Ciao!!
Ovviamente sono di nuovo qui a rompere, questa volta con il commento librario che accennavo la scorsa volta. Un altro libro dell'anno scorso, un altro testo particolarmente ... oscuro. Ma in questo caso ci distacchiamo ampiamente dalla categoria dei mattoni, che io amo chiamare i dinosauri letterari, dato che ci troviamo dinanzi a un testo leggibile liscio liscio in un paio di giorni.
Non per questo, però, l'atmosfera da questo prodotta è meno sinistra e tenebrosa. Si sa, con me, se si possono evitare le allegre storielline d'ammòre ammòre ammòre è sempre meglio...anzi, direi che è una cosa fondamentale nelle mie letture ... e scritture.
La contessa nera è Erzsébet Báthory e, questa, è la sua storia. A mio parere si tratta di un romanzo davvero ottimo.
LA CONTESSA NERA
Di Rebecca Johns
Vivi
nel rammarico come in una stanza rivestita di specchi
che
riflettono la tua immagine per l’eternità.
(da
pag. 319 del testo)
Chi è la contessa nera? Chi è Erzsébet Báthory? La leggenda la dipinge come una perfida assassina, una sadica torturatrice e una spietata sanguinaria che avrebbe ucciso dalle cento alle seicento giovani donne nella sua casa, ma io non trovo motivo di credere a una leggenda, non senza prove inconfutabili. Per quel che mi riguarda, una leggenda è sempre creata dagli uomini che vogliono sbarazzarsi delle loro colpe o da donne invidiose, quindi, per me, non ha alcun valore.
Seguendo questo link, comunque, è possibile farsi un quadro su questa leggenda circa la contessa Báthory: http://it.wikipedia.org/wiki/Erzs%C3%A9bet_B%C3%A1thory
Il personaggio presentato in questo libro, tuttavia, è decisamente diverso, sebbene non sia per niente positivo: un personaggio nero, per l’appunto.
Il testo inizia con una lunga citazione della fiaba di Biancaneve dei fratelli Grimm, in cui la piccola idiota viene risparmiata dal cacciatore che la lascia scappare, per poi uccidere un povero cinghiale di modo da portare alla famosa regina cattiva il cuore e i polmoni che questa voleva come prova della morte di Biancaneve. Nell’ultima frase di questa citazione, si apprende che la regina avrebbe fatto cucinare gli organi per poi mangiarli, credendo che fossero quelli della piccola imbecille.
Tralasciamo il fatto che mi dispiace per il cinghiale e che non avrei pianto se la favola si fosse conclusa con la morte di Biancaneve (persino scoiattoli e uccellini riescono a essere più intelligenti di lei, e se c’è una categoria di persone che proprio detesto, è quella degli stupidi), si deve dire che questo estratto non è certamente posto lì a caso. Ce ne si potrà rendere conto nel corso della lettura.
Ma veniamo seriamente al romanzo: c’è da dire fin da subito che in questa storia la contessa Báthory viene decisamente riabilitata rispetto a quel che la leggenda dice di lei, anche se certo è che non la vediamo per niente come una santa. Anzi: Madre. Amante. Strega. Assassina. A volte il male è l’unico modo per difendersi. Questo troviamo scritto sulla copertina.
Erzsébet trascorse la sua infanzia nel castello di Ecsed, in Ungheria, insieme ai genitori, alle due sorelle e al fratello. Quand’è ancora bambina, vuole assistere a tutti i costi alla nascita della minore delle sorelle, Klára, ma poi rimarrà grandemente impressionata dal parto. Proprio in occasione della nascita di Klára, a Ecsed viene organizzato un gran ricevimento e degli zingari vengono invitati a suonare per intrattenere gli ospiti. Uno di loro, ad un certo punto, viene accusato di aver venduto la figlia ai turchi e per questo condannato a morte dal padre di Erzsébet. E la bambina, sgattaiolata fuori dal castello di prima mattina, assiste all’esecuzione: una giumenta viene legata e sventrata, a questo punto lo zingaro è inserito nel ventre dell’animale morente, il quale viene ricucito di modo da lasciargli fuori soltanto la testa; verrà quindi lasciato morire di fame e di sete.
Quella stessa notte Erzsébet si avventurerà di nuovo fuori dal castello, e trovandosi ancora una volta di fronte allo zingaro condannato, viene convinta da questo a portargli dell’acqua, ma proprio quando la bambina sta per far farlo bere ci ripensa e torna sui suoi passi. Continua a tornarle in mente la figlia che lui ha venduto ai turchi, al modo in cui lui le ha voltato le spalle, e non ha pietà per lui; gli dice anche che ancora non sta soffrendo abbastanza. Tutto questo a sei anni, quindi è facile intuire che, in effetti, dentro di lei il nero già iniziava a farsi strada.
Ma d’altro canto, nel sedicesimo secolo, vendere le proprie figlie, in qualunque contesto, non era certo una novità: in fondo anche a Erzsébet tocca lo stesso destino, perché viene fatta fidanzare con Ferenc Nádasdy, un ragazzo più grande di lei che non ha mai visto, solo per sancire l’unione tra due famiglie importanti, e se anche questa non è una barbarie. Forse davvero, alle volte, il male è l’unico modo per difendersi, anche se per passare dall’altra parte ci vuole forse più coraggio che per restare ancorati al bene. Ma non è comunque giustificabile, niente di quel che viene raccontato dell’operato di Erzsébet in questo libro lo è. Fu spietata, anche se gli atti atroci contenuti nel testo non sono certamente quanti gliene si attribuiscano nella leggenda.
Ma perché diventò un’anima nera? Suo padre è morto e lei va a vivere a casa della suocera, al castello di Sàrvàr, mentre il futuro marito è a studiare a Vienna (chiamata Bécs nel testo, dal nome ungherese della città), poi, quando dopo mesi lo conosce, si rende conto che questi non è minimamente interessato a lei. Ancora molto giovane si innamora di András Kanizsay, uno dei tanti cugini legati al casato dei Nádasdy, del quale resterà incinta prima ancora di aver sposato il suo promesso.
Proprio quando Erzsébet scopre la propria gravidanza, sua madre si trovava alla residenza dei Nádasdy, e la porta con sé in un’altra proprietà di questi ultimi, con la scusa di una malattia improvvisa, per permetterle di portare a termine la gestazione senza essere scoperta. Con loro ci sarà anche Anna Darvulia, una domestica che Erzsébet ha conosciuto quando si è trasferita al castello del suo futuro marito, esperta di erbe e guaritrice, la quale resterà per la contessa una fedele amica, quasi una madre, fino a quando la domestica, ormai malata, se ne andrà per affrontare da sola la propria morte.
Lontana da occhi indiscreti Erzsébet mette al mondo la sua prima figlia, la quale però le viene sottratta subito dopo la nascita dalla levatrice, per volere della madre della ragazza.
Erzsébet non dimenticherà mai la figlia perduta anche se, in seguito, ne avrà degli altri, e questa volta dal marito. Il suo primo amante dimostrerà in seguito di fregarsene altamente di lei e della creatura che con lei ha generato, tanto da non preoccuparsi di mostrare la sua nuova promessa sposa, una cugina della stessa Erzsébet.
Ed ecco qui la prima, cocente delusione.
Erzsébet, comunque, volente o nolente sposa Ferenc che, dopo la prima notte di nozze (durante la quale la ragazza simula la verginità versando sulle lenzuola sangue di bue datole precedentemente dall’amica Anna Darvulia), il marito riprende tranquillo tranquillo a fregarsene di lei e a interessarsi di più alle guerre e ai rapporti con il sovrano Massimiliano II.
Le cose continuano così per anni, fino a un certo episodio: una delle domestiche del castello di cui oramai la contessa è la padrona (la suocera è morta già da diverso tempo), va dicendo in giro che lei suscita l’ardore di Ferenc, che va a letto con lui, e che si augura vivamente la morte della contessa.
Ed è qui che Erzsébet comincia a prendere seriamente in mano la situazione: deve mantenere il controllo in casa sua, sulle sue domestiche, affinché sappiano qual è il loro posto e non la trattino come lo zimbello di turno. Fa spogliare la ragazza e la lascia a lavorare tutto il giorno sotto il sole, facendola bruciacchiare per benino, esponendola anche agli insulti e agli sberleffi degli uomini (trucchetto che, a quando si capisce, ha appreso dalla madre), dopodiché, non contenta, la fa cospargere di miele, di modo che tutti gli insetti inimmaginabili le si lancino contro.
Al ritorno di Ferenc, quando questi vede “l’opera” della moglie, resta altamente compiaciuto (anche se molto probabilmente la domestica era realmente una sua favorita) da ciò che Erzsébet ha fatto e comincia non solo a insegnarle tante altre belle cosine sadiche, ma anche a interessarsi a lei.
Erzsébet inizia così ad avere pieni poteri sulla casa e anche su suo marito, anche se questi è spesso assente per via di guerre e quant’altro.
Alle domestiche (che siano ladre, piuttosto che sfaccendate o anche solo sbadate) iniziano a essere inflitte punizioni sempre più dure, a volte messe in pratica da Anna Darvulia o da altre due domestiche fidate della contessa (Ilona Jó e Dorottya Szentes, nota come Dorka), a volte di loro spontanea volontà. Quel che Erzsébet pare assolutamente non sopportare, sono la stupidità e la civetteria (nonché la spiccata propensione alla fornicazione) e, soprattutto, l’essere raggirata o presa in giro. Ma a volte le sue punizioni arrivano ad attaccare le domestiche per i più futili motivi, come l’aver lasciato la finestra aperta durante un temporale proprio accanto all’abito da sposa di sua figlia, il quale si sarebbe quindi inzaccherato tutto.
Il suo potere al castello cresce, e in lei sguazza a fondo anche la sua anima nera.
Dopo i primi dieci anni di matrimonio infruttuosi in quanto a prole, inizia ad avere dei figli: prima le tre femmine Anna (come sua madre), Orsika e Katalin, detta Kata, alla quale segue la nascita del tanto atteso maschio Tamás. Ma il piccolo muore presto per via della peste, contagiando e portando alla morte con sé anche una delle sorelle, Orsika.
Un nuovo maschio arriverà più tardi, verrà chiamato Pál, e sarà a lui che la madre scriverà le sue memorie, quando, alla fine, dovrà scontare il suo destino.
Uno dei motivi per cui la contessa punisce severamente le domestiche, è quando queste si pavoneggiano di aver sedotto suo marito, che io dico, ma sii furba e, se proprio l’hai fatto, tienitelo per te. Capisco che saccagnare le ragazze a bastonate o a frustate sia eccessivo, ma qualche legnata, a delle simpaticone del genere, la darei anch’io.
Ma Erzsébet sta chiaramente perdendo il senno, forse perché in realtà non riesce a essere la padrona che vorrebbe, come sua madre. Anche lei, a suo tempo, puniva le domestiche, ma senza mai arrivare a certi estremi, e queste, dopo la punizione, tornavano sempre a chiederle perdono.
A Erzsébet no. E forse, se la contessa è “costretta” a giungere a questi estremi per mantenere l’ordine al castello, è perché (a mio parere) non ha poi tutta questa autorità, nessuno, a parte le sue domestiche fidate, la rispetta.
Forse è questo a portarla sempre più in fondo al baratro.
Comunque, dopo la morte del marito, Erzsébet trova un nuovo amante in György Thurzó, che in seguito diventerà conte palatino (rappresentante del re d’Ungheria) e che sarà poi tra i principali accusatori della contessa. Un’altra delusione però l’attende quando l’uomo si presenta al matrimonio della seconda figlia di lei con la ragazza che sta per sposare.
Un altro tradimento, che forse annerisce ancora un po’l’anima della contessa.
Avrà poi un terzo amante: il maggiordomo Istók Soós, ma anche questo la tradirà, e con una delle domestiche. Da quel momento in poi Erzsébet avrà perso completamente la ragione.
Ma già da tempo, molte ragazze al suo servizio sono morte in seguito alle punizioni, alcune direttamente per mano delle domestiche di fiducia, senza che la contessa ne sapesse nulla fino all’ultimo, e la sepoltura delle fanciulle porta a vari sospetti in proposito da parte di parenti e amici, del prete di Csejthe (Ceite), luogo in cui risiederà infine la contessa, e di tutti coloro che le sono vicini, compreso in re d’Ungheria Mattia II, subentrato sul trono al fratello Massimiliano.
Non penso che, alla fine, queste persone siano intervenute a fermare Erzsébet dalla sua follia perché realmente interessate alla sorte delle ragazze, ma credo piuttosto che ognuno di loro avesse da guadagnarci qualcosa dalla sua cattura. Tra di essi infatti spiccano anche i due generi, che indubbiamente vogliono godersi la sua eredità.
Erzsébet, nel 1611, viene murata viva nel suo castello di Csejthe, dove dovrà restare fino alla morte. Le sue domestiche fidate rimaste (Ilona Jó e Dorka), bruciate come streghe dopo averle private delle dita con pinze arroventate, e anche un altro complice della contessa, un suo domestico personale, Ficzkó, viene prima decapitato, poi il suo corpo bruciato sul rogo insieme alle altre due.
Ora, lungi dal voler giustificare la contessa e combriccola, ma il fatto di punire qualcuno per aver ucciso e torturato delle donne, proprio in quel periodo, mi pare piuttosto ridicolo, visti i processi per stregoneria e quant’altro.
Comunque, tutto questo: la reclusione di Erzsébet e le altre condanne, sono raccontate da lei stessa all’inizio delle sue memorie. E prima ancora che queste comincino, veniamo a conoscenza della sua morte, avvenuta nell’agosto del 1614, dopo tre anni di prigionia.
Questo non è certamente un testo semplice, anche se non è molto lungo e si legge senza difficoltà in un paio di giorni; certamente è molto interessante, anche storicamente parlando.
Forse è così attrattivo perché possiamo vedere la situazione dal punto di vista del “cattivo” della situazione. Erzsébet arriverà a pentirsi di ciò che ha fatto, rinchiusa nella sua torre, ma non tanto per le ragazze in sé, anche se finirà per pensare a loro di tanto in tanto, ma per il fatto che, averle uccise, l’abbia privata dei suoi figli.
Il lettore si ritrova dinanzi a un personaggio oscuro dall’inizio alla fine. Ma Erzsébet è anche colta, istruita e forte. Non giustificherei mai tali crimini, reali o fittizi che siano, anche perché c’è chi nella storia è stato costretto a subire umiliazioni, accuse infondate e condanne, non essendosi mai servito della perfidia nonostante il potere, ma come personaggio, Erzsébet è senz’altro interessante e suggestivo, anche se effettivamente spietato.
È grande la sua crudeltà, anche perché sostiene di aver agito soltanto seguendo i suoi diritti di padrona. È sanguinaria, perché è capace di frustare o bastonare fino a causare la morte, senza poi provare alcun rimpianto.
Entrare nella mente del “cattivo”, però, è sempre una sorta di viaggio nelle tenebre; tenebre che in qualche modo, hanno sempre un’origine.
Pare che sia stato tratto anche un film da questo libro, intitolato The Countess, nel 2009 (anche se non ho capito com’è la cosa, visto che il libro sarebbe del 2010), ma non l’ho mai visto, ne ho idea se ne esista una versione in italiano …indagherò.
In ogni caso un’altra lettura molto consigliata, ma soltanto a chi non si impressiona facilmente (per lo meno con i libri) e a chi è disposto, per quei pochi giorni di immersione nelle pagine, a intraprendere davvero questo viaggio nelle tenebre.
In fatto poi che il luogo di svolgimento della storia sia l’Ungheria, in qualche modo conferisce al romanzo (e alla storia della Báthory, vera o presunta tale che sia), un alone di mistero e di oscurità in più.
Voto finale (sì, ok, mi sono presa la fissa per i voti finali :D) : 9.
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*lady in blue*