E dopo questo, ancora uno soltanto, e avrò anche già salutato i testi sfogliati l'anno scorso.
Non va mica bene.
L’OCCHIO DEL MALE
Di Stephen King
Bene, eccoci di fronte a un altro libro di King, questa
volta decisamente più vecchiotto. Il titolo era senz’altro accattivante, ma
devo dire di averlo letto per seguire un consiglio in proposito.
Questo è un libro di trecento pagine, quindi niente di
troppo impegnativo in fatto di lunghezza del testo; la trama, invece, lo è
decisamente di più.
Prima di iniziare a parlarne, però, è bene segnalare che
questo libro rientra tra quelli che l’autore scrisse inizialmente sotto lo
pseudonimo di Richard Bachman.
Cosa che doveva illuminarci sulla sua fasulla identità: uno
dei personaggi della storia, decisivo e importante benché appaia concretamente
solo oltre la metà della stessa, si chiama a sua volta Richard. Uhm, nei libri
firmati signor King non ho mai trovato un personaggio di nome Stephen.
Ma passiamo alla storia.
Dunque, il nostro protagonista sarà Billy Halleck, un
avvocato che vive in una cittadina tranquilla, decisamente in sovrappeso che,
improvvisamente, comincia a dimagrire.
Oh certo, all’inizio pare proprio una bella cosa, dato che
pesare centotredici chili non è proprio indice di buona salute né di lunga
vita, ma c’è qualcosa che non lo convince per niente.
E c’è anche quel ricordo: lui che esce dal tribunale dopo
l’assoluzione, il vecchio zingaro che gli si avvicina, gli tocca una guancia e
gli sussurra Dimagra.
Ma, inizialmente, com’è ovvio, Billy non vuole far troppo
caso a questo pensiero.
Non può, però, non far caso a quel dato di fatto: starà pure
dimagrendo, ma non sta seguendo alcuna dieta, anzi, mangia quanto prima se non
di più.
Ovviamente qualche sospetto nasce e la moglie di Billy,
Heidi, è preoccupata che possa trattarsi di cancro, unica spiegazione
plausibile a un tale, improvviso e inesorabile calo di peso.
Anche la figlia del protagonista, Linda, pare persuasa che
esista qualcosa del genere.
Billy fa i controlli consigliatigli dalla moglie, facendosi
anche visitare dal suo medico curante, il dottor Houston, che tra una diagnosi
e l’altra si fa delle simpatiche sniffate di cocaina.
Dagli esami risulta tutto a posto, niente cancro, ma
ovviamente Billy è certo di avere qualcosa che non va e, mano a mano che il suo
peso precipita velocizzando la sua corsa, troverà sempre più convincente
l’ipotesi del vecchio zingaro.
Ma tentiamo di andare con ordine.
Dimagra, gli
avrebbe detto quest’ultimo toccandogli il volto e sì, ha tutta l’aria di essere
una bella maledizioni all’antica. Ma perché il nomade avrebbe avuto motivo di
maledire l’avvocato in sovrappeso? Da quale crimine Billy era stato assolto?
Niente meno che da un’accusa di omicidio: Billy, infatti,
avrebbe investito con la sua auto e ucciso una vecchia zingara. È pur vero che
la zingara in questione non ha attraversato dove avrebbe dovuto, ma è anche vero
che Billy era occupato a … pensare ad altro; più nel dettaglio, alla cosuccia
impudica che gli stava facendo sua moglie.
Ed è anche vero che il giudice a cui il caso era stato
assegnato, Rossington, è una sua conoscenza.
È anche vero che il capo della polizia, Hopley, non ha fatto
a Billy nemmeno il test dell’alcolemia, come sarebbe stato normale prassi, e si
è poi reso molto operoso per cacciare gli zingari dalla città.
Certamente Billy comincia a pensare che qualcosa di vero
deve esserci in questa storia della maledizione, anche perché immagina che il
vecchio zingaro debba essere accecato dall’odio.
Billy crederà per lungo tempo di aver ucciso la moglie di
quest’ultimo, ma solo in seguito scoprirà di essersi … sbagliato in proposito.
Ma anche il nostro avvocato che sta rapidamente
trasformandosi in una sottiletta umana comincia a sperimentare sentimenti
d’odio.
Verso chi? Verso la moglie Heidi. Si chiede per quale motivo
l’egregia signora abbia scelto proprio quel benedetto giorno per fare certe
cose in macchina. All’inizio, ogni volta Billy provi quest’ondata d’odio finirà
per vergognarsene, ma poi, per lui, provarla diverrà del tutto naturale.
E Billy inizia a odiare maggiormente Heidi quando questa
allontana da lui la figlia, mandandola a stare da una zia e, soprattutto,
quando la stessa Heidi non crederà alla sua convinzione di essere stato
maledetto e penserà che sia uscito pazzo.
Con lei, lo crederà anche il dottor Houston.
Ma c’è qualcuno che crede a Billy? Gli crede la moglie del
giudice Rossington e gli crede anche Hopley, il capo della polizia. Sorry, ex-capo della polizia.
Peccato che, chi per un motivo, chi per l’altro, non ha avrà
modo di dar manforte al caro avvocato.
Eppure, ora Billy non ha più dubbi sul fatto che ciò che gli
sta accadendo sia il risultato di una malefica fattura gitana; per questo
decide che la sua unica speranza è quella di incontrare il vecchio di persona,
parlargli, e chiedergli di ritirare la maledizione.
Billy riesce a stare sulle tracce degli zingari inizialmente
grazie a un servizio investigativo portato avanti dallo studio per cui lavora,
ma presto sarà costretto ad abbandonare questa alternativa … gli è bastato
sentire quel clic emesso dal
telefono.
E dato che Billy Halleck non ha voglia di farsi ritracciare
e sbattere in ospedale psichiatrico, decide di andare avanti per conto suo.
Nel frattempo il suo dimagrimento progredisce e arriva ad
aver perso quaranta chili in un mese. Buono per lui che all’inizio della
vicenda fosse parecchio in sovrappeso; fosse stato un uomo dalle dimensioni
normali, l’avremmo già allegramente salutato da un pezzo.
Ma l’incontro con gli zingari, finalmente rintracciati e
raggiunti, non si svolge esattamente come Billy aveva previsto, ed è per questo
che deciderà di richiedere l’aiuto da quell’uomo il cui nome gli aveva ronzato
tante volte per la testa.
Ed ecco che troviamo il personaggio di nome Richard.
Richard Ginelli.
Simpatico individuo implicato in vari traffici balordi tra
cui traffico di droga e quant’altro, chiaramente di origini italiane. Sud
italiane, per l’esattezza. Non è detto chiaramente, ma è facilmente intuibile
da varie belle cosine.
Richard crederà senza remore a Billy, perché sostiene di credere a ciò che vede, ed è impossibile
non vedere il cambiamento di Billy.
Ginelli offrirà anche il suo aiuto al caro avvocato, del
quale non rivelerò i dettagli, fino a condurlo all’ultimo incontro/scontro con
Taduz Lemke, lo zingaro che ha lanciato la maledizione su Billy.
E Lemke gli spiegherà come potersi liberare di questa
maledizione ma, perché questo avvenga, c’è da seguire una certa … condizione.
A parte il fatto che mi sono domandata come il signor King
si sia inventato i dettagli di questa condizione (l’idea della crostata
dovrebbe proprio spiegarmela), ma mi è piaciuta molto la definizione che il
vecchio zingaro dà alla maledizione stessa, e non a quella di Billy in
particolare.
L’immagine che Lemke ne dà è particolarmente sinistra, ma
anche perfettamente adatta al concetto che queste maledizioni, secondo lui, ispirano.
Perché non è tutto riconducibile a una semplice parola e a
un semplice evento degenerativo impossibile da arrestare. La maledizione è di
più. È oscura, ed è viva.
Billy deciderà di seguire questa condizione imposta dallo
zingaro per liberarsi della maledizione, neanche tanto a malincuore ma, infine,
succederà qualcosa che non aveva per nulla previsto.
Fondamentalmente un bel libro, anche se devo dire di aver
trovato la prima metà un po’ più pesante da leggere. Non perché sia scritta
male o la situazione presentata non fosse interessante, ma c’era qualcosa che
ancora non ho ben definito che tendeva a rallentare la lettura, come se
sussistesse una certa forzatura di fondo.
Forzatura del tutto scomparsa nella seconda metà del testo.
A dire il vero già da prima di giungere a metà, dove il tutto si fa
inspiegabilmente più fluido.
Onestamente, benché sia il protagonista, Billy è riuscito a
darmi sui nervi dall’inizio alla fine, soprattutto per questo suo voler
colpevolizzare la moglie a ogni costo.
Insomma, diciamocelo, non le avrà chiesto lui di mettersi a
fare quel lavoretto in macchina, ma
non è stato neanche incline a fermarla.
Ugualmente irritante ho trovato anche la figlia
dell’avvocato, Linda, ma sarà perché è un personaggio adolescente.
Più pena invece mi ha fatto proprio Heidi che si sente forse
più in colpa di Billy per ciò che è accaduto e, benché non sia esposto
chiaramente, tra le righe si intuisce che soffre per non essere stata punita
insieme a lui. Forse è per questo che non crede (o non vuole credere) alla
storia della maledizione. Certo, già prendere sul serio un’eventualità del
genere è ben difficilino, poi sicuramente non avrà potuto accettare tale idea,
proprio perché non ne era stata toccata insieme al marito.
Credo, inoltre, che Heidi abbia sempre agito per quello che
supponeva essere il bene di Billy.
Ginelli non può certo star molto simpatico, visti i suoi
precedenti e nemmeno gli zingari ispirano questa grande fiducia e comprensione.
Argomento forte e centrale di questa narrazione è quello del
giochiamo a scaricabarile, cosa che
mostra quanto l’uomo, nei momenti di difficoltà e, soprattutto, quando non sa
più da che parte voltarsi, debba trovare necessariamente un colpevole, un capro
espiatorio, quasi per dare un senso a ciò che accade, oltre che per scaricarsi
dalle proprie responsabilità.
Direi un tema importante, delineato con grande maestria
dall’autore, che riesce quasi a far paura per la sua vastità e per la vicinanza
spietata alla vita reale.
Importante anche la tematica dell’esclusione e delle
minoranze che la subiscono, anche se, fossi stata il signor King, non avrei
tentato di dare nemmeno un briciolo di considerazione a questo aspetto vissuto
dagli zingari.
Non per altro, ma ormai si sa come questi siano fatti, ci
manca soltanto cominciare a considerarli delle vittime.
Senz’altro più interessante è l’attenzione dedicata al
sentimento dell’odio, e alla facilità con cui può nascere, qualunque sia il
motivo che lo ispiri, e all’altrettanto facile possibilità di protrarlo ciecamente
in avanti. Mi è piaciuta, perché molto vera, l’immagine dei figli dei figli che
continuino a infliggere pene al nemico senza nemmeno ricordare da dove la lite
o l’odio fossero cominciati.
Dunque un libro che apre la porta a ottime riflessioni, tutt’altro
che banali o stupide.
La trama in sé, benché chiaramente assurda realisticamente
parlando, è molto avvincente e mantiene vivo l’interesse del lettore fino alla
fine.
Anzi, soprattutto alla fine.
Quindi un libro sicuramente consigliato, la cui prima
edizione risale al 1984.
Voto finale: 7 ½
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*lady in blue*