world of darkness

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venerdì 14 giugno 2013

La chiave di pezza (Cap.2)

Originariamente postato sul vecchio blog l’8 ottobre 2012

Eccomi di nuovo, questa volta con la semplice continuazione del racconto cominciato qualche post più in là; sì sì, quello della neve che mi ha dato l’ispirazione in piena estate
Ma niente ciance, meglio andare al sodo: il secondo capitolo è intitolato “Hillary” che si andrà a scoprire chi è (non ho avuto la minima fantasia per i titoli dei capitoli in questo caso, lo ammetto) e qui cominciamo a chiarire i primi punti oscuri …
Buona lettura a chiunque scelga di darci un’occhiata!!

LA CHIAVE DI PEZZA


II

 HILLARY


La sera di Capodanno Leyla era andata a una festa a casa di una delle sue compagne di classe, ma quando si era resa conto che gli altri non pensavano ad altro che a ubriacarsi e a fare gli idioti se n’era tornata felicemente a casa, e questo ben prima che scoccasse la mezzanotte.
Leyla aveva sedici anni, ma se c’era qualcosa che non poteva proprio soffrire era la sconsideratezza dei ragazzi. No, comportarsi come una demente, rischiando magari di farsi del male (o di farne a qualcun altro) non faceva proprio per lei.
Così aveva preferito restare in compagnia dei suoi e di Laurie; Leyla non avrebbe cambiato nessuno di loro, nemmeno per tutto l’oro del mondo.
Quella sera, tutti insieme in salotto, si erano raccontati barzellette, storielle e aneddoti divertenti riguardanti l’anno che si preparava a dare a tutti l’addio definitivo.
Tutto sommato era stato un Capodanno divertente, e la ragazza compativa quei poveretti che non avevano niente di meglio da fare che riempirsi il fegato d’alcool.
Lei stava meglio così.
Erano stati svegli fino a tardi; lo era stata anche Laurie, anche se non quanto gli adulti, e così, di conseguenza, si erano svegliati tardi il giorno seguente.
Il primo di gennaio era sempre una giornata strana, tutti gli anni; forse era perché si doveva fare l’abitudine all’anno nuovo, forse perché invece ci si aspettava sempre un cambiamento significativo che però non si faceva vedere. Stava di fatto che si percepiva sempre qualcosa di strano quel dato giorno dell’anno.
Dopo aver pranzato (sempre tardi), si erano ritirati tutti quanti a fare gli affari loro: papà a leggere un libro, la mamma a lavorare, Laurie a disegnare e Leyla a finire i compiti delle vacanze.
Solo in serata la maggiore si trasferì in camera della sua sorellina per farle un po’ di compagnia.
Laurie aveva tirato fuori i suoi animaletti giocattolo: quelli piccoli piccoli e che trovava come regalo nei giornaletti. Ormai si poteva dire che avesse un intero zoo a disposizione.
Insieme alla sorella, la bimba aveva scelto di catalogarli: da una parte i carnivori, dall’altra gli erbivori.
Leyla si occupava della prima sezione: davanti a sé aveva sistemato un lupo, un leone, una tigre e una pantera; Laurie aveva messo da parte un elefante, una zebra, una gazzella e un rinoceronte.
Poi fu la volta del maialino. Laurie era convinta di doverlo inserire nella categoria degli erbivori, ma la sorella le spiegò che si trattava di un animale onnivoro, ossia capace di mangiare sia carne che vegetali, come l’uomo, le precisò, così la bambina decise subito di creare una suddivisione diversa che comprendesse queste specie.
E fu anche contenta di aver appreso qualcosa di nuovo.
Il maialino fu così posizionato nel mezzo, a parte, separato sia dai carnivori che dagli erbivori.
Avvenne la stessa cosa quando fu trovato lo scimpanzé, e poi si ripeté di nuovo quando giunsero al topolino.
Laurie era rimasta per svariati secondi a fissare l’animaletto giocattolo dal momento in cui se lo ritrovò tra le mani; la sorella aveva creduto che stesse rimuginando sulla categoria in cui fosse giusto inserirlo. Eppure anche lei si perse per un po’ in quella strana atmosfera silenziosa e si ritrovò a osservare inebetita prima il topolino, poi sua sorella, infine fuori dalla finestra, dove cadeva ancora qualche leggero fiocco di neve. Non che nevicasse ininterrottamente dal giorno di Natale: dopo il venticinque dicembre aveva smesso, per poi riprendere l’ultimo dell’anno; quel primo gennaio non restavano che i rimasugli di quella perturbazione bianca.
<<Va tra gli onnivori>>, riuscì a dire infine, quando finalmente si scosse. Laurie alzò lentamente lo sguardo su di lei e le sorrise lievemente, ma dall’espressione degli occhi sembrava frastornata.
<<Ah … okay>>, rispose distrattamente, e andò a porre la nuova riproduzione della bestiolina insieme al maiale e allo scimpanzé.
Mentre faceva ciò il suo sguardo era corso alla montagnola di peluche che si trovava sul suo letto; uno sguardo fugace, quasi colpevole e impaurito.
Uno sguardo che sembrava una supplica a non farsi vedere. Fu così che Leyla si stranì: <<Tutto a posto?>>, domandò alla piccola. Questa rispose subito di sì, ma la sorella maggiore non tardò a rendersi conto della nuova occhiata indirizzata al mucchio di pupazzi.
<<Che cosa c’è qui in mezzo?>>, domandò e incuriosita allungò la mano verso di esso.
<<No, Leyla. Aspetta!>>, fece la bambina scattando subito in piedi e tentando in un lampo di fermare la sorella maggiore.
La prese per il polso.
<<Aspetta un secondo, Leyla, aspetta. Ti devo dire una cosa>>, esclamò piagnucolante, ma l’altra si era facilmente liberata della sua stretta e aveva affondato la mano tra gli animali di pezza.
Le sembrava che fossero tutti quelli che aveva sempre visto: il cavallo, il leone del Re Leone, il coniglio, la volpe, la scimmietta e tutti gli altri che Laurie aveva collezionato durante i suoi cinque anni, ma poi le saltò agli occhi quello che prima d’allora non c’era mai stato.
Forse non l’avrebbe mai notato con la vista, se al tatto non avesse avvertito quella sorta di scossa elettrica accompagnata dalla sensazione di star toccando qualcosa di liquido e caldo.
Sollevò dal mucchio il topolino bianco con il gilet marroncino ed ebbe l’impressione che di dosso gli scivolasse via della neve.
Neve. Neve rossa.
Laurie intanto la guardava con aria colpevole.
La mano di Leyla che stringeva il topolino di pezza stava tremando.
Sentì un urlo nella testa, poi rivide la neve rossa. Neve rossa che cadeva fitta e silenziosa dal cielo e si posava tutta ai suoi piedi, assumendo la forma di una porta sbarrata sulla coltre bianca.
<<Io non l’ho rubato, Leyla, te lo giuro. L’ho trovato per terra, sotto la neve, non so di chi è>>, spiegò la bambina; stava quasi piangendo.
Leyla si volse d’improvviso verso di lei con un brivido intenso, poi la guardò negli occhi, mentre si sentiva sbiancare in viso: per un momento non aveva visto Laurie di fronte a sé, ma la bimba bionda.
Quella bimba bionda.
<<Laurie. Laurie, dove l’hai trovato?>>, le domandò con un filo di voce. E quel filo di voce le stava tremando.
<<Sotto la neve, vicino a casa di zia Sarah, a Natale>>, rispose la piccola mentre piangeva, <<mi sono allontanata un po’ senza il permesso della mamma, ma non tanto, e poi l’ho trovato>>; fece una pausa per asciugarsi gli occhi.
<<Lo so che non è mio, Leyla, ma non c’erano altri bambini così ho pensato che lo potevo tenere>>.
Leyla guardò di nuovo il topolino di pezza, poi serrò gli occhi con forza, come lottando contro un ricordo; o come tentando di ricondurlo a sé.
<<L’hai detto alla mamma, Laurie? Gliene hai parlato?>>
<<No, io avevo paura che si arrabbiava, perché avevo preso una cosa che non è mia>>.
Leyla tornò a guardare fissamente la bambina negli occhi. <<Non devi dirle niente, d’accordo? Questa è una cosa che sappiamo solo tu ed io, per adesso, va bene?>>, fece concitatamente.
Laurie la osservava stranita; la sorella maggiore allora le prese la mano nella sua.
<<Laurie, devi ascoltarmi bene. Tu non hai fatto niente di male a prendere questo pupazzo, ma mi devi promettere che non dirai niente a nessuno, capisci? Non deve saperlo nessun altro. Me lo prometti?>>, e negli occhi di Leyla era viva la supplica; Laurie capì solo che doveva trattarsi di qualcosa di molto importante, così si affrettò a rispondere di sì.
Leyla strinse forte il topolino di pezza e disse alla sorellina che l’avrebbe tenuto lei, perché l’avrebbe nascosto meglio.
Fu proprio mentre si apprestava ad andarsene per raggiungere la sua stanza che Laurie la chiamò: <<Leyla, se non ho fatto niente di male a prenderlo, allora perché lo dobbiamo tenere nascosto?>>, le domandò, <<perché forse so a chi appartiene>>, furono le parole spente che la sorella maggiore le rivolse uscendo dalla stanza.

Leyla aveva chiuso a chiave la porta della sua camera ed era piombata nelle tenebre più assolute.
Se ne stava al buio, seduta sul pavimento freddo, stringendo in mano quel topolino di pezza con il gilet e ascoltava il suono inudibile che produceva la neve che cadeva nella sua testa.
Neve fitta, che sembrava non dover smettere di scendere mai più; neve bianca, ma che a tratti si colorava di rosso.
E poi, in sottofondo, sentiva delle risate.
Respirava a fondo cercando di catturare le immagini sfocate che la mente le proponeva. Lei sapeva a chi apparteneva quel pupazzo; ma lo sapeva davvero? O meglio, lo ricordava?
La neve cade, ricopre, ma non cancella. Però nasconde, alla vista come alla memoria, e lei voleva che quella neve prendesse a sciogliersi. Ne era caduta parecchia durante tutti quegli anni, quanto avrebbe dovuto scavare per richiamare a sé i ricordi? Eppure sentiva che era pronta a farlo.
Aveva visto il suo viso per un attimo al posto di quello di Laurie.
Già, ma per quello non ci voleva poi molto, bastava che rivedesse se stessa all’età della sua sorellina più piccola. Loro erano identiche; gemelle identiche.
Strinse più forte il topolino di pezza e si sforzò di ricordare: il suo volto lo rammentava, fino a lì non riscontrava problemi, ma quand’era successo? Avevano entrambe cinque anni, come Laurie in quel momento, però non era Natale; era febbraio.
Chi si era allontanata per prima dalla casa di zia Sarah, lei o Hillary? Una delle due bimbe nella sua testa correva davanti all’altra, ma non riusciva a distinguersi. Sapeva solo che ridevano entrambe.
Fuori dalla sua finestra esplose un primo tuono sommesso che sanciva la fine della neve e l’arrivo imminente della pioggia.
Lei e Hillary erano anche vestite uguali quel giorno: indossavano entrambe il vestitino verde, quello che avevano voluto avere per forza identico, e sopra avevano il cappotto a quadri. E poi la sciarpa, anche quella era verde.
Guardò ancora il topolino di pezza, sperando di trovare nei suoi occhietti neri di filo una risposta ai suoi interrogativi, oppure una strada da seguire.
Subito ricordò: la bimba che stringeva il pupazzo era quella che correva davanti; lei seguiva Hillary, era stata sua sorella a volersi allontanare, e Leyla le stava dietro di buon grado, perché era divertente correre sulla neve. E poi sentivano quell’attrattiva speciale, quel richiamo silenzioso.
Perché Leyla ricordava di averlo sentito, ed era sicura che fosse valso lo stesso per la sua gemella.
Loro ridevano. Questo Leyla lo ricordava bene. Ridevano, e le zampe posteriori del topolino di pezza pendevano dalla mano della bimba che correva per prima.
Come si chiamava quel topolino di pezza? Qualcosa con White. Sì, White perché era bianco (come la neve), ma al colore era stato abbinato qualcos’altro.
Non ricordava, poi le tornò in mente la porta rossa disegnata sulla neve.
White Key. Perché nel taschino del suo gilet era stata nascosta una chiave, quella del diario segreto che la mamma le aveva regalato. Un diario che Hillary non era mai arrivata a usare, perché era scomparsa prima che imparasse a scrivere.
La chiave bianca. Pensò Leyla. La chiave bianca di pezza per aprire la porta rossa. E allora tutto fu molto più chiaro; si alzò mentre fuori il vento si alzava e i tuoni si facevano via via più vividi, e si intervallavano ai primi lampi.
Stava per piovere, invece quel giorno nevicava. Neve bianca. La neve rossa era venuta solo dopo.
Camminò fino a raggiungere il proprio letto, poi si chinò, e tirò fuori da sotto il bauletto impolverato: quasi non ricordava più che si trovasse lì e, soprattutto, aveva dimenticato quel che c’era dentro; o per lo meno non ricordava una parte di ciò che c’era dentro. Perché sapeva che lì erano contenute le fotografie di quando era bambina, ma ormai aveva cancellato Hillary dalla sua memoria, come se non fosse mai esistita. Come se non avesse mai avuto una sorella gemella.
Eppure da quel giorno non era mai più voluta andare a casa della zia; ricordò in quell’istante di essersene chiesta il motivo a un certo punto, quando a Natale era rimasta a casa con papà, anziché andare a Bonnyrigg con sua madre e Laurie. Si rese conto che non era stata in grado di rispondersi.
Ma come aveva potuto dimenticare?
Aprì lo scomparto, raccolse e accese la piccola torcia che teneva sempre a lato del letto e cominciò a guardare le fotografie. Ce n’erano alcune in cui erano piccolissime; in una erano sedute sul passeggino e portavano entrambe un cappellino ridicolo con i campanelli.
Erano sempre identiche, in ogni foto, tanto che Leyla fu certa che nessuno, forse a parte lei stessa e sua madre, avrebbe saputo distinguerle. Ma poi tutto cambiava nell’arrivare alle istantanee dell’ultimo anno di Hillary; lì lei aveva sempre con sé il topolino di pezza. Leyla ricordò che non se ne separava mai, non lo lasciava prendere nemmeno a lei, anche se facevano sempre tutto insieme ed erano tanto unite.
Guardò la bimba con i capelli biondi nella fotografia, quella che stringeva la mano all’altra bambina bionda identica a lei, e non poté trattenere le lacrime.
Leyla pianse non perché Hillary era scomparsa undici anni prima senza mai più essere ritrovata, ma perché si era dimenticata di lei. Aveva dimenticato di aver stretto la sua mano nella propria.
All’improvviso percepì una scossa e, chiudendo gli occhi e continuando a stringere il topolino di pezza, cominciò a vedere quelle immagini. Anzi, a rivedere.
Perché ricordava di aver già fatto quel sogno, tante volte, quando Hillary era appena scomparsa. Non ne aveva mai parlato con nessuno, perché non aveva mai capito ciò che vedeva e poi ne aveva sempre avuto paura.

C’era una bimba che vagava nell’oscurità: era lei. Sapeva di essere alla ricerca della sua sorellina, ma non aveva idea di come fosse arrivata lì né come avesse scelto di percorrere quella strada buia. Aveva paura, di questo era certa.
Sentiva il rumore dell’acqua sotto i suoi piedi; non acqua che scorre, ma acqua immobile che viene calpestata.
Le sembrava di sentire una voce in lontananza, ma non ne era sicura; era un suono così lieve, così impercettibile. Lei lo seguiva lo stesso, ma non era certa di sentirlo veramente. Forse voleva soltanto che quella voce ci fosse, perché questa sarebbe stata la sua speranza; la speranza di ritrovare Hillary.
Così camminava, non sapeva da dove venisse, né dove fosse diretta, ma procedeva passo dopo passo, un po’ lentamente e un po’ affrettandosi, sempre alla ricerca di quella voce.
Poi d’improvviso scoppiava l’urlo; era talmente forte che doveva coprirsi le orecchie con le mani per non diventare sorda. E quel grido durava tanto, sembrava infinito, per questo alla fine si lasciava cadere, sprofondando con le ginocchia nell’acqua.
Ma no, non era acqua. Se ne accorgeva in quel momento: era sangue.
Spaventata cercava di rialzarsi, invece vi cadeva dentro con tutto il corpo. Intanto l’urlo continuava, ma sembrava stesse volgendo al termine. La bimba piangeva, e si era macchiata i capelli biondi di sangue. Non riusciva ad alzarsi, così vi camminava dentro carponi, affondandovi le mani, ricevendone gli schizzi in viso.
Tratteneva il respiro perché quel sangue era orribile.
Leyla camminava nel sangue e seguiva l’urlo di sua sorella persa nel buio; ma poi l’urlo cessava e davanti a sé trovava solo un muro. A galleggiare nel sangue vedeva il topolino di pezza; ed era bianco, non si era sporcato. Il topolino di pezza di Hillary, la chiave bianca. Lo prendeva in mano e se lo stringeva al petto; non sapeva perché ma ripeteva “Voglio venire da te. Sarò presto da te. Voglio venire da te. Sarò presto da te.”e mentre lo faceva teneva gli occhi chiusi.
Quando finalmente li riaprì si trovava tra la neve, non lontano da casa della zia, dove aveva visto Hillary per l’ultima volta.
Stava nevicando come il giorno della sua scomparsa. C’era tanta neve al suolo e altrettanto ne cadeva dal cielo.
Era in quel momento che cominciava a scendere la neve rossa: era fitta fitta, copiosa, quasi impediva che si vedesse nient’altro. Cadeva tutta ai suoi piedi.
Leyla la guardava impotente, senza sapere cosa fare o cosa stesse accadendo.
La neve rossa scendeva senza sosta, fino a quando formò l’immagine di una porta chiusa sul manto bianco che ricopriva il terreno.
La bimba bionda non seppe perché, ma le venne in mente subito il topolino di pezza. Si guardò le mani, ma il pupazzo di sua sorella non c’era più.

Era in quel momento che si svegliava sempre; ora lo ricordava bene. Era andata avanti a fare quel sogno per mesi, poi si era dissolto quand’era arrivata l’estate. Infine l’aveva completamente dimenticato.
Ma in quel momento la sua memoria si era risvegliata e rammentava ogni cosa, anche ciò che era successo quel giorno innevato, vicino a casa della zia: lei e Hillary si erano allontanate senza permesso, un po’ come doveva aver fatto Laurie in giorno di Natale. Entrambe avevano cinque anni. Si erano messe a correre, non sapevano nemmeno loro perché, ed erano felici di seguire il canto silenzioso della neve bianca.
La casa di zia Sarah ormai non era altro che un puntino marrone in fondo alla loro visuale, però erano tranquille, perché ricordavano la via del ritorno.
Hillary le aveva proposto di fare una gara: avrebbero corso e chi delle due fosse arrivata prima all’albero in fondo sarebbe stata la vincitrice; aveva vinto Hillary, perché Leyla era caduta sulla neve e quindi rimasta indietro.
Così Leyla aveva dovuto fare penitenza: sarebbe stato il suo turno della conta a nascondino. A Hillary toccava solo nascondersi.
Così aveva cominciato a contare. Fino a cinquanta, aveva insistito Hillary, altrimenti non avrebbe avuto tempo.
Si era appoggiata a un albero con il braccio destro e su di esso aveva nascosto gli occhi: lei era leale, e non sbirciava mai. Non accelerava nemmeno la conta per cercare di vincere.
Leyla preferiva perdere che giocare sporco.
Infine era arrivata a cinquanta; aveva cominciato a cercare sua sorella, ma non la trovava da nessuna parte. All’inizio l’aveva trovato divertente, ma poi aveva cominciato a spaventarsi, perché Hillary non uscì nemmeno quando lei si mise a piangere pregandola di farsi vedere.
Era stato quando la paura aveva preso totale possesso di lei che le era parso che il vento volesse sospingerla via di lì; così era scappata correndo a perdifiato.
Corse veloce fino a casa di zia Sarah, ad avvertire la mamma che non aveva idea di dove fosse finita Hillary. Da quel giorno non l’aveva mai più rivista.
Tra le lacrime lasciò cadere a terra la fotografia delle due bambine bionde e strinse a sé più forte il topolino di pezza. White key. La chiave bianca. La chiave di pezza.

Pensò che avrebbe dovuto chiamare Jamie.

FINE CAPITOLO SECONDO

*lady in blue*

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