Finalmente sono pronta per postare l'ultimo capitolo di Paura del buio, storia scritta nel 2012, motivo in più per togliersela dalle scatole il prima possibile :D
In quanto a me, per quello che ne so al momento, inizio oggi la mia ultima settimana di lavoro. Sì, insomma, il contratto scade il 6 ma a quanto pare chiedere informazioni quattro o cinque volte non basta, scappare e nascondersi anziché rispondere sembra essere un atteggiamento molto maturo. Ma onestamente ho scelto di non disperarmi. Certo, il lavoro non è cosa facile da scovare in questo periodo, ma non si può nemmeno pensare di andare avanti in eterno a dar retta a un bambino idiota, e a essere sfruttati da un simile soggetto.
Ora almeno ho più esperienza, almeno nella gestione di un negozio, chissà mai che questo si riveli un aiuto.
Poi beh, c'è sempre la disoccupazione, che con un po' di fortuna dovrebbe spettarmi ... e c'è anche la camera del lavoro, dove magari far verificare buste paga e relativi bonifici, visto che le cifre non corrispondono tra loro (cosa che può fare solo un grande genio!).
Ma insomma, vedremo tra una settimana... ormai ho imparato che da certa gente ci si può aspettare di tutto, anche all'ultimo secondo.
Infine una piccola comunicazione di servizio prima di lasciarvi finalmente al capitolo conclusivo di questo racconto: ho avuto un'idea balordissima per quanto riguarda i post da pubblicare sul blog. Idea che verrà messa in pratica dal mese prossimo :D
E ora ecco a voi il quarto e ultimo capitolo di Paura del buio, ovviamente riguardante la prova finale di Rachel.
Alla fine del capitolo troverete due righe di spiegazione (Infarcite di Spoiler, per cui attenzione ^^). Intanto ... buona lettura!! :D
IV
Quella notte Rachel non riusciva a dormire, e questo non
perché nella sua stanza non c’era la luce accesa; a quello ormai aveva fatto
l’abitudine, erano due settimane che si sentiva serena a stare al buio da sola.
Continuava a pensare alla prova finale di cui le aveva parlato Zoe; anzi, a
dire il vero l’amica non le aveva detto un bel niente in proposito, e il
problema era proprio quello.
Non sapeva di che cosa si trattasse, non aveva idea di che
cosa dovesse aspettarsi, e questo la preoccupava. La sua paura del buio ormai
era superata, ne era certa, perché continuare? Perché addentrarsi in qualcosa
di complicato e sconosciuto? Non le piaceva l’ignoto, non avrebbe mai fatto per
lei. Il motivo stesso che l’aveva spinta a smettere di temere l’oscurità era
stato proprio il fatto di non considerarla più tale; vi si era abituata. Ma
questo non sarebbe mai avvenuto senza l’aiuto di Zoe; forse doveva fidarsi di
lei, perché Zoe sapeva sempre quel che doveva essere fatto.
Eppure quelle stesse due parole non la persuadevano: prova finale. Esisteva un che di
inquietante al loro interno. Forse sarebbe stata più tranquilla se avesse
saputo ciò che a Zoe passava per la testa, ma non c’era stato verso, la dark
era stata irremovibile e non aveva voluto sbilanciarsi.
Eppure erano tre giorni che Rachel le chiedeva, anzi, la
pregava insistentemente di dirle che cosa si accingeva a fare, di darle almeno
un’idea o un accenno in proposito, tanto per rassicurarla; ma Zoe aveva detto
che non la riguardava, perché se avesse saputo prima di che cosa si trattava,
non sarebbe stato possibile affermare con sicurezza se aveva superato o meno la
sua paura.
L’effetto sorpresa doveva ricoprire un ruolo importante. O
almeno, Zoe aveva detto che sarebbe stata una sorpresa fino all’ultimo istante.
Quando fosse giunto il momento, le avrebbe rivelato tutto. Ma questo non
sarebbe giunto prima della sera successiva, quella del sabato.
Zoe l’aveva invitata a dormire a casa sua per l’occasione,
perché sosteneva che il tutto dovesse avvenire di notte. Quindi, viste le premesse
e l’idea di non saperne ancora nulla, come avrebbe mai potuto dormire? Eppure
ormai le piaceva stare al buio, sentiva quel silenzio positivo di cui Zoe le
aveva sempre parlato, riusciva a pensare e a rilassarsi quando le luci erano
spente, che cosa poteva avere da temere? Quale poteva essere la fantomatica prova finale? Zoe non sapeva che Rachel
oramai dormiva al buio nella sua stanza, forse voleva metterla alla prova
proprio su questo aspetto; voleva farle trascorrere un’intera notte al buio
nella sua camera, magari da sola, così si sarebbe convinta di averla riabilitata. Fosse stato così non
avrebbe avuto nulla di cui preoccuparsi.
Il problema era che Rachel non sapeva mai che cosa
aspettarsi da Zoe, era strana la ragazza; proprio come quanto un attimo prima
si faceva fredda, sarcastica e scocciata, per poi travolgerla improvvisamente
con il suo calore e dimostrarle apertamente la sofferenza della sua solitudine.
Forse era solo lunatica, ma Zoe cambiava spesso
atteggiamento. Una volta, per esempio, le aveva regalato uno dei suoi disegni,
quello raffigurante la rosa nera. Rachel aveva deciso di conservarlo come un
tesoro, anche perché era stata l’amica a consegnarglielo di sua spontanea
volontà, addirittura insistendo perché lo tenesse. Poi però, dopo un paio di
settimane, aveva cambiato idea: glielo aveva richiesto indietro e sul suo viso
non era disegnato alcun tratto di imbarazzo.
Anzi, pareva quasi che fosse stata Rachel a compiere una
grave mancanza nei suoi confronti, quasi l’avesse sottratto dalla sua stanza
senza chiederglielo. Quando il giorno successivo glielo aveva reso, Zoe quasi
le aveva strappato il foglio di mano, e con freddezza aveva affermato che era maleducazione prendere le cose degli
altri. Non le aveva dato nemmeno la possibilità di ribattere, perché se
n’era andata subito dopo e Rachel non era più riuscita a parlare con lei per
tre giorni.
Aveva addirittura avuto paura di averla persa per sempre, di
aver visto sgretolarsi sotto ai suoi occhi il sogno della sua amicizia
perfetta, senza aver capito il motivo di ciò che era avvenuto.
Ma poi Zoe era tornata a cercarla e le parlava come se non
fosse mai accaduto nulla. Le aveva anche fatto pressione perché si sbrigasse ad
andare a casa sua uno dei pomeriggi successivi per riprendere le loro sedute,
perché non dovevano perdere tempo.
Quando Rachel rientrò infine in camera di Zoe, aveva notato
che il disegno della rosa nera era di nuovo lì, appeso tra gli altri. E aveva
scelto di non domandarle niente in proposito.
Aveva avuto paura di quella che avrebbe potuto essere la sua
reazione, perché in fondo non aveva capito che cosa fosse successo.
Così anche in quel momento temeva ciò che sarebbe accaduto
la sera successiva. In proposito doveva soltanto fidarsi di Zoe e della sua
capacità di scavare a fondo senza fatica, individuando sempre quel che era
meglio per lei. E Rachel aveva piena fiducia nella sua amica dark, solo che era
difficile non essere in ansia.
In fondo era lei che sarebbe stata messa sotto esame.
Però immaginava che si sarebbe sentita meglio una volta che
fosse tutto finito; ormai non aveva più paura del buio, aveva ragione di
credere che sarebbe andato tutto bene. Qualunque fosse stata l’idea di Zoe per
la notte dopo, non poteva essere così terribile.
Sperava soltanto che la dark non cominciasse ad allontanarsi
da lei, una volta che avesse assolto del tutto il suo compito. Rachel l’aveva
voluta vicina che ricevere il suo aiuto in merito alla sua paura, ma ora che
questa era sparita non voleva certo perderla.
Era strano ammetterlo, e un po’ forse la spaventava, ma Zoe
era tutto ciò di cui le importasse, era tutto il suo mondo. Era solo grazie a
lei che non era crollata in quegli ultimi sei mesi.
Restò a occhi aperti a fissare il soffitto. Le venne in
mente che Zoe le aveva detto che, una volta che avesse superato la sua paura
del buio, non avrebbe nemmeno più ricordato come avesse fatto a provarla. Era
vero, non lo ricordava più. Le sembrava perfino così assurdo.
Non esisteva niente di spaventoso nel buio. Certe cose
accadono solo nei film.
Si sentiva più serena quando chiuse gli occhi e si sforzò di
prendere sonno.
<<L’uomo muore
di freddo, non di oscurità>> ripeté tra sé e sé a fior di labbra per
convincersi che non c’era niente da temere. E oramai per Rachel non esisteva
più nemmeno il freddo, e questo non solo perché l’inverno era finito.
Era anche perché accanto aveva Zoe. Non sarebbe esistito
gelo fino a quando le fosse rimasta vicina; se non soltanto, forse, quello che
quest’ultima le riservava di tanto in tanto, quando aveva la luna storta. Ma
anche quello faceva parte di lei.
E Rachel non voleva cambiarla di una virgola.
**
Zoe si era presentata a casa di Rachel molto presto quel
giorno, prima ancora dell’ora di pranzo. Non era salita con la sua scala ricevuta in eredità fino al suo
davanzale come aveva fatto la notte in cui era iniziata la loro amicizia, e
come era avvenuto anche in seguito durante quei mesi, ma si era limitata a
colpire la sua finestra con dei sassolini, fino a quando non l’aveva costretta
ad affacciarsi.
Zoe le sorrideva.
Rachel si era sentita gelare senza sapere il perché, ma in
ogni caso aveva scelto di raggiungerla in cortile. Lì l’amica l’aveva
abbracciata forte: <<Wow, Rach! Sei eccitata quanto me per
stasera?>> le aveva detto mentre la stringeva tanto da non lasciarla
respirare.
Rachel si sentiva un po’ stranita e sbigottita: che cosa mai
doveva esserci di eccitante quella sera? In che cosa diavolo doveva consistere
quella benedetta prova finale?
Cominciava a essere sempre più tesa. Comunque fosse, Rachel ricambiò
l’abbraccio, per lo meno nel tentativo di indurre l’amica ad attenuare la sua
stretta soffocante. <<Non so ancora di che cosa si tratta … come faccio a
essere eccitata?>> rispose preoccupata mentre cominciava a scansarsi da
Zoe.
La dark allora assunse un’espressione contrariata:
<<Ah beh. Allora non hai fiducia in me>> fece offesa. <<Male,
colombina mia. Male>> e detto questo il suo sguardo si fece di ghiaccio.
Rachel sospirò, atterrita e confusa. La verità era che non
ci stava capendo più niente, né dell’atteggiamento di Zoe, né di che cosa
stesse accadendo. A momenti non ricordava più da che cosa tutto quello fosse
cominciato. Ma era stata davvero necessaria tutta quella pagliacciata?
<<Zoe, mi fido di te>> iniziò dunque titubante,
sentendosi in soggezione sotto lo sguardo collerico dell’amica; il potere che
Zoe aveva su di lei non intendeva scemare. Anche se si stava facendo tutto così
strano, Rachel non aveva intenzione di perderla.
<<Ma…>> la interruppe subito l’altra con aria di
sfida. <<Ma non è molto rassicurante dover fare qualcosa che non si sa
nemmeno cosa sia. E poi che cosa dovrebbe esserci di eccitante nella tua prova finale? È una cosa così
strana?>>. E Rachel deglutì rumorosamente quando Zoe le fu addosso con
scatto felino e la afferrò per le braccia, tirandola molto vicina a sé. Sentiva
il suo respiro che si mescolava con il proprio ed era inquietante. Ma non solo
quello; in fin dei conti non era mai cambiato niente.
<<La MIA
prova finale? La MIA ? Vuoi dirmi che ho solo
perso tempo con te in questi mesi, Rach? E questo che mi stai facendo
capire?>> tuonò a occhi spalancati. E questi sembrava che brillassero.
<<Rachel cara, io ho fatto tutto questo per te. Per
aiutarti. E tu ora non ti fidi di me? Non capisci nemmeno che tutta questa
faccenda appartiene a te e non di certo a me?>> la squadrò intensamente e
Rachel si paralizzò sotto la sua presa che si faceva sempre più salda. Sentiva
che a momenti avrebbe iniziato a tremare.
<<Io potevo benissimo farne a meno, sai? Sia di te che
delle tue stupide sedute con le candele. Io non sono una piscialletto, né una
stupida mocciosa, potevo continuare a farmi gli affari miei, e invece ho voluto
aiutarti, starti accanto, perché pensavo lo meritassi>> fu in questo
momento che Zoe la lasciò andare e abbassò anche lo sguardo <<ma forse ho
sbagliato tutto, sono stata un’idiota a credere che fossi diversa dagli altri e
potessi capirmi. Mi dispiace>>. Tornò a guardarla, poi le sorrise
debolmente <<se non ti fidi di me possiamo anche annullare la tua prova finale>> affermò decisa
<<così non sarai mai sicura di aver superato la tua paura, ma in fondo
non sono affari miei>> e detto questo si voltò, facendo quindi per
andarsene. <<Addio, colombina. Ognuna torna per la sua strada>> e
alzò una mano in segno di saluto.
Rachel lasciò che Zoe facesse due o tre passi, poi non
resistette. Corse verso di lei e la afferrò per le spalle, affondando quindi il
viso nei suoi capelli neri.
<<No, Zoe, ti prego, non mi lasciare così>>
piagnucolò. Era più forte di lei, non era proprio capace di evitarsi quel tono
da marmocchia di cinque anni, anche se ormai ne aveva quasi quindici. Non volle
farci troppo caso, così si limitò ad abbracciarla da dietro.
<<Sono io l’idiota, e lo sai bene. Tu hai ragione, hai
fatto tutto questo per me, avresti anche potuto fregartene, è solo merito tuo
se ora è tutto passato>> esclamò sull’orlo delle lacrime, appoggiando
pesantemente il capo alla schiena dell’amica. <<Non andare via, ti prego!
Io ti voglio bene!>> piagnucolò di nuovo.
Zoe la obbligò a lasciare la presa su di lei, ma fu solo per
potersi voltare a guardarla in viso; la sua espressione si era ammorbidita.
<<Mi vuoi bene … davvero?>> chiese atona; Rachel
annuì mentre si sforzava per non scoppiare in lacrime. Improvvisamente si era
resa conto che davvero non esisteva niente di più importante di Zoe nella sua
vita, che doveva fidarsi ciecamente di lei, perché Zoe era l’unica in grado di
capirla.
La dark allora le prese la mano, la guardò intensamente
negli occhi per alcuni istanti, poi le sorrise: <<Allora sei pronta per
la prova finale?>> le domandò
serena; l’altra fece di nuovo cenno di sì con il capo. <<La MIA prova finale>> affermò quindi Rachel mentre si asciugava
dalle guance quelle due lacrime che le erano sfuggite nonostante i suoi sforzi.
<<Che brava colombina che sei>> si complimentò
dunque Zoe sorridendo e passandole un braccio intorno alle spalle; a quel punto
si incamminò con lei verso la strada. <<Proprio una brava
colombina!>> ripeté.
Da quel momento camminarono insieme in silenzio per un po’
di tempo.
**
Zoe le aveva offerto da mangiare sia a pranzo che a cena: il
primo lo consumarono in giro, acquistando un paio di panini al primo bar che
capitò loro a tiro, la seconda avvenne a casa di Zoe. Non cucinò sua madre, a
quanto pareva non si sentiva bene ed era rimasta a letto per tutto il giorno;
fu la dark a preparare tutto: fece due belle bistecche con contorno di purè di
patate e non volle che Rachel si scomodasse ad alzare un solo dito per
aiutarla.
Così la ragazza se n’era rimasta per tutto il tempo al
tavolo della cucina mentre l’amica si prodigava ai fornelli, un po’
chiacchierando con lei, un po’ osservandosi le unghie pitturate di nero, come
quelle di Zoe. Quel pomeriggio Zoe aveva insistito perché si applicasse il suo
stesso smalto; era una piccolezza, ma a Rachel faceva piacere esserle simile.
Anche perché Zoe non aveva più dimostrato l’astio e la
collera nei suoi confronti che le aveva riservato quella mattina sotto casa
sua. E Rachel non aveva intenzione di rischiare che il fatto si ripetesse:
aveva deciso che era giusto fidarsi di lei al cento per cento, semplicemente
perché glielo doveva. Zoe era stata l’unica a capirla e a volerla aiutare
mentre gli altri la prendevano in giro, e per altro giustamente. Era stata
l’unica a non darle mai della bambina, sebbene dimostrasse spesso di essere
tale. Era anche stata l’unica ad avere fiducia in lei, a credere che potesse
farcela.
E se Zoe credeva fosse necessario sottoporla all’ormai
famosa prova finale, doveva avere
sicuramente ragione. Lei la sapeva sempre lunga, che voleva saperne Rachel in
proposito?
La ragazza se l’era ripetuto più volte; aveva anche finito
per non pensare più così spasmodicamente a ciò che l’aspettava. Se aveva
davvero superato la sua paura non aveva niente da temere.
Dopo cena chiacchierarono ancora un po’, dopodiché Rachel
aiutò Zoe a sparecchiare e a lavare i piatti; in questo caso la dark acconsentì
a dividere le ultime mansioni della serata con lei e sembrò persino lusingata
quando accettò l’offerta di Rachel in proposito.
Quando conclusero, Zoe lasciò l’amica da sola in cucina a
finire di asciugare gli ultimi piatti, mentre lei si dirigeva al piano di sopra
a salutare sua madre e ad assicurarsi che stesse meglio, ma fu presto di ritorno.
Fu proprio in quel momento che le parlò con espressione
seria; le aveva preso le mani nelle sue e la guardava fissamente negli occhi.
<<È ora, sai?>> affermò risoluta, come se si
stesse riferendo alla cosa più importante del mondo. O come se le stesse
facendo presente che ormai era giunto il momento di condurla al patibolo.
Il suo sguardo dava l’idea di intendere più o meno quello.
Rachel sbarrò gli occhi e non rispose; per tutto il giorno
aveva evitato di pensarci, ma ora che il momento si faceva imminente in lei
tornavano a serpeggiare l’angoscia e l’inquietudine.
Sentiva che il cuore le batteva più forte. Forse un po’
troppo forte; quasi le girava la testa.
Zoe era ancora molto seria. <<Siamo … anzi, SEI
finalmente all’ultimo stadio, ora devi solo dimostrare di avercela fatta per
davvero>> le illustrò. Peccato però che Rachel ci stesse capendo ancora
meno di prima.
<<Co … cosa devo fare?>> domandò pallida in viso
e visibilmente frastornata; <<hai paura?>> chiese Zoe sorridendole
e sfiorandole una guancia con le nocche <<un po’>> confessò Rachel
e subito temette che l’amica potesse adirarsi di nuovo per quelle sue parole.
Fu per questo che si affrettò a ricordarle che si fidava di lei.
Fu in quel momento allora che Zoe prese a ridere con foga. Continuò
così per quasi due minuti, tanto che Rachel si preoccupò che forse stesse
impazzendo; e se fosse accaduto non sarebbe stato consolante, perché era lei ad
essere in gioco quella sera e già le bastava non essere al corrente di ciò che
l’avrebbe riguardata di lì a poco. A questo sarebbe soltanto mancato da sommare
un’eventuale caduta nella follia da parte di Zoe e si sarebbe detta facilmente
spacciata. Se doveva affrontare quell’ultima prova, che fosse, ma voleva per lo
meno che quel maledetto mistero finisse.
E Zoe che rideva in quel modo sguaiato senza arrestarsi era
inquietante.
<<Sei forte, colombina mia>> riprese la dark
quando la sua ilarità finalmente si affievolì <<di che cosa dovresti
avere paura? È tutto a posto, è tutto molto più semplice di quanto
credi>> e lo disse scuotendo la testa; infine andò ad asciugarsi dagli
occhi le lacrime causate dal troppo ridere.
<<Ora posso sapere che cosa devo fare?>> azzardò
Rachel timidamente, ma subito venne delusa. Zoe sorrideva e agitava piano il
capo.
<<No, no, colombina. Non ancora. Te lo dirò quando
saremo arrivate>>
<<Arrivate? Dove? Non restiamo a casa tua?>>
<<Sarebbe troppo semplice, no? Casa mia già la
conosci>> fece Zoe divertita, poi le strizzò l’occhio. <<Avanti,
colombina. Andiamo! Ormai è arrivato il momento>> e detto questo la dark
la trascinò praticamente fuori di casa.
Quella sera il clima era piacevole: l’aria era tiepida, non
c’era umidità. Il cielo era oscurato giusto da qualche nuvola, ma niente di
più. Rachel non aveva fatto altro che domandare all’amica dove la stesse
portando e a fare che cosa, ma per quanto si sgolasse non ricevette mai la
minima risposta.
Zoe sembrava quasi aver cambiato dimensione; pareva non
sentirla. Lei la trascinava avanti con sé e basta, voleva soltanto condurla a
destinazione.
Fu solo quando finalmente si fermarono che Rachel cominciò a
capire; e quel che comprese non fu piacevole.
<<Oh no, Zoe. Non vorrai mica che passi la notte qui,
vero?>> domandò spaventata e preoccupata, indicando con mano tremante i
capannoni abbandonati che aveva a lato; quelli che si intravedevano da quel
lato isolato del cortile della scuola.
L’altra le sorrise senza scomporsi, totalmente indifferente
alla paura di Rachel. E il suo sorriso aveva assunto un che di spettrale al chiaro
di luna.
<<Rach, tranquilla. Che vuoi che sia? Per essere
sicura di aver superato la tua paura devi passare una notte in un luogo che non
conosci, tutto qui>> le rispose con naturalezza.
<<Tutto qui? Questi sono capannoni abbandonati … io
non voglio restare qui, ho paura>> e ancora una volta Rachel si ritrovò a
piagnucolare.
<<Che lagna che sei, colombina! Sempre a frignare!
Fidati di me una buona volta: se non hai problemi a passare qui dentro questa
notte significa che ce l’hai fatta>> Zoe guardò Rachel sorridendo.
<<Potrai essere finalmente fiera di te. Non vuoi esserlo?>>.
<<Sì, ma …>>
<<Sempre ma, vero
colombina? Sei così sciocca a volte. Avanti, niente paura>>.
A Rachel tremava il labbro inferiore mentre guardava il
sorriso imperscrutabile di Zoe.
<<Devo restarci da sola?>> domandò cominciando a
piangere <<che domande: è ovvio! Se sto qui a farti compagnia come
facciamo a sapere se hai davvero superato la paura del buio?>> Zoe la
abbracciò e di nuovo la strinse molto forte. <<Su, non piangere. Hai con
te il cellulare, no? Se non ti senti tranquilla mi chiami e io verrò subito a
prenderti. Questo vorrà dire che non sei ancora pronta, ma non importa, ci
riproveremo più avanti, sai che io non mi prendo gioco di te>>.
Rachel si sciolse dal suo abbraccio e si asciugò le lacrime.
<<Davvero verrai subito se ti chiamo?>> chiese
apprensiva. <<Sì, Rach. Sì>> rispose Zoe cantilenante, quasi fosse
seccata dalla sua domanda.
<<E tu dove vai adesso?>>
<<A casa. È vicina, no? Lo sai. Sarò qui in un baleno
se riceverò una tua chiamata>>.
Rachel deglutì e annuì, un po’ rincuorata. Ma non di certo
molto.
<<Tranquilla, d’accordo? Qui non ci viene
nessuno>> e mentre parlava Zoe aveva aperto la porta del primo capannone
e aveva invitato l’amica a varcarne la soglia.
<<Tu rilassati>> le disse infine in tono
solenne, mentre Rachel si trovava già all’interno del capannone. Gli occhi di
Zoe brillavano di nuovo come quelli di un gatto.
<<Vedrai che domani sarà una giornata splendida. Se ce
la fai ti porto a festeggiare>>.
Dopo quelle ultime parole la porta si richiuse con un tonfo,
lasciando la povera ragazza nell’oscurità più totale. Da dietro l’uscio Rachel
sentì i passi di Zoe mentre si allontanava.
**
Già, doveva stare tranquilla. Zoe la faceva facile, non era
lei a trovarsi seduta per terra in un luogo buio e dimenticato da Dio e dagli
uomini.
Che cosa poteva esistere di più semplice che rilassarsi in
quelle condizioni? Un gioco da ragazzi, non c’erano dubbi. Però forse Zoe aveva
ragione, doveva essere così: poco ma sicuro, Rachel non avrebbe mai più avuto
alcun dubbio sul superamento della sua paura, se quella notte fosse trascorsa
senza che fosse preda del panico.
E per il momento stava andando tutto bene; per lo meno, bene inteso nei canoni di ciò che si può
pretendere trovandosi soli in un posto isolato in piena notte. Era un po’
agitata, questo sì, ma aveva smesso di piangere e si era messa il cuore in
pace, decisa a portare fino in fondo quell’ultima, dannata, stramaledetta,
odiosa prova. Magari davvero il giorno successivo Zoe l’avrebbe portata a
festeggiare. E dove? Come? Si era domandata. Era stata molto vicina a lanciare
la sua stessa testa contro la parete alle sue spalle quando in mente le era
balenata l’immagine del Luna Park, con tanto di zucchero filato e giochi in cui
si vincevano i peluche. Ma come le saltava in mente? Era possibile che le sue
concezioni si fossero fermate all’età dell’asilo? Niente Luna Park, niente
zucchero filato.
Zoe avrebbe saputo cosa fare, lei sì che ragionava come una
persona adulta. Non per niente non l’aveva mai sentita piagnucolare come invece
era solita fare lei.
Doveva toglierselo quel brutto vizio. Oh sì, non c’erano
dubbi. Ma aveva già superato la sua paura del buio, il tormento di cui era
certa non si sarebbe mai liberata, e per una ragazza che si comportava da
mocciosa era senz’altro un gran traguardo.
Più avanti avrebbe pensato anche al resto.
In quel momento aveva altro per la testa. Tirò fuori dalla
tasca il cellulare, pigiò un tasto qualsiasi e osservò il display che si
illuminava: era mezzanotte. Solo mezzanotte.
Ne aveva di tempo da trascorrere lì dentro ancora, tanto
valeva che si desse pace; almeno un po’ di più di quando se ne fosse data fino
a quel momento.
In effetti, Zoe aveva visto giusto anche in quel caso: si
sarebbe sentita fiera di sé la mattina dopo, se tutto fosse andato bene. E lei
voleva davvero sentirsi così, non le era mai capitato prima.
Chiuse gli occhi, appoggiò il capo alla parete e si arrese
al buio.
Tutto sommato oramai lo conosceva, aveva imparato ad
ascoltarlo. Dentro non vi esisteva niente di mostruoso.
Tutto stava nella capacità di resistere … ancora quanto? Sei
ore? Non era consolante, ma se non altro non si sentiva in procinto di urinarsi
addosso, quindi non avrebbe potuto essere tanto peggio di quella notte
diventata famosa all’istituto.
Avrebbe atteso, all’alba Zoe sarebbe andata a riprenderla e
a quel punto avrebbe finalmente tirato un sospiro di sollievo. Anche perché non
aveva più intenzione di farsi trascinare in esperienze simili. Le andava bene
che quella fosse la prova finale, ma
poi non voleva più sentirne parlare.
Meglio le scappate notturne sulla spiaggia sotto la pioggia.
Sbuffando distese le gambe sul pavimento. Pensò che tutto
sommato era stata fortunata: se quella prova le fosse toccata in inverno
sarebbero stati guai seri; forse non avrebbe avuto problemi con il buio, come
stava effettivamente avvenendo in quel momento, ma non dubitava che sarebbe
diventata un ghiacciolo.
L’uomo muore di
freddo, non di oscurità. La frase preferita di Zoe padroneggiava sempre in
quel contesto.
E Rachel non aveva intenzione di morire per il buio, non in
quel momento in cui vi aveva preso confidenza.
Lo pensò anche quando cominciò a sembrarle di sentire quei
rumori.
Di rumori non ce n’erano
davvero. Si disse più volte. Certe
cose avvengono soltanto nei film. Si impose di credere. L’uomo muore di freddo, non di oscurità. Si
ripeté.
Ma quei rumori continuarono e presto fu sicura di non
immaginarli.
Parevano dei cigolii, come quelli delle porte i cui cardini abbiano
bisogno di un’oliatura. E forse, ascoltandoli attentamente, poteva anche
sembrare di catturare dei lamenti.
Si strinse con forza le ginocchia al petto e si impose di
respirare a fondo. Forse non stava immaginando quei rumori, ma con ogni
probabilità non erano poi così vicini come le sembravano.
Forse non avevano niente a che vedere con il capannone in
cui si trovava, né con lei.
Forse presto sarebbero cessati.
Invece si accrebbero. E a questi si sommarono le voci
sussurrate. Non che Rachel capisse che cosa stessero dicendo, ma erano chiare,
tante e sovrapposte.
Immediatamente le venne da piangere, ma poi ricordò le
parole di Zoe: era semplice, bastava che la chiamasse e lei si sarebbe subito
precipitata a prenderla e l’avrebbe portata via.
E non era poi così importante che non avesse superato quella
stupida prova finale, Rachel non aveva certo intenzione di restare lì in
compagnia di quegli strani fenomeni.
Improvvisamente il buio non le sembrava più così conosciuto;
a un tratto le parve anche essersi fatto più fitto ed era inquietante la
rapidità con cui stava tornando a spaventarla.
Il numero lo compose con mano tremante, ma infine riuscì a
far partire la chiamata; le scappò un grido quando la voce robotica dall’altro
lato della linea la informò che il
cliente chiamato era irraggiungibile. Zoe non era rintracciabile. Zoe non
sarebbe accorsa per salvarla dalle tenebre da cui si sentiva nuovamente
inghiottire.
Al diavolo, a che cosa erano serviti quei sei mesi? A farla
trovare in una situazione peggiore di quella originaria? E quella volta aveva
le sue buone ragioni: non stava piangendo perché il buio sembrava nascondere qualcosa di mostruoso, ma perché era certa che
lo celasse davvero.
Nel frattempo, le voci al suo udito si erano fatte più
insistenti, anche se restavano ancora incomprensibili.
Il cuore le saltò irrimediabilmente in gola quando, in fondo
al capannone, fu certa di aver scorto un’ombra in movimento.
D’istinto si alzò in piedi e iniziò a indietreggiare; l’ombra
nel frattempo era apparsa di nuovo e pareva proprio venirle incontro. Accennò
anche una risata.
Rachel gridò. Disperatamente tentò di nuovo di comporre il
numero di Zoe, ma per il terrore il cellulare le cadde di mano e si aprì,
lasciando scivolare all’esterno la batteria; non si curò di abbassarsi per
recuperarlo. Stava ancora indietreggiando, anche perché si era resa conto che
non c’era soltanto un’ombra attorno a lei. Erano varie: cinque, forse sei, non
era stata in grado di distinguerle chiaramente.
Nel frattempo i rumori e le voci sussurrate erano cessati,
ma questo non la sollevò; era tornato quel silenzio,
quello spettrale e atroce. Quello che risvegliò prepotentemente la sua innata
paura del buio.
Perché se lì dentro ci fosse stata la luce non sarebbe
accaduto nulla, è solo nell’oscurità che si nasconde l’ignoto, l’orribile,
l’atroce e l’errato.
Solo nel buio.
Subito riprese a sentire, come non le capitava da ormai
molto tempo, quelle mani gelide che la toccavano nell’invisibilità del nulla.
Si scosse urlando nel tentativo di scrollarsele di dosso, ma senza successo,
perché quelle dita ghiacciate esistevano solo nella sua mente. Ma non poteva
scacciarle; erano tornate.
E le ombre avanzavano ancora, come degli spettri. Sembravano
averla attesa fino a quel momento.
Se solo Zoe avesse saputo. Se solo Zoe avesse previsto ciò
che sarebbe capitato.
Zoe. Che non sarebbe giunta per sottrarla a quell’inferno in
cui temeva di morire.
Camminando all’indietro, improvvisamente inciampò nei suoi
stessi piedi. Quando si rialzò stava piangendo più forte.
Aveva avuto ragione fin dal principio, non avrebbe mai
dovuto chiedere aiuto a Zoe né darle retta: non bastava conoscere il buio, non
era sufficiente abituarsi a esso e lasciarvisi avvolgere.
Il buio era subdolo, si camuffava da amico per poi
dimostrarsi un mostro tremendo.
Aveva sempre fatto bene a temerlo, avrebbe dovuto continuare
a farlo, senza ricorrere a stupidi stratagemmi per evitarlo; avrebbe dovuto
continuare a dormire con la luce accesa nella sua stanza, in quel modo non si
sarebbe mai trovata in quella situazione.
E intanto le ombre erano ancora lì, anche se ormai si erano
fermate.
Erano poco visibili, ma Rachel le notava e più di ogni altra
cosa le sentiva. Percepiva i loro
respiri; o forse si trattava del respiro del buio stesso, che era pronto ad
inghiottirla.
Perché finalmente l’aveva in pugno, poteva fare di lei ciò
che voleva. Era diventata sua schiava, si era arresa a lui convinta di potersi fidare.
Ma ormai quel che contava era soltanto uscire da lì.
Tra le lacrime sussurrò più volte il nome di Zoe, come a
volerla invocare, ma lei non sarebbe accorsa. Lei non c’era. Rachel era sola,
come forse era sempre stata.
Fu d’improvviso che, voltandosi, si ritrovò dinanzi una
ragazza vestita con una tunica nera, il viso pallido e la bocca aperta
macchiata di sangue. Non aveva idea da dove provenisse quella luce improvvisa
che le aveva illuminato il volto, mostrandole l’abominio in tutto il suo
orrore.
La ragazza-mostro si protese verso di lei con un balzo;
Rachel indietreggiò e fu per un soffio che riuscì a trovare la porta che
conduceva all’esterno.
Scappò a gambe levate, senza sapere dove si stesse
dirigendo, anche se era a pochi passi dalla scuola.
Stava piangendo, urlava. E si era urinata addosso.
**
Zoe osservò Rachel che si dileguava nella notte e rise
mentre la sentiva urlare.
Era stato un vero spasso prendersi gioco di quella
ragazzina; per sei lunghi mesi si era finta sua amica, si era anche scomodata a
cercarla, ma ne era proprio valsa la pena. La scena di quella notte la ripagava
di tutto il tempo perso.
Quando non la vide più stava ancora ridendo, ma si ricompose
per richiamare gli attori.
Erano i compagni di classe di Rachel, i quali avevano
accettato di buon grado di prendere parte a quello scherzo maligno. In fondo
non chiedevano di meglio che umiliarla ancora.
Ma lei no, non l’aveva fatto solo per quello.
Per Zoe c’era di più, lei andava oltre.
Quando le furono tutti dinanzi, mentre veniva illuminata
dalla grossa torcia che aveva mostrato a Rachel il viso della ragazza con la
bocca sporca di sangue, e che veniva retta da uno dei ragazzi, si inchinò a
tutti loro senza demordere dal suo largo sorriso.
<<Complimenti, colombini. Lo spettacolo è finito. Ora
tutti a nanna, prima che arrivino i veri mostri>> scherzò sadica e
compiaciuta.
I compagni di classe di Rachel confabulavano a bassa voce,
ma a Zoe non interessava quel che si dicevano. Tra di loro c’erano anche quelli
che avevano portato lo stereo e l’amplificatore.
Quelli con cui erano stati trasmessi i cigolii e le voci
sussurrate. Erano stati tratti da un film dell’orrore: ottimo mezzo per
spaventare qualcuno.
Anche se la trovata migliore senza dubbio erano state le
ombre che si muovevano verso la malcapitata. Quello doveva averla spaventata a
morte, anche se in realtà si trattava solo di semplici ragazzi vestiti di nero
che si muovevano nell’oscurità.
Prima ancora che gli
attori se ne andassero, Zoe aveva già smesso di rivolgersi a loro e non li
stava nemmeno più guardando.
Rideva di nuovo, e sonoramente.
Era soddisfatta del proprio spettacolo macabro, in fondo le
sembrava un po’ un’opera d’arte.
Perché non poteva esistere niente di più spettacolare che
mettere paura a una ragazzina stupida che aveva abbindolato per sei mesi; una
ragazzina della quale aveva ottenuto la fiducia.
In alcuni momenti era arrivata a credere che Rachel si fosse
innamorata di lei, e questo, se fosse stato vero, avrebbe resto tutto ancora
più divertente.
Era tanto presa dai suoi pensieri di gloria che quasi la
infastidì quella voce che la chiamò.
<<Che vuoi?>> sbottò infatti senza voltarsi;
voleva bearsi della notte e di quel che le sussurrava.
La ragazza con la tunica nera, il volto truccato per
apparire cadaverico e la bocca macchiata di rosso, era dietro di lei.
<<Sarà tornata a casa?>> fece questa con tono
preoccupato. Si trattava di Judith, la compagna di classe di Rachel che si era
sempre prodigata con molta allegria a sfotterla a più non posso.
<<Dettagli>> fece Zoe secca. Perché quella sciocca
stava sciupando la sua euforia?
<<È stato divertente, Zoe. Ma ho paura che tu abbia
esagerato. Che abbiamo esagerato tutti. Che cosa facciamo se Rachel non torna a
casa e le succede qualcosa?>>.
In quel momento Zoe si voltò verso di lei e la fulminò con
lo sguardo.
<<Smettila di scocciarmi. Vattene>> sibilò tra i
denti, e i suoi occhi brillavano di nuovo.
<<Non te ne frega proprio niente? Insomma, va bene uno
scherzo, ma forse abbiamo superato la linea. Dovremmo andare a cercarla>>
si impuntò Judith.
<<Se ci tieni tanto, vacci tu, io ho di meglio da
fare>>
<<Zoe …>>
<<Quale parte di “vattene” ti è poco chiara,
colombina? Àndale! Telare!>> e detto questo smise di prestarle
attenzione.
<<Sai cosa, Zoe? Questa sera abbiamo sbagliato tutti,
ma tu sei veramente cattiva. Lo sei per davvero … dentro>>; dopodiché
Judith si arrese e se ne andò.
Quelle parole stavano facendo sorridere Zoe; sì, lei era
cattiva. Lo era sempre stata, le piaceva esserlo. Era proprio per questo che si
era presa gioco di Rachel fingendosi sua amica per poi spaventarla a morte con
quello scherzo crudele. Non lo faceva per infantilismo come tutti gli altri, le
prese in giro verbali erano una stupidaggine di poco conto, non valeva la pena
abbassarsi a tanto.
Lei aveva giocato con Rachel perché era stata una goduria
farlo; non era passata notte senza che ridesse di gusto per quel che aveva in
serbo per lei.
Perché Zoe era cattiva.
Lo era diventata quel giorno di sei anni prima: papà era
morto da poco e lei, anche se sua madre le aveva detto di non toccare l’urna
contenente le sue ceneri, l’aveva presa in mano comunque, perché voleva tenersi
stretto il genitore scomparso; voleva sentirselo vicino.
Ma poi il contenitore le era caduto, e le ceneri si erano
sparse per casa senza che fosse più possibile recuperarle interamente.
Quel giorno sua madre le aveva detto per la prima volta che
era cattiva, e da quel momento in poi glielo aveva ripetuto infinite volte.
Ma fin dal primo momento in cui aveva sentito rivolgersi
quella parola, aveva capito che era la sua vera natura, e doveva essere tale.
Lei era cattiva; diceva bene Judith, lo era dentro.
E non avrebbe potuto sentirsi più felice per il fatto di
esserlo.
*************
Angolo spiegazioni: Prima cosa fra tutte, questa storia non vuole essere assolutamente una presa di posizione contro i dark, come a voler dire che siano fuori di testa o potenzialmente cattivi. Il personaggio di Zoe, un pochetto contorto, è totalmente a sé.
Lei si sente cattiva e si comporta da tale, ma questo non ha a che fare con il modo in cui si veste. Semplicemente doveva essere una dark perché Rachel potesse chiederle aiuto. Che relazione ci sarebbe mai stata tra una persona normale e l'oscurità?
In quanto a Zoe stessa, parlare di lei, del suo atteggiamento e degli stralci del suo passato non è facile, credo che il tutto possa essere analizzato e interpretato dal lettore.
Sicuramente in sé nasconde qualcosa, molto probabilmente dei traumi, e la madre, figura volutamente assente in questa storia se non per qualche accenno, ne è di sicuro complice, se non completamente responsabile.
L'ha chiamata cattiva perché ha fatto cadere l'urna contenente le ceneri di suo padre, e le ha poi ripetuto quella parola infinite volte, ma i motivi successivi non è dato saperli.
Comunque sia, Zoe si sente cattiva, ed è felice di esserlo. Diciamo che ho trovato affascinante il fatto di costruire un personaggio simile, del quale poco si svela in tutto il corso della storia, e che ha subito però chiaramente una certa crescita nera nell'animo. Ma in fondo chi è Zoe? Non lo so realmente nemmeno io che sono l'autrice della storia. E' un personaggio sfuggente, da analizzare personalmente.
L'unica certezza è che lei è molto diversa da tutti gli altri. I compagni di classe di Rachel, infatti, la prendevano inizialmente in giro e hanno accettato di farle quello scherzo maligno poi, per puro infantilismo, perché prendere in giro è divertente. Per Zoe non è stato lo stesso, di fatti non si è mai abbassata a schernire la ragazzina. Lei ci ha visto quasi una gloria a prendersi gioco di lei, un po' un'opera d'arte. Certo, di suo non ci avrebbe mai pensato se Rachel non le avesse chiesto aiuto, ma visto che le si è presentata l'occasione ... e questo potrebbe far sorgere la lecita domanda: quand'è che la dark avrebbe deciso di spaventare Rachel con la sua cattiveria dopo aver ottenuto la sua fiducia? Io dico fin dal primo momento che questa si è rivolta a lei per chiedere il suo aiuto, ma poi ogni interpretazione è libera.
Un'altra cosa certa temo sia questa: internare Zoe sarebbe una grande idea. :D
Detto questo, e senza far caso al fatto che la spiegazione riguardante il racconto avrebbe dovuto essere di due righe, penso di potervi lasciare tranquilli. Dire qualcosa in proposito, però, mi sembrava doveroso e giusto. Spero di aver chiarito qualche idea e non di averle confuse di più ^^
Alla prossima!!
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*lady in blue*