Ciao!!
Eccomi di nuovo, più cotta che mai ... Comincio a pensare di aver bisogno di una dormita di minimo 48 ore filate, sia mai che ricarichi le batterie. Peccato che la cosa sia di MOLTO difficile attuazione...
Oggi sono qui per postare il secondo capitolo di
Fear of the dark, per gli amici
Paura del buio.
Dunque, avevamo lasciato la poveraccia in questione, Rachel, decisa (anche se titubante e impaurita) a giocare la sua ultima carta per affrontare la situazione e la sua paura ... In questo capitolo andremo a conoscere di che cosa si tratta...
Buona lettura e alla prossima!! ^^ Sicuramente finirò di postare i restanti due capitoli di questa storia prima di passare ad altro ...
II
ZOE
Zoe Collins era una ragazza strana, ma ciò che colpiva
particolarmente Rachel era che si trattasse anche di un tipo piuttosto
solitario.
Non l’aveva mai vista con nessuno e, cosa incredibile ai
suoi occhi, non sembrava affatto soffrirne.
Di certo però non passava inosservata: era una dark, o
qualcosa di simile. Stava di fatto che si vestiva sempre di nero, aveva i
capelli dello stesso colore e anche sulle unghie portava sempre lo smalto
scuro. Rachel quasi si chiedeva se non le avesse così di natura, in fondo non
se ne sarebbe stupita più di tanto.
Però, a fare particolarmente scalpore, c’erano le sue
collane e i vari bracciali borchiati e con i teschi: doveva averne davvero una
bella collezione perché ne metteva di diversi ogni settimana.
E questo in barba alle regole scolastiche riguardo alla
divisa.
Sembrava che a Zoe non interessasse nulla di nulla, forse
che vivesse su un altro pianeta.
Aveva sedici anni, frequentava la quarta perché aveva
saltato l’anno di transizione non obbligatorio previsto dalla scuola irlandese.
Non che fosse da stupirsene: era difficile pensare che una come lei potesse
preoccuparsi troppo dello studio e del suo futuro professionale. Probabilmente
non ci pensava affatto.
Rachel ci aveva riflettuto per un po’, ma alla fine si era
convinta che non esistesse alternativa; comunque dovesse andare, doveva
tentarci.
Tanto, si diceva, peggio di così non sarebbe potuta andare
di certo.
E aveva scelto Zoe perché lei, con il buio, pareva andarci a
braccetto.
Era stato così che quel giorno (quello successivo all’incidente nello spogliatoio della palestra)
le si era avvicinata prima di entrare in classe.
L’aveva vista seduta sul muretto sormontato dalle inferriate
che costeggiavano la scuola. Ci si sarebbe aspettati di vederla fumare una
sigaretta, ma non era così.
Zoe guardava in alto con un sorrisetto strafottente e
beffardo disegnato in viso e sembrava non fare neanche caso alle occhiate di
chi le passava accanto.
Di certo non aveva notato Rachel che andava verso di lei;
Rachel non era mai notata da nessuno, salvo in quell’ultimo periodo, in cui ogni
opportunità per sfotterla era colta al volo.
E questo, per inciso, non valeva per Zoe.
La dark non aveva mai detto nemmeno una parola alla povera
sfortunata, di nessun genere.
Forse era anche per questo che Rachel aveva creduto di
potersi rivolgere a lei: era stata l’unica in tutto l’istituto a non prenderla
in giro e a non indicarla ridendo.
Forse non tanto per pietà, ma più probabilmente perché non
provava interesse per la cosa. Comunque fosse, a Rachel bastava così.
Aveva preso fiato profondamente prima di cominciare a
parlare; fu soltanto un peccato che avesse inalato tanta aria per niente,
perché alla fine fu Zoe a parlare per prima: <<Che c’è? Dimmi>> l’aveva anticipata prima ancora che l’altra potesse emettere suono.
Rachel ne rimase sbigottita, ma poi decise di darsi una
mossa e cominciare a esprimersi se voleva raggiungere qualche risultato; e se
non voleva che anche Zoe iniziasse a deriderla.
<<Ciao Zoe, sono Rachel Robbins, sono …>>
<<Sì, lo so chi sei, tranquilla>>.
Avanti di quel passo e Rachel non sarebbe riuscita a dire
nemmeno una sola frase per intero, bel modo per presentarsi e per chiedere
aiuto.
<<Già, ormai sono diventata famosa… purtroppo>>
ammise la poveretta con desolazione e rammarico. <<Ah, lascia che le oche
starnazzino e che i maiali grugniscano, tu non preoccuparti.>> fece una
breve pausa, durante la quale Rachel riuscì persino a sorridere; e a perdersi
nel verde profondo delle iridi della sua interlocutrice. Quanto le sarebbe piaciuto essere come lei. Per lo meno forte come lei.
Indifferente come lei. Diversa come lei.
E poi avrebbe tenuto a mente quella frase: come metafora era
proprio carina e poi, a quelle come Judith, l’immagine dell’oca starnazzante si
addiceva proprio alla perfezione.
<<Piuttosto: che ti serve?>> riprese la dark.
<<Ho bisogno del tuo aiuto>>
<<Questo l’avevo capito da sola, tesoro, non avresti
altri motivi per rivolgerti a me. La domanda è: per che cosa?>>.
Rachel restò momentaneamente allibita: era davvero così
prevedibile? Così scontata? O forse si trattava del fatto che mai nessuno si
avvicinava a Zoe Collins, per cui non c’era da meravigliarsi che quest’ultima
non si aspettasse attenzioni di altro genere?
<<Ho bisogno
che mi aiuti a superare la mia paura del buio>>.
Zoe la squadrò interessata e le sorrise comprensiva.
<<E come mai lo chiedi a me? Perché sono l’unica che
non te le ha cantate per quello che hai fatto?>>.
Quello che hai fatto. Senza
volere quelle parole le fecero male. Rachel avrebbe preferito che l’altra
avesse detto Ciò che è successo. In
quel modo sembrava quasi una colpa terribile.
<<Sì, anche>> rispose titubante, poi prese
fiato e seguitò più decisa, <<ma soprattutto perché tu sembri conoscere
il buio alla perfezione, forse puoi insegnarmi a non temerlo>>.
Zoe allora si alzò in piedi e, continuando a sorridere,
prese entrambe le mani di Rachel nelle sue.
<<L’uomo muore
di freddo, non di oscurità. Sai chi l’ha detto?>> fece sembrando a
un tratto una bambina felice. Rachel scosse la testa.
<<Miguel de Unamuno. Poeta e scrittore spagnolo. Non
so molto di lui, ma una volta ho letto questa frase e l’ho adorata>>.
La ragazzina si concesse di sorridere a sua volta a quella
più grande.
<<Allora mi puoi aiutare?>> le domandò quindi
impaziente. <<Perché no? Vieni a casa mia dopo la scuola?>>.
<<Vorrei. Ma dovrei prima chiederlo a mia
madre>> e in quel momento Rachel si sentì tanto imbarazzata da pentirsi
quasi di aver rivolto a Zoe la parola.
Con quella frase doveva proprio essere sembrata una
mocciosa.
Zoe infatti aveva sorriso tra sé e sé.
<<Niente panico, tesoro. Non c’è problema. Chiedilo a
mamma, e vieni da me domani, che ne dici?>>. Quella voleva essere una
presa in giro? Poteva anche darsi, ma quello non era il momento di pensarci.
Ormai contava soltanto uscire da quell’abisso.
<<Domani andrebbe bene>>, acconsentì sforzandosi
di non abbassare lo sguardo di fronte al suo.
<<Okay. Tanto a me non cambia niente, i giorni sono
tutti uguali>> e detto questo, Zoe se n’era andata senza nemmeno
salutarla.
Rachel l’aveva osservata mentre si allontanava. Un po’ era
spaventata da lei, ma era anche attratta da quell’aura misteriosa e tenebrosa
che le aleggiava tutto intorno.
Era incredibile ammetterlo, eppure le sarebbe piaciuto
diventare sua amica; ma amica per davvero, non per modo di dire.
Forse sarebbe potuta diventare come lei e sarebbe stato
fantastico.
Non sapeva però se Zoe l’avrebbe mai voluta realmente
accanto; probabilmente no, era inutile illudersi.
L’importante era che riuscisse a uscire da quella faccenda
finalmente più adulta, più sicura e che finalmente fosse in grado di lasciarsi
alle spalle certe paure puerili.
Non poteva più avere paura del buio a quattordici anni. No,
non esisteva.
Doveva andare oltre. E forse, con Zoe, ci sarebbe riuscita.
In Zoe il buio viveva placidamente e serenamente,
avvicinandosi a lei avrebbe imparato a conoscere anche lui. E chissà, forse
alla fine le sarebbe anche piaciuto.
**
Quella sera pioveva e il freddo di metà novembre non
scherzava affatto.
Rachel se ne stava sdraiata a pancia in giù sul letto, con i
gomiti appoggiati al materasso e il mento sui pugni chiusi, ascoltando il
rumore dell’acqua scrosciante.
E pensava a Zoe.
Era così affascinata dalla sua figura.
Non aveva fatto altro che rimuginare sul loro incontro di
quella mattina per tutto il giorno, tanto che le ore scolastiche erano state
meno pesanti del solito e non aveva fatto più di tanto caso allo scherno delle
compagne.
Aveva trascorso l’intera giornata in una sorta di limbo
sospeso nell’aria, all’interno di una spaesata beatitudine. Pensava che con Zoe
accanto sarebbe stato davvero tutto diverso.
Zoe era meravigliosa, era attratta dalle tenebre che c’erano
in lei, perché non sembrava fossero spaventose.
L’oscurità della ragazza dark aveva un che di invitante.
Sul suo comodino, come sempre, c’era la luce accesa di cui
non poteva fare a meno; la osservava sperando che presto avrebbe potuto
liberarsene.
Sperava davvero che grazie all’aiuto di Zoe sarebbe riuscita
a sconfiggere la sua paura infantile.
In fondo già ci credeva.
E poi non vedeva l’ora di andare a casa sua il pomeriggio
successivo, non stava più nella pelle.
A sua madre aveva detto che sarebbe rimasta a studiare nella
biblioteca della scuola, perché aveva necessità di consultare diversi testi che
non avrebbe potuto portare a casa tutti insieme.
Lei non aveva fatto una piega e le aveva dato il consenso.
Non sarebbe mai stato così semplice se Rachel avesse
sostenuto di doversi recare a casa di una tizia strana e dall’apparenza oscura
che per giunta non conosceva bene.
Era la prima volta che mentiva a sua madre, e anche quello
lo trovava piuttosto eccitante.
Fu mentre pensava a tutte queste cose che sentì bussare alla
sua finestra; si voltò di scatto verso il vetro trasalendo e con il cuore a
mille nel petto.
Da un lato si sentì morire di paura, ma dall’altro fu invasa
dalla gioia più spettacolare che avesse mai sperimentato: lì fuori c’era Zoe,
bagnata fradicia, che le sorrideva e la invitava ad andare ad aprire.
Rachel quasi scivolò per la foga utilizzata per scendere dal
letto. Si fiondò alla finestra e sollevò l’anta di chiusura. Zoe era
arrampicata su una scala.
<<Buonasera colombina. Disturbo?>> fece quella
puntando d’improvviso il viso a mezzo centimetro da quello di Rachel.
Colombina? E quel
nomignolo da dove veniva? C’era da ammettere che fosse senz’altro meglio di piscialletto. Quello era poco ma sicuro.
<<N-n-no. No, fi-figurati.>> balbettò la
poverina frastornata <<ma tu che ci fai qui? E… quella scala?>>.
Zoe sorrise. <<Eredità>> sostenne con un’espressione indecifrabile
disegnata in volto, tanto che l’altra non riuscì a capire se la sua risposta
volesse essere una strana battuta oppure una confusa verità.
Infine Rachel decise di soprassedere. <<Che cosa ci
fai qui, Zoe?>> domandò di nuovo a voce più bassa. <<Girovago. Mi
piace andare in giro sotto la pioggia.>> e lo disse continuando a
sorridere in quel suo modo peculiare e inafferrabile.
Rachel non fu in grado di rispondere; Zoe approfittò dello
stupore dell’altra e della sua mancata reazione per prenderle la mano e
cominciare a tirarla verso di sé.
Rachel si spaventò quando credé che le mancasse poco a
volare giù dalla finestra, ma subito si rese conto che non sarebbe avvenuto.
Zoe voleva soltanto che le fosse più vicina.
<<Dai>> riprese la dark in tono mellifluo
<<vieni con me, così potremmo conoscerci meglio prima di domani>>
la invitò; e quell’invito era irresistibile.
Ma sgattaiolare fuori di casa? Oh sì, senza dubbio era
un’idea niente male, eccitante di sicuro, ma avrebbe avuto il coraggio di
farlo? E se sua madre l’avesse scoperta?
<<E dai, colombina, non fare la bambina>> tornò
a scherzare l’altra, lasciando che il suono della sua risata si espandesse
insieme allo scroscio della pioggia. <<Mamma non se ne accorgerà, vedrai.
E poi, non vorrai mica lasciarmi qui a bagnarmi da sola?>> continuò.
Rachel a quel punto le sorrise e scosse la testa.
No, non aveva intenzione né di comportarsi da mocciosa né di
lasciare che fosse Zoe a prendersi tutta l’acqua. Aveva voglia di un po’ più di
emozione nella sua vita e anche di fare una bella follia.
E poi l’idea di lasciarsi infradiciare dalla pioggia insieme
a Zoe era come una massa pulsante nella sua testa: voleva farlo, doveva farlo.
In un certo senso sarebbe stata come lei.
<<Brava la mia colombina!>> si complimentò la
dark, che aveva i capelli sciolti ormai incollati al viso perché completamente
zuppi.
Poi le prese la mano e l’aiutò a scavalcare il davanzale.
Rachel ebbe un po’ di paura a mettere il piede sul primo
piolo della scala che incontrò fuori dalla finestra, ma fece appello a tutto il
suo coraggio per non darlo a vedere.
Stava iniziando a ottenere l’attenzione di Zoe Collins, la
ragazza più particolare e indipendente di tutta la scuola, non poteva
permettersi di perderla per via di una stupidaggine.
Presto furono entrambe in piedi nel cortile della casa di
Rachel. Quest’ultima vide che la luce in camera dei suoi genitori era già
spenta; e se i suoi stavano dormendo c’era la possibilità che non si
accorgessero della sua scappata. Lei se lo augurava, ma da un lato le piaceva
avvertire il dubbio che così potesse non essere.
Quel pizzico di timore che avvertiva in petto stava
tramutandosi in uno stimolo a continuare.
Infine Rachel smise di pensarci e abbassò lo sguardo su Zoe.
Stava cominciando a bagnarsi proprio come lei. Entrambe gocciolavano dai
capelli. E poi faceva freddo: Rachel non indossava altro che una tuta. Non che
Zoe fosse più coperta: aveva addosso i suoi soliti abiti neri comprensivi di
pantaloni, maglietta e felpa con il cappuccio. Al collo aveva una kefiah. Forse
però non si sarebbe bagnata i piedi visto che portava gli scarponi. Rachel, al
contrario, portava solo le calze (non aveva nemmeno pensato a infilarsi un paio
di scarpe, tanto era stato lo sconcerto e l’eccitazione per quella visita
improvvisa), ma in fondo non le importava più di tanto: di certo non sarebbe
rimasta fuori tutta la notte; una volta rincasata avrebbe pensato a riscaldarsi
i ghiaccioli.
In quel momento Zoe le sorrise, la prese per mano e la condusse
con sé mentre cominciava a correre; scavalcarono lo steccato della casa di
Rachel e furono subito in strada.
Rachel si voltò solo una volta verso la villetta a osservare
la scala ancora appoggiata al suo davanzale dal quale proveniva l’unica luce
accesa dalla casa.
Non vedeva l’ora di poter spegnere quella lampada una volta
per tutte. E ormai confidava di essere sulla buona strada.
Zoe la portò con sé in spiaggia. Lì si sdraiarono sulla
sabbia fredda e bagnata lasciandosi investire dalla pioggia che cadeva.
Tremavano entrambe, era chiaro che quell’idea poco giovava alla salute, ma
Rachel non vi avrebbe rinunciato per nulla al mondo.
Quella era la serata più magica della sua vita (non che
avesse un gran termine di paragone. Fino ad allora, la migliore serata della
sua vita era stata quella della recita scolastica delle elementari dove aveva
interpretato la protagonista e non aveva dimenticato neanche una battuta).
E poi Zoe continuava
a stringerle la mano. Rachel era arrivata a pensare che forse quella
ragazza soffrisse per la solitudine anche se non lo dava a vedere. Forse aveva
sempre avuto bisogno che qualcuno le si avvicinasse e parlasse con lei.
La ragazza si sentì un po’ in colpa quando l’idea le balenò
in mente: pensò che lei si era rivolta a Zoe solo per ricevere il suo aiuto,
era stata un’egoista. Solo in quel momento si rendeva conto di quanto quella
ragazza fosse speciale, di quanto desiderasse la sua compagnia e la sua
amicizia anche a prescindere da quel che avrebbe fatto per lei.
Zoe era come una rosa nera che aspetti con trepidazione di
essere colta.
E Rachel non aveva paura delle sue spine.
L’acqua che scrosciava loro addosso le parve benedetta,
sembrava stesse lavando via tutto il marcio e l’odioso dolore di quegli ultimi
giorni. E anche l’insensatezza della sua vita scolorita, come lo era stata fino
ad allora.
Rachel sentiva che con Zoe sarebbe stata tutta un’altra
cosa, era certa che non sarebbe mai più stata così sola. Se era davvero una colombina, in Zoe aveva trovato
finalmente il suo nido.
Poi fu all’improvviso che questa iniziò a parlare,
confondendo le sue parole tra le imperterrite e sussurranti gocce di pioggia.
<<Non hai paura del buio che c’è qui, Rachel?>>
le domandò sottovoce. Sentì che Zoe le stringeva la mano più forte.
<<No>> fece a bassa voce <<il buio naturale è diverso,
anche perché si vedono comunque le luci della città. Non è la stessa cosa di
una stanza>> delucidò, rendendosi conto di quanto potesse apparire
stupida la sua spiegazione.
<<Sai, io qui ci vengo sempre quando piove, mi
piace>> riprese la dark <<lo faccio da quando papà è morto, sei
anni fa>>.
Rachel avvertì un tuffo al cuore. <<Tuo padre è
morto?>> domandò costernata. <<Purtroppo>> rispose l’altra
in un sospiro. <<Ma c’è mia madre, ce la caviamo>> aggiunse.
Questa volta fu Rachel a stringerle più forte la mano. Prese
fiato per parlare, ma Zoe la anticipò subito. <<No, no. Ti prego, non
dire che ti dispiace. Non mi serve>> fece lapidaria.
Rachel richiuse la bocca e tacque. Non aveva intenzione di
perdere l’approvazione della sua nuova e
improvvisata forse- quasi- amica. <<Preferisco
il silenzio per certe cose. Dice di più>> le spiegò convinta e Rachel si
disse che aveva ragione. Così scelse il silenzio a propria volta.
<<Sei una tipa niente male, Rach. Non pensavo che
l’avrei mai detto a qualcuno, ma stare qui con te è meglio che starci da
sola>> esclamò d’improvviso e Rachel non seppe dirsi se la voce le aveva
tremato più per il freddo o per il tentativo di trattenere le lacrime.
Fu solo certa, da quel momento, di amare Zoe più di quanto
avesse mai amato fino ad allora.
E questo anche se non la conosceva veramente.
Sentiva che quella ragazza strana e sempre volutamente
isolata le stava aprendo il suo cuore e tanto le bastava. Voleva ancora il suo
aiuto, ma desiderava anche starle vicina. Probabilmente si sarebbero sostenute
a vicenda ed è questo che fanno le amiche.
Forse si erano trovate. Una rosa nera che ospitava al suo
fianco un fiore piccolo e insignificante, forse una semplice margheritina come
ce n’erano a milioni, alla quale probabilmente mancava anche qualche petalo, ma
che avrebbe condiviso per sempre con lei il loro campo solitario.
Grazie a Zoe avrebbe superato la sua paura del buio. La
dark, grazie a lei, forse, avrebbe smesso di essere sola.
Quando infine la riportò a casa, sotto la sua finestra, Zoe
l’abbracciò, poi se ne andò sorridendo e salutandola solo con un sussurrato:
<<A domani>>. Rachel la osservò andarsene sotto la pioggia con la
sua scala mentre stava affacciata al davanzale, ancora bagnata e tremante.
Guardando l’orologio vide che erano già quasi le due del
mattino quando rientrò.
Sorrise a quel pensiero; aveva mentito a sua madre riguardo
al giorno seguente, era scappata di casa di notte per andare a prendersi la
pioggia sulla spiaggia e tutto questo soltanto per Zoe.
Forse quelle che aveva fatto erano cose sbagliate, ma le
andava bene così. Perché forse non le erano davvero, andavano solo contro le
regole e questo non rende qualcosa errato per forza.
Quando vide che Zoe era ormai sparita nella notte, si tolse
di dosso gli abiti bagnati (e ai quali si era attaccata la sabbia) e si asciugò
in fretta, poi indossò un pigiama pesante e delle calze spesse di spugna per
scaldarsi i piedi congelati.
Nascose i vestiti fradici nell’armadio; ci avrebbe pensato
il giorno dopo.
I capelli se li strofinò rapidamente con un asciugamano fino
a che non smisero di gocciolare, poi si infilò sotto le coperte.
Si addormentò con il sorriso sulle labbra, anche se la
lampada sul suo comodino era sempre accesa.
Sognò di Zoe Collins.
La sua nuova amica.
***
*lady in blue*