world of darkness

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sabato 15 giugno 2013

L'equazione africana (Yasmina Khadra)

Originariamente postato sul vecchio blog il 13 marzo 2013

Ciao!!
Come va? Qui insomma, considerando che il lavoro è andato a farsi benedire, e i geni volevano pure prendermi in giro, ma meglio lasciar perdere, non vale la pena sprecare spazio per parlare di questo.
Avendo di nuovo un bel po’ di tempo, chissà che non mi decida finalmente a riprendere a scrivere seriamente, ma vedremo, perché per quella che sembra essere l’ispirazione al momento, inizio a nutrire i miei dubbi… speriamo in qualcosa di buono!!
Ma va beh, passiamo oltre; oggi sono passata per postare un nuovo commento a un libro, questo letto a novembre 2012, intorno al mio compleanno (di fatti me l’ero fatta regalare proprio per quell’occasione).
Anche in questo caso avevo preparato la recensione subito dopo la lettura e questo ha reso il lavoro decisamente più piacevole oltre che in possesso di un miglior risultato finale.
Spero risulti interessante. A me questo libro è piaciuto molto :)


L’EQUAZIONE AFRICANA

Di Yasmina Khadra


Yasmina Khadra non è altro che lo pseudonimo dello scrittore algerino francofono Mohammed Moulessehoul, che solo nel 2001, quando ha lasciato il suo paese, ha rivelato la sua vera identità.
Non ho letto altre opere dell’autore, ma dopo “l’equazione africana”, penso proprio che dovrei andare a cercare qualche altro titolo.
In libreria ho scelto questo testo perché avevo voglia, bisogno se si può dire, di leggere qualcosa sull’Africa. La copertina mi ha attirata come una calamita.
Il giorno prima di acquistare questo testo avevo visto un film, Amistad, che trattava del periodo della schiavitù dei neri, del quale molte scene mi avevano colpito, e una mi aveva invece urtato profondamente.
Detto questo, “l’equazione africana” non parla minimamente di schiavitù, né di razzismo, ma a me interessava l’Africa, e una volta letta la quarta di copertina, ho capito che era proprio il libro per me, almeno in quel dato momento.
Questo libro si svolge ai giorni nostri, ed è diviso in tre parti, suddivise poi a loro volta nei vari, singoli capitoli.
La prima parte è intitolata FRANCOFORTE.
Qui conosciamo il protagonista, Kurt Krausmann, un medico tedesco che narra in prima persona la vicenda; ci parla di come ha conosciuto la moglie Jessica, colei che l’ha fatto passare (per usare le parole stesse del romanzo) dalla mera esistenza alla vita, ma fin da subito scopriamo che c’è qualcosa che non va. Kurt Krausmann vede che sua moglie è assente, angosciata; è spaventato dal suo comportamento, ma non ha idea di che cosa possa turbarla tanto.
Ormai si parlano e si incontrano a stento, Jessica lo rifugge e pare che tra di loro esista ormai un muro insormontabile. Kurt pensa che sua moglie possa essere ossessionata dai rimorsi per un’eventuale relazione extraconiugale, ma sente che non è così, senza però riuscire a scoprirne di più. Fino a una sera, quando dopo essere tornato a casa e dopo essere rimasto ore davanti alla televisione senza veramente guardarla, trova il corpo senza vita di Jessica nella vasca da bagno. Scoprirà in seguito che la donna si è imbottita di sonniferi.
Ma Jessica non ha lasciato biglietti né spiegazioni e l’unica ad aprire gli occhi a Kurt e Klaudia, una collega della moglie, che gli racconta come questa si sia vista sfumare da sotto il naso un’importante promozione al lavoro per colpa di un uomo che giocava sleale.
Questo è un colpo per Kurt, che non si era accorto di niente. Per lui è come aver appreso della morte di Jessica una seconda volta. E in questo caso, quando sembra che Kurt non riesca più ad andare avanti, è il suo amico Hans Makkenroth, che conosce dal tempo del viaggio di nozze con Jessica, ad accorrere il suo aiuto: gli propone di andare con lui, viaggiando sulla sua barca a vela, verso le isole Comore, dove Hans ha intenzione di dare vita a una struttura ospedaliera.
Hans Makkenroth è un uomo facoltoso, un imprenditore, ma viaggia in continuazione per portare aiuti umanitari ai popoli bisognosi, questo soprattutto in seguito alla morte della moglie Paula.
La parte “Francoforte” si conclude con Kurt che dice all’amico di non poter proprio seguirlo.
Ma quella successiva, intitolata BLACKMOON, inizia con i due amici in viaggio sulla barca a vela di Hans. Il mare aperto sembra far molto bene a Kurt, sembra liberarlo un po’ dalle sue ossessioni e dal suo dolore. Non è dato sapere come abbia scelto di seguire l’amico, si sa soltanto che ormai è in viaggio e che si sta beando della vista del mare e della forza del vento, lasciando che questi leniscano le sue ferite.
Hans e Kurt però non raggiungeranno mai la loro destinazione: infatti vengono attaccati da pirati al largo della Somalia, poi presi in ostaggio. I malviventi getteranno invece in mare Tao, il cuoco filippino che lavorava per Hans, condannandolo a morte certa, dato che, come affermato dallo stesso Hans, l’uomo non sapeva nuotare.
I due uomini superstiti non sanno nemmeno dove si trovino, ma tra brutalità e violenza (Hans ha una brutta ferita da taglio alla schiena, entrambi sono stati malmenati), vengono condotti a terra e poi lasciati legati in una sorta di grotta buia e fetida, a far compagnia ai pipistrelli.
Qui, specialmente Kurt, dato che Hans non è molto presente per via della sua ferita che si sta infettando e gli ha dato la febbre, comincia a conoscere i suoi carcerieri: c’è Joma, un omone nero grande e grosso, violento e spietato, con le braccia e il petto ricoperti di amuleti, che Kurt classifica subito come un energumeno intollerabile; più volte sosterrà di odiarlo.
Moussa, il capo della banda, e lo strano ragazzo con seri disturbi che non vuole dire il proprio nome, sostenendo che come soprannome gli starebbe proprio bene Blackmoon.
E Blackmoon, per l’appunto, è un tipo strano: a volte si lancia in confidenza con Kurt, tanto da arrivare, più avanti, a raccontargli del motivo per cui sia tanto leale verso Joma (quest’ultimo lavorava come sarto nel suo villaggio, e Blackmoon era il suo tuttofare; da lui ha imparato molte cose, ha seguito le sue ideologie, e alla fine ha scelto di seguirlo anche in quel mondo), poi invece capita che impazzisca per una parola detta al momento sbagliato, e allora va su tutte le furie da un momento all’altro, lasciando sgomento il medico tedesco.
Dopo qualche giorno Kurt e Hans vengono trasferiti, tramite un tremendo viaggio in macchina che pare durare una vita nel bel mezzo del deserto dove tutto sembra uguale, fino a raggiungere una base della banda, comandata dal capitano Gerima, dove i due malcapitati vengono sbatacchiati in una piccola prigione andando a fare così la conoscenza di Bruno, un francese che però si sente molto più africano che europeo, per il fatto che abbia trascorso gran parte della sua vita proprio in quel continente, imparando a conoscere e ad amare la sua gente e la sua terra.
Interessante, durante il viaggio, il momento in cui avviene un grosso scontro da Kurt e Joma: ad un certo punto, al dottore pare di vedere un uomo ancora vivo che viene spolpato da degli avvoltoi, così prega il nero, posto alla guida, di fermarsi per soccorrerlo, ma Joma gli fa presente che non c’è nessuno: gli avvoltoi stanno banchettando con il cadavere di qualche animale.
Kurt però è convinto di ciò che ha detto, così ripete più e più volte al suo rapitore di fermarsi, fino a quando, esasperato, dà a tutti loro dei selvaggi senza cuore. Parolina che offende a morte Joma, che fermando l’auto obbliga il dottor Krausmann a scendere, spara in aria per far scappare i rapaci, e gli mostra che questi, in effetti, si stavano saziando di animale morto.
A questo punto gli ordina di inginocchiarsi e chiedere perdono per ciò che ha detto, altrimenti sarebbe pronto a spappolargli il cervello con la sua dolce arma da fuoco.
Kurt però non ha intenzione di piegarsi; un po’ è per l’odio che prova nei confronti di Joma, un po’ perché non sa quanto valga la pena continuare con quel viaggio, sta di fatto che non vuole obbedire all’ordine ricevuto, anche se lo stesso Hans gli grida di inginocchiarsi per salvare la vita.
Joma è sicuramente pronto a farlo fuori, ma interviene Blackmoon, che calciando da dietro le gambe di Kurt lo obbliga a cadere in ginocchio, soddisfacendo così il colosso, che sosterrà che in quel momento lui si trova in Africa, e deve capire che ciò comporta che siano loro, gli africani, a comandare, secondo la legge del più forte e non per una questione di superiorità razziale.
Riporto questo passaggio perché mi è piaciuto particolarmente, e credo sia anche importante per capire l’Africa presentata in questo romanzo.
Alla base, poi, Hans viene quasi subito separato dai compagni: Bruno spiegherà a Kurt che i loro rapitori (a proposito, Bruno è nelle loro mani già da qualche mese) fanno affari con gruppi malavitosi più importanti, che possano avere contatto diretto con le ambasciate delle loro vittime, alle quali verranno chiesti i riscatti. Così questa banda si sta operando per vendere Hans a uno di questi gruppi maggiori, motivo per il quale l’uomo viene subito tenuto da parte e anche trattato meglio, guarendo anche dall’infezione causata dalla ferita.
Infine Hans viene trasferito, non si sa dove, ma prima di essere portato via riesce a recapitare un messaggio all’amico, che gli perviene grazie alla collaborazione di Blackmoon, che si è scoperto chiamarsi Chaolo, nel quale l’uomo dice a Kurt di tenere duro.
Inizia così il periodo di prigionia di Kurt da solo con Bruno, ad ascoltare le sue “storie africane” e a cercare di seguire il consiglio datogli da Hans prima di partire.
Sono settimane quelle che seguono, in cui è difficile mantenere il controllo e i nervi saldi, persino per Bruno che si sente africano più che francese, che finisce con il perdere il controllo e insultare il capitano Gerima dandogli del trafficante farabutto, cosa che gli varrà una dose niente male di percosse, per le quali sarà obbligato a trascorrere due giorni in infermeria.
Anche Kurt è pesantemente sotto tensione: un giorno, quando una guardia entra nella cella sua e di Bruno, senza nemmeno pensarci approfitta della porta aperta per uscire e incamminarsi, nemmeno lui sa dove, fino a perdere i sensi per la stanchezza, arrivando quasi al punto di lasciarsi morire, per poi essere sbattuto di nuovo in cella insieme al suo nuovo amico francese-africano.
Ma poi arriva anche il turno di Joma: perché del trasferimento di Hans, partito inizialmente con il capo Moussa, poi raggiunto dal capitano Gerima, misteriosamente, non si sa nulla, come non si sa nulla dei due furbacchioni, che in molti, tra gli altri componenti della banda e anche lo stesso Bruno, iniziano ad intuire abbiano fregato allegramente il colosso.
Si comincia a parlare dunque di trasferirsi, ma Joma vuole dirigersi verso un altro accampamento, dove mi pare sia convinto di dover trovare i due capi, mentre tutti gli altri vogliono filarsela da un’altra parte più semplice da raggiungere, consapevoli ormai del fatto di essere stati abbindolati.
Joma sostiene che si farà come dice lui, ma le altre guardie, eccetto Blackmoon, se la filano nella notte verso la loro destinazione.
A questo punto, i due rapitori rimasti e i due ostaggi sono gli unici a dirigersi verso il luogo scelto da Joma.
Ma è a questo punto che le cose si ribaltano: Blackmoon comincia a non capire più il senso di trattenere i due ostaggi, sostiene che sia il caso di liberarli e, durante una sosta, arriva persino a sciogliere le corde da cui sono legati, scatenando ovviamente la reazione di Joma, che lo spinge a terra, senza accorgersi di averlo fatto cadere proprio sulla stessa sciabola di Blackmoon, che era stata lasciata a terra, la quale ferisce il ragazzo a morte.
E mentre Blackmoon muore, Bruno approfitta della disperazione di Joma per impossessarsi di un fucile, con il quale però, alla fine, non riesce a sparare, forse per lo shock o forse per paura.
Sta di fatta che Joma, abbandonata a terra la sua pistola, si avventa sul francese-africano a mani nude, deciso fino in fondo a strangolarlo per benino, quando Kurt, senza nemmeno essersene reso conto, ha raccolto la pistola del suo aguzzino e gli ha sparato alla gola.
Stupefatto quanto il suo assassino, prima di spirare, Joma dirà a Kurt di essere fiero di lui, perché si è comportato “da africano”.
Bruno e Kurt si affrettano quindi a salire sul fuoristrada sul quale stavano viaggiando in precedenza, liberandosi quindi dalla prigionia e cominciando la ricerca della civiltà nel deserto.
Qui apro una piccola parentesi: nonostante sia spietato, odi i bianchi a prescindere e sia troppo fissato con le sue idee da “libri”, mi è piaciuto molto il personaggio di Joma, l’ho trovato davvero molto ben caratterizzato.
Ha un che di “vero”, quasi di ipnotico. A volte il suo modo di parlare sembra un po’ “artificioso”, da libro stampato, ma poi si apprende che questo è dato dalla sua vasta cultura letteraria.
È un personaggio arrabbiato, furioso, non ha niente dell’eroe, ed è questo che sono incline ad apprezzare.
Mi è addirittura dispiaciuto “lasciarlo indietro”, in punto di morte, nel deserto, anche se in fondo non abbandonerà nemmeno il resto della storia.
Perché durante una sosta, frugando del bagagliaio del fuoristrada, Bruno e Kurt trovano, tra i viveri e gli armamentari, un libro di poesie, scritto e pubblicato dallo stesso Joma, il loro brutale rapitore, intitolato …. Black Moon.
Questa è uno dei componimenti che Bruno trova sfogliandolo e che legge ad alta voce, e che si riferisce alla sua Africa (lo riporto per intero perché, personalmente, mi è piaciuto molto):

Africa,
Immagine di morte,
Che sguazzi nelle acque torbide
Di mari senza orizzonti
Cosa ne hanno fatto della tua storia
I tuoi figli bastardi cotti al sole?
Sulle tue rive riarse
Marciscono le tue gesta
Come relitti
E nel tuo cielo senza dio
Le tue pie illusioni
Rincorrono la loro eco
Africa, Africa mia
Cosa ne è stato dei tuoi tam-tam
Nel silenzio delle fosse comuni?
Cosa ne è stato dei tuoi cantastorie
Nell’eresia della guerra?
Cosa ne è stato delle tue tribù
Nell’ipocrisia delle Nazioni?
Ho interrogato i tuoi fiumi
E i tuoi villaggi perduti
Ho cercato i tuoi trofei
Nella trance delle tue donne
Da nessuna parte ho ritrovato
Le tue antiche leggende.
I tuoi re son decaduti
Come i tuoi idoli di legno
Il tuo antico folklore
Non ha più voce
Le tue storie son cantate
Nell’elogio dei tiranni
Il tuo destino ti rinnega
Come una madre ripudiata
E nessuna delle mie preghiere
Si riconosce in te.
Africa, Africa mia
Mi hai messo la morte in una mano
E il torto nell’altra
E mi hai lasciato senza padroni
Senza santi, profeti e apostoli
Mi restan solo gli occhi
Per piangere l’affronto
Di tanta mostruosità
Ogni giorno che Dio fa levare.
Che cosa ne sarà di me
All’ombra dei tuoi corvi?
Cosa posso sperare
Io che non so più sognare
Se non di finire
Là dove tutto è iniziato
Tra una pietra tombale
E un giuramento tradito?

Bruno lo chiamerà un “delirio”, ma in fondo non penso che creda molto alle sue parole; proprio lui che conosce tanto bene l’Africa.
Tra gli “effetti personali” di Joma sono stati trovati anche la foto di un matrimonio (il suo) e articoli di giornale che riportano la notizia di un’esplosione nel suo villaggio, dove sua moglie avrebbe perso la vita.
Il viaggio di Bruno e Kurt riprende, ma il loro fuoristrada viene ben presto messo fuori uso: i due si ritrovano improvvisamente a scappare a tutta velocità mentre, non si sa chi, spara loro addosso, il pick-up sbatte violentemente contro qualcosa e dopo qualche chilometro è già inutilizzabile.
Continuare a piedi, nel deserto, senza sapere dove andare, non pare affatto una bella idea, ma i fuggiaschi non hanno molte alternative.
Passano vari giorni prima che riescano a incontrare altri esseri umani, eccezion fatta per un uomo, unico superstite del suo villaggio raso al suolo da soldati ribelli, che però non ha voluto rivolger loro la parola, rinchiudendosi solamente nel suo dolore.
I nuovi incontri di Kurt e Bruno, invece, sono le dottoresse Lotta Pedersen (scandinava) e Elena Juarez (spagnola), il dottor Orfane (africano), un paio di infermieri, i quali hanno al seguito una quarantina di rifugiati; sulle prime sono tutti un po‘ sul chi vive nei riguardi dei due nuovi arrivati, ma poi Bruno racconta loro l’avventura sua e di Kurt, e questi vengono ad apprendere che il gruppo appena incontrato, dopo varie peripezie, si sta dirigendo verso un campo della Croce Rossa che dovrebbe essere raggiungibile nell’arco di pochi giorni, sotto la guida di un uomo tra di loro che pare conoscere perfettamente la strada.
A questo punto Bruno e Kurt vi si accodano e insieme a questo gruppo di persone cominciano a dirigersi verso il campo della Croce Rossa.
Sono sfiniti; soprattutto Kurt, che è decisamente sballottato dalla sua “vacanza” africana, tanto che arriva a un’aspra discussione con Bruno proprio a proposito dell’Africa: il primo sostiene che sia una pena vedere quegli uomini stanchi che non vivono, ma si limitano a esistere, e pare per niente, perché non hanno un futuro, perché hanno vissuto violenze e soprusi, distruzione e disfacimento. Bruno invece è convinto che l’Africa sia diversa, che la sua gente viva eccome, più di chiunque altro, perché non si arrende mai alle avversità e lotta ogni giorno per quella stessa vita difficile, che però affronta con forza. Una discussione che accende una lecita domanda nel lettore: “chi ha ragione dei due?”, per quanto mi riguarda, non sono riuscita a rispondermi, anche se, vivendo all’occidentale, è più facile comprendere il pensiero di Kurt.
La terza parte del libro, intitolata RITORNI, si apre con l’arrivo del gruppo, stremato ed esausto, al campo della Croce Rossa, dove tutti vengono sistemati, rifocillati e, per chi è possibile, rimessi in sesto.
Il direttore del campo si opera subito per mettersi in contatto con le ambasciate dei rispettivi paesi di Kurt e di Bruno.
Kurt inizia ed essere attratto da Elena, ed infine si unisce a lei quando viene a sapere che ci sono buone probabilità che il suo amico Hans sia morto; cosa che però lui si rifiuta di credere, infatti non accetta di partire fino a quando non ne avrà la certezza.
Il primo ad andarsene è Bruno, che però ovviamente non fa ritorno in Francia, anche perché mancava dal suo paese natale da così tanto tempo, che nessuno aveva denunciato la sua scomparsa, resta dunque in Africa e va a raggiungere la sua compagna.
Più di una volta Bruno dirà a Kurt, come è stato detto una volta a lui, che chi vede l’Africa una sola volta, morirà guercio. E Kurt è convinto che quella sarà la sua sorte; è anche certo che non vedrà più Bruno, anche se lo ricorderà per sempre.
Nel frattempo il dottor Krausmann comincia a partecipare attivamente alla vita del campo della Croce Rossa, iniziando a occuparsi dei vari pazienti; questo fino a quando non arriva, fatidica e distruttiva, la conferma della morte di Hans. A quel punto sente, crede, di essere pronto a tornare a casa.
Kurt lascia l’Africa, dopo aver dovuto riconoscere il corpo di Hans in una fossa comune, con questi pensieri: gli uomini sono quanto di peggio e quanto di meglio la natura abbia creato. C’è chi muore per un ideale e chi per niente; chi muore per la propria generosità e chi per la propria ingratitudine; gli esseri umani si fanno fuori l’un l’altro per le stesse ragioni, ognuno sul proprio campo, e in questa ignobile messa in scena, l’ironia della sorte arriva fino a riunire nella stessa putrida fossa comune il giusto e il malvagio, il virtuoso e il perverso, la vittima e il carnefice, resi alla morte eterna come gemelli siamesi nel ventre della madre.
Ma a Francoforte le cose non vanno come Kurt aveva previsto: credeva di voler soltanto tornare a casa, tra la sua gente, nel suo elemento, in quel luogo al quale apparteneva, ma fin da subito si sente fuori posto, non riesce a riadattarsi. È pieno di ossessioni, di tormenti, di paure e disdegna l’aiuto che gli offre Klaudia, la collega di sua moglie Jessica.
Comincia ad andare da una parte all’altra del paese, a trovare vecchi amici di università, si reca persino all’ospizio dove si trova suo padre, del quale ha pessimi ricordi e che se n’era andato di casa quando lui era solo un ragazzino.
Ma nulla sembra dargli pace, niente pare calmarlo.
Fino a quando non si decide ad aprire una mail ricevuta da Elena, che in un primo momento aveva rifuggito, rendendosi conto di quel che desidera veramente: Kurt vuole tornare in Africa, oramai quello è l’unico luogo in cui potrebbe vivere, la sua casa, il suo elemento.
Non vuole morire guercio ed oramai ha capito quel continente, la sua gente e il modo in cui questa vive, e non si limita ed esistere, ed è di quel mondo che vuole far parte… insieme a Elena.
Riesce quindi a entrare a far parte della Croce Rossa.
Nell’ultima pagina, lasciamo il dottor Kurt Krausmann il volo per l’Africa, mentre nella sua mente sfilano dei versi di una poesia di Joma.

Bene, che dire? Ho adorato questo libro, che è scivolato via in cinque giorni. È reso particolare anche dal tipo di narrazione, al tempo presente per quasi tutto il testo (in questo senso è esclusa soltanto la prima parte, ovvero la più corta, “Francoforte”). Generalmente non è una cosa che incontra il mio gusto personale, ma in questo caso invece rende il libro davvero unico, lo dota di un incalzare particolare, che dà la netta sensazione che gli avvenimenti si stiano svolgendo proprio sotto il proprio naso.
Avevo bisogno di leggere dell’Africa, e questo suo ritratto fedele e duro, ma allo stesso tempo magico e incantatore, ha saziato la mia sete in proposito.
Questo libro è stato stampato dalla Marsilio Editore; la prima edizione italiana è del settembre 2012.

*lady in blue*

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