world of darkness

world of darkness

venerdì 14 giugno 2013

La chiave di pezza (Cap.1)

Originariamente postato sul vecchio blog l’8 settembre 2012

Ari-salve a chiunque bazzichi di qui!!
Avevo pensato, all’inizio, di postare il commento a un altro libro, ma preferisco farlo un po’ più con calma, anche perché, ancora una volta, dovrei parlare di un testo letto mesi fa e ci vuole preparazione, eh eh…
E allora perché no? Ho scelto di postare il primo capitoletto di un mio racconto, questo scritto all’incirca tra la fine di luglio e l’inizio di agosto di quest’anno. E’ venuto fuori un po’ lunghino per essere un semplice racconto, e proprio per questo motivo ho deciso di suddividerlo in sei capitoli più l’epilogo. Li posterò una alla volta, quando mi gira
L’ispirazione per questo racconto me l’ha data la neve. Sì, mi direte giustamente, ma se l’hai scritta tra fine luglio e inizio agosto dove diavolo avresti visto la neve? Già, bella domanda. Diciamo che questa è una di quelle storie che nascono da un’immagine che, dal nulla, prende forma nella mente … ci ho messo anche un po’ a sviluppare la trama, proprio perché all’inizio non era altro che un’immagine: quella di una bambina che cammina tra la neve e … beh, leggere per scoprire
Alla fin fine poi, tra uno sforzo e l’altro del tipo miseriaccia, da questa immagine mentale dovrà pur venirmi in mente una benedetta trama, sono riuscita a estrapolare il resto, ma non so quale sia effettivamente il risultato finale.
Non è di certo una storia molto allegra, ma su questo non c’erano dubbi, ma non credo di possa collocare in un genere preciso.
Si intitola La chiave di pezza, che si riferisce a …. …. …. …. ….



LA CHIAVE DI PEZZA


 I

 LAURIE


Ciò che a Laurie più sembrava incredibile della neve, era il silenzio che produceva; un silenzio attrattivo e cullante. Ipnotico, si potrebbe dire.
Quella della neve che cadeva era la visione più rilassante che potesse esistere, e anche la più magica.
Sua madre le aveva detto di non allontanarsi dal cortile, ma si sa, i bambini sono fatti per disobbedire e Laurie, dall’innocenza dei suoi cinque anni, non faceva eccezione.
E poi quella neve era così soffice, così bianca e cristallina, che era stato impossibile per lei non lasciarsi travolgere dal suo richiamo insistente.
Sì, perché in quel silenzio esisteva un richiamo che spinge ad andare avanti, a voler scoprire se, lì dove non si arriva con gli occhi, la distesa bianca sia sempre la stessa, sempre uguale, oppure abbia un punto di fine; ma vista dalla sua posizione, la neve per Laurie sembrava coprire il mondo intero, non poteva esistere un luogo che non fosse baciato da quella coltre di ghiaccio.
La neve però era anche proibita: non poteva essere toccata con la mano nuda, e nello stesso modo sembrava custodire un segreto, quasi la risata trasparente dei giochi d’inverno di bambini ormai troppo cresciuti. La neve ricopre il passato, ma non lo cancella.
Così Laurie si era allontanata quasi senza pensare, seguendo quella melodia inudibile e quel senso di magico mistero che la attraeva come una calamita.
Era splendida la neve; era un sogno.
Indossava il suo cappottino rosso; anche cappello e guanti di lana erano rossi. Il rosso è il colore perfetto per il giorno di Natale.
Ma quel rosso si stava tingendo di bianco, perché i fiocchi cadenti dal cielo non sembravano intenzionati a demordere; pareva davvero che volessero scendere in eterno.
Cadevano e danzavano sulle note silenti di una risata appena accennata; e sul fruscio prodotto da quelle scarpette che avanzavano ormai completamente sepolte.
Laurie aveva freddo ai piedi: le si stavano congelando, perché la neve era penetrata nelle calze e si era fatta acqua gelida. Stava quasi pensando di tornare indietro; forse la mamma si era accorta della sua assenza, forse si stava preoccupando e, peggio ancora, arrabbiando parecchio.
Laurie non ci teneva proprio a prendersi una bella sculacciata il giorno di Natale e, poco ma sicuro, una bella pacca sonora sul di dietro non gliel’avrebbe tolta nessuno se sua madre avesse perso le staffe, nemmeno Babbo Natale in persona con tutte le renne.
Sua madre Samantha era molto severa riguardo a questo genere di cose.
Generalmente era solo Leyla a prendere le sue difese, ma quel giorno sua sorella aveva preferito restare a casa con papà; lei non voleva mai andare a casa della zia, Laurie non sapeva bene perché. Anzi, non ne aveva proprio idea; non glielo aveva nemmeno mai chiesto.
Comunque stessero le cose, e nonostante ciò che la sua mente tentava invano di dirle, Laurie seguitò per la sua strada, dimenticandosi persino del pericolo – sculacciata.
Diventava sempre più difficile muoversi tra la neve: i fiocchi continuavano a cadere sempre più fitti, sempre più insistenti, e poi ora ci si era messo anche il vento, che ululando e agitandosi la respingeva indietro, come un guardiano posto dinanzi a una porta che non debba essere aperta.
Una porta che custodisca un segreto.
Ma quella curiosità interiore che non era vera curiosità, quell’attrazione indefinibile, le imponeva di sfidare quel guardiano immaginario perché si convincesse a lasciarla passare, anche con le cattive.
Un passo, due, tre. I piedi ghiacciati le facevano male e poi era così difficile andare avanti.
Lasciò che le ginocchia le si piegassero, e stancamente si sedette sulla coltre fredda e immacolata.
Si guardò intorno mentre si stringeva nelle braccia per via del gelo. Quanto si era allontanata? Ricordava ancora come raggiungere la casa della zia? Le sembrava di sì ed era quasi sicura che quel puntino in fondo in fondo, quello piccolo e marroncino, fosse proprio la sua dimora.
Sorrise tra sé e sé sentendosi rassicurata poi alzò lo sguardo al cielo, mentre con la manina ricoperta dal guanto sfiorava la neve in una soffice e inconsapevole carezza.
Socchiuse gli occhi quando la fitta tempesta bianca le si abbatté in viso; il vento che soffiava tutto attorno a lei sembrava quasi una melodia, una musica nostalgica propria dei tempi andati e a Laurie piaceva immaginare che l’inverno potesse durare per sempre.
Perché la stagione più fredda è la culla del cuore e delle sensazioni inafferrabili, e la neve è il loro lenzuolo.
Fu quasi senza accorgersene che aprì le labbra come per accogliere quei fiocchi cadenti, come se volesse sentirne il sapore, ma appena questi le si posavano sulla lingua subito si scioglievano, senza soddisfare la sua curiosità. Perché no? Si domandò allora. Non può far male. E con il guantino rosso sollevò un pugno di neve e se lo avvicinò alla bocca.
Lo addentò quasi fosse una mela o qualunque altro frutto gustoso e lasciò che il suo succo immaginario le colasse fin sotto il mento.
Quando inghiottì si rese conto che non era stato un granché: la neve era insapore e finiva con il far dolere qualche dente sensibile, però l’idea di assaggiarla era stata irresistibile.
Fu per questo motivo che la morse di nuovo, poi ancora, e un’altra volta.
Le veniva da ridere di se stessa, perché nonostante quel gioco fosse privo di senso non riusciva proprio a dissuadersi dal farlo.
La neve era un paradiso; sì, se davvero esisteva quel luogo, doveva essere ricoperto di neve, più che pieno di nuvole.
Anche perché non serviva avere sei anni, e quindi andare alle elementari, per capirlo: camminare sulla neve era possibile (anche se a volte un po’ difficile), ma sulle nuvole … diciamo che non era probabile.
Con la manina infreddolita afferrò un’altra manciata di neve, ma quasi subito la lasciò ricadere e rimase per qualche istante a osservare quella zampa di pezza che fuoriusciva dalla coltre bianca.
Era sorpresa, affascinata, ammaliata. Ma aveva anche un po’ di paura.
Le sembrò d’un tratto che il canto del vento si facesse più forte e più lugubre e avvertì un brivido.
Dopo qualche istante di stordimento mosse di nuovo la mano e, anche se un po’ titubante, afferrò quel piede di finto pelo e lo tirò verso di sé.
La neve che ricopriva il pupazzo corse via come se avesse ricevuto l’ordine di dileguarsi.
Laurie lo prese con entrambe le mani e lo guardò: era bianco, anche se forse un tempo lo era stato di più, e a forma di topolino. Le sue orecchie erano grandi e rotonde e dalla bocca sorridente (i topi sorridono? Non l’avrebbe mai detto) spuntavano due dentoni. Laurie li toccò: erano morbidi, di pezza anch’essi.
Il topolino portava un gilet marrone che lo rendeva davvero buffo; Laurie infatti si ritrovò a sorridere. Ma nel fondo del suo sorriso si nascondeva uno strano brivido. Che cosa ci faceva un topolino di pezza sepolto sotto la neve? Che un altro bambino l’avesse perso prima che iniziasse a nevicare? Laurie si guardò intorno, forse sperando che il proprietario del pupazzo si facesse vivo di gran corsa, forse sperando proprio il contrario.
Sorrise di nuovo al topolino di pezza poi rivolse ancora lo sguardo in direzione del cielo e della neve che da esso continuava a cadere.
Improvvisamente si accorse di avere davvero freddo e, non seppe perché, sentì l’impulso di muoversi verso la casa della zia.
Prima di cominciare a tornare indietro, si infilò il topolino di peluche nella tasca interna del cappotto rosso ormai ricoperto di bianco.
Poi tentò di correre sulla neve candida, mentre il vento sembrava quasi contento di sospingerla lontano da lì.
**
Arrivata a casa della zia le era toccato fare i conti con la madre disperata. Doveva essere mancata per un bel po’, perché lei si era accorta della sua scomparsa e, in lacrime, era in procinto di chiamare la polizia. La zia cercava di tranquillizzarla, ma pareva non ci fosse verso.
Quando poi Laurie entrò in casa, ormai imbiancata da capo a piedi, Samantha le era corsa incontro visibilmente sconvolta e, dopo i primi baci e abbracci dettati dalla gioia, immancabile era arrivata la sculacciata, più qualche parola detta ad alta voce. Qualcosa tipo: ma si può sapere come ti è venuto in mente? Non devi allontanarti da sola, Laurie. Mai più. Dio, che spavento!
Ma per fortuna la zia si era dimostrata clemente (forse perché era il giorno di Natale) e aveva tranquillizzato la sorella, facendole notare che era tutto a posto, non era successo nulla.
In effetti era così, Laurie non comprendeva molto quella reazione esagerata della mamma, ma immaginò di averla fatta davvero spaventare.
Forse il richiamo della neve attirava a sé soltanto i bambini, solo loro potevano capire.
Comunque fosse, Laurie sistemò meglio il topolino di pezza nella sua tasca, poi si tolse giacca, guanti e cappello.
Non voleva che nessuno vedesse il suo piccolo tesoro; non sapeva perché, eppure le sembrava quasi di aver fatto qualcosa di sbagliato. Il pupazzo era sommerso di neve, ma lei aveva quasi l’idea di averlo rubato, di averlo sottratto a un bambino che in quel momento doveva essere in lacrime.
Era come se se lo fosse preso con la forza, ma sapeva che quella sensazione non aveva senso.
Indirizzò un ultimo sguardo fuori dalla finestra, alla distesa di neve che pareva infinita e mentalmente domandò scusa al legittimo proprietario del topolino, ovunque questo si trovasse, poi si impose di non pensarci più e, dopo essersi scusata con la mamma, questa volta a voce, per la sua marachella, si dedicò al progredire del giorno di Natale.
Aiutò la zia a preparare i biscotti al burro, mise lo zucchero a velo sugli altri dolci (e ne mangiò un po’ di nascosto) e si riempì la pancia a sazietà con le prelibatezze cucinate da zia Sarah.
Ricevette anche i regali da parte della zia (quelli di mamma, papà e Leyla li aveva aperti quella mattina a casa): ricevette una bambola vestita di azzurro, un cavallo di pezza e una gonnellina scozzese con i quadri rossi. In Scozia, un po’ d’orgoglio nazionale non mancava mai, specialmente nei giorni di festa.
Per il resto della giornata si era giocato, cantato e ogni malessere sembrava essere stato cancellato. Solo ogni tanto a Laurie pareva che il sorriso della madre si incupisse, e che d’improvviso fosse scossa da un brivido. Forse ripensava alla paura che aveva provato quando non l’aveva più vista nel cortile. A ogni modo, quando Laurie vedeva quello sguardo che si faceva d’un tratto assente, le veniva istintivo rivolgere il proprio fuori dalla finestra, in direzione della neve che non aveva ancora smesso di cadere. E anche lei sperimentava un brivido a quel punto; si trattava solo di una scossa veloce, appena percepibile e svaniva subito. La sentì tre o quattro volte, ma se ne dimenticò, perché non sembrava per nulla importante.
Fuori però la neve continuava a cadere. Soffice, silenziosa, morbida e pacata. Forse anche un po’ insensibile. Laurie si ritrovò a sperare che il topolino di pezza, nella sua tasca interna del cappotto, non cominciasse improvvisamente a squittire.
Perché la bimba aveva l’impressione  che questo volesse, dovesse farlo, come se fosse naturale per lui attirare su di sé l’attenzione.
Se la neve doveva essere davvero una porta chiusa e inaccessibile, sembrava che quel pupazzo sorridente e con gli incisivi sporgenti ne fosse la chiave.
Ma no, è solo un topolino di pezza. La tranquillizzò una voce nella sua testa. Solo un topolino di pezza.
Trascorse tutto il pomeriggio a casa della zia; ogni tanto pensava a Leyla e a che cosa questa stesse facendo da sola a casa con papà. Si augurò che anche loro stessero passando un bel Natale, anche se forse la neve non doveva essere così bella, vista dalla finestra del loro appartamento.
Niente a che vedere con un letto bianco tanto grande da sembrare infinito.
Ma forse erano abbastanza felici anche loro. Leyla lo era quella mattina: prima che uscisse con la mamma l’aveva abbracciata e, sorridendole, le aveva detto di comportarsi bene.
Era vero che si era allontanata disobbedendo alla mamma, ma a parte quel piccolo particolare era stata un angioletto.
E poi quella camminata improvvisata sulla neve non era stata una sua idea; le gambe si erano mosse da sole, era stato davvero come essere attratta da una calamita.
Quando finalmente, in serata, salutò la zia e salì in macchina con la mamma per tornare a casa, stava nevicando un po’ di meno, ma a madre e figlia ci volle comunque un po’ per tornare a Edimburgo. Normalmente, a percorrere quei tredici chilometri da Bonnyrigg non si impiegavano più di una ventina di minuti, ma quella sera, per via della neve, ci vollero più di due ore.
Sul sedile posteriore, mentre osservava il manto bianco velato dal mistero attraverso il suo finestrino, e tenendo una mano appoggiata sul topolino di pezza nascosto nella sua tasca, Laurie si addormentò.
E fece un sogno.

Si trovava sulla neve, così come era avvenuto realmente quel giorno, ma era molto più lontana dalla casa della zia. Non c’era nessun punto marrone nelle vicinanze.
Camminava rendendosi conto di essere lì da ore, senza però ricordare nient’altro che precedesse quel momento.
Il vento soffiava forte e sembrava quasi che parlasse; la sua però era una lingua incomprensibile.
Senza perdersi d’animo e senza piangere (Laurie era una bambina coraggiosa: non piangeva quasi mai) si era fatta coraggio e aveva ripreso a camminare per trovare la via.
Forse quella volta la mamma si sarebbe arrabbiata sul serio se non l’avesse vista arrivare a breve; altro che sculacciata, si diceva la bimba, quella volta ne avrebbe beccate parecchie.
E la prospettiva non era delle migliori.
Eppure era certa di non essersi allontanata da casa di zia Sarah, non quella volta. Era stato qualcos’altro a condurla lì, e l’aveva fatto senza che lei se ne fosse accorta.
Non ricordava niente, ma il pensiero di star dormendo non le sfiorò mai la mente.
Camminava e sentiva la neve che leggiadra le si posava addosso, percepiva chiaramente il freddo gelido penetrarle nelle calze. Stava anche diventando più difficile camminare.
Fu d’improvviso che le sembrò che la neve iniziasse a parlarle. Dapprima si trattò solo di un sussurro, poi la voce cominciò ad alzarsi.
La invitava ad avvicinarsi.
Laurie tese l’udito, anche se era difficile ascoltare con il vento che faceva tutto quel baccano, per assicurarsi che non ci fosse nessun altro lì, ma no, quelle parole provenivano proprio dalla neve che ricopriva il suolo.
<<Vieni qui. Vieni Laurie, ti manca poco>>. La bambina avrebbe voluto scappare e lasciarsi quella voce alle spalle, ma fu con orrore che si accorse di non poter più indietreggiare.
Era come trovarsi all’interno di una palla di vetro, di quelle ornamentali, con la neve dentro. Esisteva una parete trasparente che non le permetteva di allontanarsi.
Qualcuno da fuori l’avrebbe vista?
<<No, Laurie, non scappare, non devi avere paura. Vieni da me>>, riprendeva intanto la voce, <<ho bisogno di te, avanti vieni!>>.
Così Laurie si ritrovò a muoversi di nuovo in avanti, tutta tremante, e non per il freddo.
Sentiva il vento che le tagliava le labbra, lo sentiva arrossarle le guance.
Sentiva anche la neve farsi più molle, come se fosse in procinto di aprirsi sotto i suoi piedi. Cosa sarebbe esistito là sotto? Il vuoto? Le fiamme? Dei mostri con le fauci spalancate? Nessuna tra queste idee le pareva entusiasmante.
Non sapeva se fidarsi di quella voce: non sembrava cattiva, ma tutto era così strano.
Persino la neve si stava facendo strana: anziché cadere dall’alto verso il basso, aveva iniziato a girare in tondo, disegnando circoli grandi e piccoli sopra e davanti a lei.
E il vento urlava sempre più forte.
<<Ci sei quasi, Laurie, avanti, avanti! Sono qui!>>, proseguiva la voce, e si stava facendo concitata. Ma era dolce; forse anche un po’ impaurita.
Intanto Laurie si muoveva con cautela, a piccoli passi, sempre spaventata all’idea che quella neve, all’improvviso fragilissima, decidesse di cedere inghiottendola in un lampo.
<<Brava Laurie, ci sei! Ora scava, scava più che puoi>>, così la bambina obbedì. Si inginocchiò sulla neve, come aveva fatto quel giorno da sveglia, senza che in quel momento ne serbasse memoria, e cominciò a scavare con frenesia.
Non indossava i guanti e la neve le gelava le dita, ma non le importava. Quella voce veniva proprio da lì sotto e la incitava, le stava dicendo di liberarla.
Ed era la voce di una bambina.
Laurie scavò e scavò, anche se le mani ormai le facevano male, fino a quando non le apparve dinanzi, distesa nella neve, quella bambina bionda vestita di verde. Aveva le gambe scoperte dal ginocchio in giù, ma non sembrava che il freddo le desse fastidio.
La stava guardando e intanto sorrideva.
Al petto stringeva il topolino di pezza, quello bianco con il gilet marrone che Laurie ricordava di avere, non sapeva perché, nella tasca interna del suo giaccone.
D’istinto vi mise dentro la mano per cercarlo, ma non lo trovò.
Stranita ricambiò lo sguardo della bimba stesa nella neve; doveva avere la sua età.
<<Mi hai trovata, Laurie, grazie, ora guarda la neve>>, le diceva dolcemente.
Laurie eseguì senza pensare e guardò in su per un tempo interminabile; la neve non vacillava più sotto i suoi piedi e quella che cadeva dall’alto era così fitta e soffice che, come doveva esserle già capitato non ricordava quando, le venne voglia di assaggiarla.
<<Come ti chiami?>>, domandò tornando ad abbassare lo sguardo sulla bimba che aveva trovato sepolta nella neve, ma questa era sparita.
All’improvviso, vide che dal cielo cominciavano a cadere fiocchi di neve rossi.

Quando Laurie spalancò gli occhi di scatto, la mamma stava parcheggiando l’auto sotto casa.
Ricordava il sogno, anche se non più il volto della bambina che aveva trovato tra la neve e istintivamente toccò il topolino di pezza nella sua tasca. Era ancora lì.
Forse era stata la sua paura a formulare quel sogno: quella di aver sottratto quel pupazzo con la forza, l’idea pulsante che non le appartenesse, motivo per il quale aveva scelto di non parlarne con nessuno.
Le vennero improvvisamente in mente una porta e una chiave e subito si rese conto che non voleva più pensarci.
Aveva trovato un pupazzo, d’accordo; l’aveva raccolto anche se non era suo, fin là tutto era chiaro. Ma non l’aveva rubato a nessuno, in fin dei conti non era di certo colpa sua se qualche altro bambino (o bambina) sbadato non aveva prestato attenzione e se l’era fatto scivolare di mano.
Ma forse quel bambino (o bambina) sarebbe presto andato a cercarlo, scavando tra la neve, immaginando che il suo topolino di pezza lo stesse chiamando per farsi trovare.
Un po’ come aveva fatto quella bimba bionda nel sogno.
Ma poi quel bambino (o bambina) non avrebbe trovato niente tra la neve.
A Laurie dispiaceva, ma ormai che cosa poteva farci? Lei aveva fatto soltanto ciò che qualsiasi altro bambino avrebbe fatto al suo posto, e non c’era niente di male.
Per il momento però, voleva che il topolino di pezza restasse un suo segreto.
Scese dall’auto, si lasciò prendere per mano dalla mamma, e con lei entrò nel portone del loro condominio; presero l’ascensore, e raggiunsero il quinto piano.
Leyla aprì loro con un sorriso e subito prese in braccio la sorellina, baciandole la guancia.
Leyla e Laurie si volevano molto bene, erano attaccatissime, sebbene si passassero ben undici anni di differenza: la maggiore ne aveva compiuti sedici in ottobre.
Laurie salutò anche suo padre, che subito chiese alla mamma come si era comportava la leprotta, come la chiamava lui. La mamma non alluse al fatto che si fosse allontanata senza permesso (e quindi nemmeno alla sculacciata, pensò Laurie con soddisfazione), e la bimba lo prese come un buon segno.
Questo significava che sia la rabbia che la paura dovevano esserle passate.
Andò fino alla sua cameretta per togliersi il cappotto, così poté estrarre dalla tasca il topolino di pezza senza farsi notare. In silenzio lo adagiò in mezzo a tutti gli altri suoi pupazzi posti sul letto, lì dove non sarebbe stato così facile fare caso a uno solo e, convinta che nessuno l’avrebbe notato, almeno per un po’, decise di tornare da sua sorella.
Pensò che voleva farsi raccontare da lei la favola della buonanotte.

FINE CAPITOLO PRIMO

*lady in blue*

Nessun commento:

Posta un commento