia. Di fatti, se dovessi scegliere un capitolo da prediligere direi senz'altro il primo, dedicato interamente a lei ;). Ovviamente sono contenta anche che tu abbia notato l'importanza del legame fortissimo tra le due gemelle ... certo, Leyla ha come "dimenticato" Hillary, ma la sua è stata una sorta di autodifesa e, forse, solo una volta cresciuta poteva tornare ad affrontare tale perdita, sentendo di dover dare alla sorellina scomparsa la pace che questa sembra cercare.
    Sono contenta che la storia, a ogni modo, ti abbia lasciato delle impressioni positive ... ti assicuro che io non ne ero convinta per niente, avevo anche pensato di scriverti per consigliarti di lasciarla momentaneamente indietro, ma poi ho lasciato stare, pensa te! Ti ringrazio ancora ... come farei senza le tue recensioni? ;)

    A presto!

    PS: Ho cominciato ieri a rileggere Leaves ... adoro quella storia! ;)

    RispondiElimina
  3. Se vuoi consigliarmi di lasciare indietro qualche storia non hai che da dirlo! Sei stata così disponibile quando ti ho parlato di VS2 che lo farei volentieri, se può darti tranquillità. Penso che questa storia abbia un grande potenziale che può essere sviluppato, come dici tu, approfondendo delle cose (ma il primo capitolo non lo toccherei) e lasciando più misterioso il finale (anche se mi pare a sorpresa anche così).
    Il tuo PS mi fa molto piacere, sono sicura che noterai delle "chicche" che ho aggiunto nei primi capitoli solo a storia finita, che sembrano riferirsi ironicamente a ciò che succederà in seguito. Sicuramente ora che hai letto anche Snow, te la godrai di più. Ma non è questo il posto adatto per parlare delle mie ff, quindi ci risentiamo alla prossima storia e se hai qualche appunto da farmi su Leaves (ovviamente sempre bene accetto), hai sempre la mia mail (conto di risponderti presto anche lì, ho un sacco di cose da dirti!).
    Yoshiko

    RispondiElimina