world of darkness

world of darkness

venerdì 14 giugno 2013

Shining (Stephen King)

Originariamente postato sul vecchio blog il 27 settembre 2012

L’Overlook, uno strano e imponente albergo che domina le alte montagne del Colorado, è stato teatro di numerosi delitti e suicidi e sembra aver assorbito forze maligne che vanno al di là di ogni compresnione umana e si manifestano soprattutto d’inverno quando l’albergo chiude e resta isolato per la neve.
Uno scrittore fallito, Jack Torrance, con la moglie Wendy e il figlio Danny di cinque anni, accetta di fare il guardiano invernale all’Overlook ed è allora che le forze del male si scatenano con rinnovato impeto: la famiglia si trova avvolta ben presto in un’atmosfera sinistra. Dinanzi a Danny, che è dotato di un potere extrasensoriale, lo “shine” , si materializzano gli orribili fatti accaduti nelle stanze dell’albergo, ma se il bambino si oppone con forza e insidie e presenze, il padre ne rimane vittima.
**
Questa è la trama che si trova scritta sulla parte posteriore della copertina del libro in questione. Ora, lo dico molto sinceramente, non mi perderò in un commento dettagliato e (abbastanza) preciso come le scorse volte, e questo per un motivo molto molto semplice: non ne sarei in grado. E’ pur vero che ho letto questo libro (poco) dopo Misery e Il Miglio Verde, ma lo è anche il fatto che questo sia 1. più lungo, 2. meno lineare. Con questo non voglio dire che il testo non sia avvincente oppure sia incasinato, semplicemente ci sono passaggi che si intrecciano (a volte con il passato, a volte con ciò che accadrà) e, dopo diversi mesi, non è più possibile ricollegare il tutto, nemmeno provando a sfogliarlo. Anche perché il carattere è davvero troppo piccolo per individurare i passaggi importanti, ci sarebbe solo da rileggerlo tutto e dall’inizio. E non è una bella idea, non ora per lo meno.
E poi forse non dovrei nemmeno raccontare l’intera vicenda scendendo nei dettagli, nemmeno se la ricordassi perfettamente.
Ci ho pensato, e toglie il gusto della lettura. Per cui credo proprio che (salvo eccezioni) i miei prossimi commenti saranno tutti sulla falsa riga di questo.
Quindi sarò breve, ma cercherò comunque di dare un quadro vagamente comprensibile della vicenda.
Siamo nell’inverno 1976-77.  I personaggi principali sono già stati nominati nella trama: Jack Torrance, un uomo già poco stabile di suo, che ha avuto in passato problemi di alcool e tendenze violente (si apprenderà durante la lettura che, in un’occasione, mentre era ubriaco, ha rotto un braccio a suo figlio) e che ha accettato il lavoro all’Overlook per prendersi tempo per scrivere una commedia a cui sta lavorando, Wendy, quella poveraccia che se l’è sposato, che ha portato in qualche modo avanti quel matrimonio burrascoso, e Danny, il bambino di cinque anni, figlio della coppia, dotato di questo strano potere detto lo “shine”, grazie al quale vede e sente molte cose accadute o in procinto di accadere, e percepisce i pensieri degli altri (come quando sa che suo padre sta pensando alla Brutta Cosa, ovvero l’alcool). Ad accompagnare Danny, dentro di lui, c’è Tony, il bambino che i suoi genitori credono sia il suo amico immaginario, ma che esiste davvero, come parte integrante dello stesso Danny, e solitamente è proprio Tony a mostrargli quelle cose che Danny percepisce.
Come ad esempio, il fatto che la sua famiglia non dovrebbe rinchiudersi all’Overlook per l’inverno, quando vi rimarrà bloccata dentro.
Un altro personaggio della vicenda è Dick Hallorann, un cuoco di colore che lavora all’Overlook e che possiede lo stesso potere di Danny. L’uomo, prima di partire per via della chiusura invernale dell’albergo, dirà al bambino di chiamarlo con la mente nel caso dovessero sorgere dei problemi.
E poi, ovviamente, c’è il vero personaggio principale: l’albergo, con le sue presenze, il suo tentativo forte e demoniaco di condurre a sé le menti per farle sue, per uniformarle a sé. Un po’ come aveva fatto per uno dei vecchi custodi invernali, Delbert Grady, che si era suicidato dopo aver fatto a fettine moglie e figlie.
E di omicidi-suicidi, all’Overlook, ce ne sono stati diversi, cosa che Danny percepisce e di cui ha paura.
Ma a dire il vero tutta la famiglia comincia a rendersi conto che qualcosa, all’Overlook hotel, non va proprio normalissimamente; ma Jack ne rimane vittima, è letteralmente stregato dall’aura sinistra e ipnotizzante dell’albergo, tanto che ne diverrà completamente succube. Si appresterà a fare ciò che l’Overlook vuole da lui: la stessa cosa che aveva voluto da quel vecchio custode tramutatosi in macellaio di famiglia per l’occasione.
E così l’instabilità dell’uomo si accresce, intensificata anche dal suo pensare a, come la chiama Danny, la Brutta Cosa, e arriva a pensare che armarsi di ascia e infierire sui corpi di moglie e figlio fino a ridurli a carcasse sia una bella idea.
Nel frattempo Wendy e Danny lottano strenuamente contro le forze dell’albergo, e sanno che Jack ha sviluppato intenzioni poco amichevoli; per questo, alla fine, Danny si deciderà a richiamare il cuoco Dick attraverso il potere della sua mente.
Ma in finale di questo libro non è “eclatante”, nel senso che non è ciò che ci si aspetterebbe da una storia horror/thriller, piuttosto che d’azione, del tipo arriva l’eroe è salva tutti per benino, tutti felici e contenti. In tutto questo trambusto di sovrannaturale e orrore, la conclusione è molto umana e reale: Sì, Dick arriva in tempo e, anche se messo mezzo fuori gioco da Jack, riesce a condurre fuori Wendy e Danny, ma l’egregio signor Torrance, tanto preso dal simpatico gioco tentiamo di fare a pezzetti la famiglia, che è divertente, si dimentica di una certa cosetta, che a quanto pare ha dimenticato anche l’albergo stesso: la caldaia dell’Overlook è vecchia; la pressione va abbassata tutti i giorni manualmente perché l’aggeggio non esploda.
A dire il vero è Danny a rendersene conto per primo, a capire che cosa fosse quel qualcosa che era stato dimenticato di cui gli parlava Tony, ed è sempre lui ad avvisare Dick del pericolo, non a parole, sebbene lo incontri, ma sempre tramite il suo potere: insomma, lo mette davanti alle immagini di ciò che, a breve, sarebbe accaduto: in termini spiccioli *BUM*.
Così Jack ci lascia le penne insieme all’albergo e annessi e connessi … mentre Dick, Wendy e Danny sono ancora nel cortile nel tentativo di fuggire. Durante la lettura, la sottoscritta, che è perfida e malvagia come pochi, era lì a sperare ardentemente che succedesse un altro bel disastro del tipo tutti morti e per niente contenti, e credevo che sarei stata accontentata quando Dick comincia a sperimentare pensieri poco carini, del tipo, ora prendo la mazza e li faccio secchi, ma niente. Rinsavisce. Si rende conto che l’albergo ha tentato di entrargli nella mente e plasmarlo a immagine e somiglianza di Jack e company.
Desolazione.
Mamma, figlio e cuoco, alla fin fine ne escono vivi e tutto sommato ancora (abbastanza) interi.
Nell’epilogo della vicenda ci si ritrova, durante l’estate, con i tre superstiti, che ormai vivono nel Maine occidentale. Si apprende che Dick ha riservato una casetta con vista sul lago a Wendy e Danny, vicino al luogo in cui lavora. Anche se presto i due si trasferiranno.
Madre e figlio sono ancora scossi e turbati, ma in fondo stanno bene. Anche se beh, forse potrebbe sembrare un po’ strano a dirsi, ma a Danny manca suo padre. Alla fine il bambino è piccolo, e lo vorrebbe accanto.
Dice di aver voglia di piangere ma che vorrebbe non averla.
Chiudo riportando le buone parole che Dick Hallorann dice al suo piccolo amico Danny per fargli coraggio e per spiegargli come vanno le cose:
 “Danny? Ascoltami. Te ne parlerò adesso e non tornerò mai più sull’argomento. Ci sono delle cose che non si dovrebbero dire a un bambino di sei anni, raramente si riesce a far concordare le cose come dovrebbero essere e come realmente sono. Il mondo è duro, Danny. Se ne frega. Non ci odia, no, ma nemmeno ci ama. Cose terribili accadono nel mondo, e si tratta di cose che nessuno sa spiegare. Le persone per bene muoiono in circostanze atroci e lasciano nello strazio chi li ha amati. Il mondo non ti ama, ma la tua mamma ti vuole bene, e io pure. Tu sei un bravo bambino. E quando ti vien voglia di piangere per quello che è accaduto a tuo padre, nasconditi in un armadio o sotto le coperte e piangi finché non ti sei liberato di tutto il peso che grava sul tuo cuore. E’ questo che deve fare un buon figlio. Ma bada a tenerti in carreggiata. E’ questo il tuo compito in questo duro mondo: tener vivo in tuo amore e badare a tirare avanti, qualsiasi cosa accada. Fatti coraggio e continua per la tua strada.”
Beh, direi diverse lezioni di vita tutte in una volta sola, ma forse Danny è comunque in grado di comprendere e di riflettere su queste parole.
In questo testo viene analizzato particolarmente il rapporto padre-figlio, quello madre-figlio e anche quello tra i genitori. Sicuramente nessuno di questi è semplice e armonioso (nemmeno quello tra Wendy e Danny, perché lei è intimorita dall’aura del figlio, prima ancora di sapere per certo dei suoi poteri extrasensoriali).. e poi anche quello della dipendenza dall’alcool.
Se non vado errato, si tratta di tematiche abbastanza costanti nelle opere dell’autore, magari non sempre legate alla trama principale, ma sempre di una decisiva importanza.
Che dire di altro? Che è stata una bella lettura, anche se mi è dispiaciuto che il tutto si concludesse così “bene”… insomma, io sono un’amante di tragedie, altrimenti perché il mio libro preferito sarebbe Notre Dame de Paris di Hugo?
Ma finale troppo lieto per i miei gusti a parte, comunque Shining è stato un testo che ho apprezzato, e mi dispiace non poter rendere appieno ciò che trasmette e che rappresenta, anche senza dover necessariamente riportare ogni dettaglio per filo e per segno.
Purtroppo ci saranno tante cose significative che potrei ritrovare solo con una seconda lettura, e magari prima o poi questa avverrà … ma a suo tempo.
Da questo libro è stato anche tratto un film, o forse anche due, ma non ne sono sicura, io mi baso solo su quello che ho visto; Jack Torrance è interpretato da Jack Nicholson. Non che sia un brutto film, eh, anzi … però contiene una terribile pecca: il finale è diverso rispetto a quello del libro, completamente, e questo è piuttosto antipatico.
Costerà tanto cercare di attenersi al testo? Per lo meno per le cose basilari quali: inizio-svolgimento-conclusione. Poi se vogliamo sgarrare sui particolari, pazienza, ma cambiarmi totalmente la fine … beh, può essere comunque un bel film, ma a quel punto diventa una cosa a sé, non più legata al libro in questione, tanto valeva anche cambiare ambientazione e nome dei personaggi.
Almeno questo è il mio pensiero.
Una curiosità, andando sul leggero: Esiste una parodia, a questo punto credo più del film che del libro perché è comunque televisiva, in uno spezzone dei Simpson contenuto nel quinto Special di Halloween. Una cosa simpatica, che ripercorre un po’ la storia, aggiungendo estratti comici e assurdi (esempio: il motivo che spinge Homer a impazzire e a voler massacrare la famiglia è il fatto di non avere sottomano, nell’albergo che dovrebbe solvegliare per l’inverno, né birra né televisione, di cui non può mai fare a meno. A spingerlo a impugnare l’ascia è poi il fantasma di Boe, barista del cui locale Homer è un assiduissimo avventore nella serie normale, che gli promette di fargli avere una birra solo nel caso in cui farà a fettine la famiglia).
Detto questo, penso di aver seriamente concluso. Mi scuso con il Signor King per il disastro che devo aver fatto nel commentare la sua opera e anche con chiunque legga questo post per aver confuso loro le idee in proposito.


*Per la serie “nella prossima puntata di commenti librari” : La Lunga Marcia, sempre di Stephen King.*

*lady in blue*

Nessun commento:

Posta un commento