world of darkness

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domenica 30 novembre 2014

NOVEMBER OF BONES 3: Scheletro (Cap.3)




III



 INCONTRO CON L'OCCULTO



Ovviamente, Gloria non le fece alcunché. Si limitò ad aiutarla a svestirsi, le prestò degli indumenti caldi e puliti, le mise addosso una coperta, le diede del paracetamolo e le preparò una camomilla. Infine la fece stendere sul proprio letto e lasciò che si addormentasse.

Come sempre, Helen sognò nuovamente lo scheletro.

Passò tre giorni con la febbre, al termine dei quali ringraziò la sua compagna di stanza e si scusò con lei per il comportamento assurdo che aveva adottato quella prima sera. Le disse che aveva ricevuto una brutta notizia a proposito della famiglia, che per questo motivo era sconvolta ed era rimasta tutto il giorno sotto la pioggia, prendendosi l'influenza. Gloria sembrò capire e non le pose troppe domande. Le chiese soltanto se la questione in famiglia si fosse risolta o se fosse tanto grave. Helen aveva risposto che andava meglio, anche se al primo momento aveva temuto fosse qualcosa di peggio. Gloria si rassicurò alle sue parole. Helen era certa di averle dato un bello spavento con la sua scenetta da pazza, ma ora aveva soltanto fretta di togliersi di torno la sua apprensione. Doveva cavarsela da sola in quella situazione, e nessuno doveva essere coinvolto.

Solo dopo quei tre giorni aveva visto la risposta di Sarah al suo messaggio. Va bene. Le diceva concisa. Forse c'era rimasta male, anzi, sicuramente. E aveva tutte le sue buone ragioni perché così fosse, ma Helen aveva altre priorità al momento.

Si era resa conto di quanto fosse stata stupida e impulsiva nel credere che chiunque potesse star tramando per farle del male; in quel modo avrebbe soltanto finito per procurarsene da sola. E poi non era un pensiero plausibile.

Non che lo fosse quello che le era saltato in mente a seguito del suo primo risveglio senza febbre. Lo scheletro le si presentava ogni notte, senza tregua, e se l'interpretazione dei sogni non l'aveva aiutata, e lo stesso era valso per tutte le altre ricerche, forse doveva affidarsi a qualcuno.

Qualcuno esperto a proposito dell'occulto.

Helen aveva sempre riso di certe cose, trovandole patetiche oltre che assurde e comiche, ma aveva deciso di tentare il tutto per tutto per scoprire che cosa l'affliggesse nel profondo.

Non poteva credere di avere davvero la morte alle calcagna, sarebbe stata una soluzione troppo semplice. E inaccettabile.

Helen voleva continuare a vivere, e anche liberarsi della sua ossessione. Voleva tornare a essere la persona audace e forte di sempre.

Aveva trovato quel contatto su internet. Sogni ricorrenti? Ossessioni? Paura di perdere il controllo? E' arrivato il momento di incontrare Madame Luna Calante. Tutto troverà senso tra i misteri dell'occulto. Helen non aveva potuto crederci quando si era vista prendere un blocco di carta e segnarvi sopra numero di telefono e indirizzo. Sulla sua scrivania, c'era anche il foglio compromesso dalla pioggia sul quale aveva tracciato una riproduzione dello scheletro. Gloria l'aveva riposto nella sua stanza dopo averla messa a letto, tre giorni prima e, a giudicare da com'era piegato, non l'aveva aperto. Helen l'aveva fatto in quel momento: la carta si era bucata in più punti per via del bagnato e un angolo era andato perduto, ma per il resto il foglio era integro. Soprattutto, lo era il disegno. Lo scheletro era ancora perfetto, i tratti della grafite erano rimasti come appena fatti. Helen si era domandata se non potesse trattarsi di un segno.

Subito il giorno seguente aveva telefonato al numero di Madame Luna Calante e aveva preso un appuntamento con lei per la settimana successiva. La voce che le aveva risposto al telefono era calma e pacata, vellutata e soave, eppure le aveva dato i brividi. Quando quell'incubo fosse finito, probabilmente ci avrebbe riso su, come era solita fare normalmente.

Per tutta la settimana, lo scheletro aveva continuato a infestare le sue notti. Di giorno, invece, non faceva altro che pensare al suo prossimo incontro con la chiromante. Immaginava una figura vestita di nero, oppure di rosso, dalle lunghe unghie smaltate (anch'esse degli stessi colori del probabile abito) e dagli occhi penetranti. Si domandava che cosa avrebbe provato in sua presenza, se finalmente qualcosa sarebbe venuto alla luce. Nel contempo, però, si malediceva anche, perché non poteva credere di essere giunta a prendere in considerazione il sovrannaturale; lei che non ci aveva mai creduto. Eppure, la vita può riservare infinite sorprese, a seconda dei casi.

Si ripromise di non giudicare più nessuno a prescindere dalle sue idee formulate a mente fredda, perché quando si è sotto pressione, tutto assume diverse forme. E uno scheletro che tornava tutte le notti, non era una forma rassicurante.

Comunque fosse, durante quell'ultima settimana, si era sforzata di riprendere a frequentare le lezioni. Non che vi prestasse troppa attenzione; generalmente fingeva di prendere appunti e di seguire la spiegazione, ma almeno la sua presenza non avrebbe fatto sorgere strani sospetti tra i compagni di corso o i professori. Quando fosse arrivato il momento di sostenere un esame, ci avrebbe pensato.

In quei giorni aveva ricevuto un paio di telefonate da parte di sua madre, preoccupata ma rassegnata per il fatto di non sentirla mai. Helen si era sforzata di rassicurarla perché non le desse noia. Non voleva assolutamente che sua madre si accorgesse che c'era qualcosa che non andava, altrimenti sarebbe stata finita. Le aveva promesso che appena avesse potuto sarebbe tornata a casa. Al contrario non aveva più avuto notizie di Sarah e, per questo, era stata segretamente grata a sua sorella. Quando fosse stato tutto passato sarebbe tornata da lei; ma quello non era il momento.

Infine, il giorno prestabilito per l'incontro con la cartomante giunse. Helen si armò di coraggio e di fede e raggiunse il suo covo; o il suo ufficio, come lo chiamava Madame Luna Calante, dandosi così un'aria più professionale. Helen dovette attraversare buona parte della città per raggiungerlo; sui mezzi pubblici era arrivata a provare un tale stato d'angoscia che non riusciva assolutamente a restare ferma e seduta. Aveva addirittura notato qualcuno che la guardava basito, mentre lei continuava a sospirare e a spostare il peso nervosamente da una gamba all'altra, passandosi anche continuamente una mano tra i capelli. A tratti si mordeva anche le unghie e le pellicine.

Doveva ammettere con se stessa di aver definitivamente dato l'addio al suo autocontrollo, e la sensazione non era piacevole. Si diceva soltanto che voleva che quell'incubo finisse, comunque dovesse andare. Era stufa di provare quell'ansia.

Infine, nonostante il viaggio fino a destinazione le fosse sembrato infinito, raggiunse l'ufficio di Madame Luna Calante.

Aveva immaginato un luogo dall'aspetto molto più esoterico e sinistro, e invece si stupì dell'aria quasi naturale che si respirava in quella stanza. Il luogo si trovava al secondo piano di un palazzo vecchio, ma non fatiscente, e la sala d'attesa poteva addirittura dirsi accogliente. Le luci soffuse erano rilassanti, l'odore d'incenso piacevole e non soffocante. Non erano presenti strani simboli dal dubbio significato, ma soltanto delle poltrone in simil velluto viola e un basso tavolino con degli opuscoli sul tema dell'occulto sparsi su di esso. Le pesanti tende rosse erano chiuse, ma questo non era un particolare che infastidisse Helen. Anche perché, al contrario, la luce del sole avrebbe compromesso l'atmosfera creata da quella artificiale, flebile e avvolgente.

Per ingannare il tempo, Helen sollevò dalla superficie del tavolo uno degli opuscoli. Il suo titolo era Il potere segreto della mente. Una frase del genere non solo un tempo non l'avrebbe mai impressionata, ma l'avrebbe anche spinta ad accartocciare l'opuscolo e a lanciarselo alle spalle. Invece quella volta lesse tutto dall'inizio alla fine, e con molto interesse. Fu proprio quando raggiunse l'ultima frase che, come se fosse stata spinta da un tempismo che andasse oltre la semplice casualità, Madame Luna Calante la chiamò. Helen cacciò nella borsa l'opuscolo e si alzò in piedi.

Madame Luna Calante aprì la porta del suo studio e la invitò a entrare. L'odore d'incenso di fece più intenso quando Helen oltrepassò la porta. Eppure se ne sentiva avvolta.

Su invito della chiromante, Helen si sedette al tavolo rotondo coperto da una lunga tovaglia verde, che recava su di sé tre candele accese e un mazzo di carte per i tarocchi voltate al contrario. Sul retro delle carte era raffigurato un rovo che formava dei circoli intorno a un sole e a una luna.

Helen si impose di ritrovare la compostezza (e con essa la dignità) e restò immobile a osservare Madame Luna Calante mentre questa prendeva posto di fronte a lei, sedendosi con grazia. Al contrario di ciò che aveva pensato, la chiromante non era vestita né di nero né di rosso, ma di azzurro, e le sue unghie erano candide. I capelli erano di un biondo leggermente più scuro di quello di Helen. Gli occhi scuri erano sicuramente penetranti, ma non suggestivi. 

La chiromante sorrise a Helen come per incoraggiarla. Helen si sentiva fuori posto in quel luogo che non aveva mai fatto per lei, ma si disse che, una volta per tutte, doveva trovare un senso a quel che stava succedendo per non uscire pazza.

Con un sospiro, rispose al sorriso di Madame Luna Calante.

<<Eccoci, cara>> cominciò questa dando riprova della sua voce soave e carezzevole <<parlami del problema che ti affligge, vedrai che insieme troveremo un significato e niente sarà più così buio>> proseguì sporgendosi sul tavolo e prendendo tra le sue una delle mani che Helen aveva appoggiato al bordo del tavolo. Così Helen si fece forza, e le raccontò del suo sogno che ricorreva da due mesi. Era la prima volta che ne parlava con qualcuno ad alta voce e, se da un lato l'affare la faceva sentire a disagio, dall'altro le diede un certo senso di serenità, perché era come liberarsi poco a poco di un enorme peso.

La chiromante ascoltò attentamente senza scomporsi, e ogni tanto annuiva. Si espresse soltanto quando Helen terminò il suo racconto: <<Non preoccuparti, cara>> le disse in tono amichevole <<la situazione è difficile e misteriosa, ma noi saremo in grado di districarla e farvi sopra luce. Ora consultiamo le carte>> e, mentre lo affermava, prese in mano i tarocchi e iniziò a mischiarli tra di loro.

Helen si domandò per quale motivo Madame Luna Calante parlasse sempre al plurale, quasi lavorasse con qualcun altro, oppure come se anche lei fosse implicata nelle arti occulte tanto da dover avere la sua parte nella scoperta dell'arcano.

Helen voleva soltanto che le fosse detto da dove venisse quello scheletro e che cosa volesse, non diventare un'esperta di stregoneria o di qualunque altra cosa fosse.

Convincendosi a non pensarci osservò Madame Luna Calante estrarre la prima carta dal mazzo.

Il Carro. Lesse Helen. E la scritta era rivolta verso di lei, questo significava che la carta era al rovescio. Non conosceva granché di tarocchi, per l'appunto aveva sempre trovato stupide e patetiche certe cose, ma per sentito dire sapeva che alcune carte, se pescate al contrario, potevano assumere significati negativi. Helen osservò la cartomante con sguardo interrogativo. Il volto di quest'ultima non tradiva la minima emozione.

<<Che significa?>> domandò la ragazza tentando di apparire tranquilla. A dire la verità, però, non lo era affatto.

<<Il Carro rovesciato non deve preoccuparti, cara>> iniziò serena Madame Luna Calante <<il suo significato è negativo, ma non c'è motivo di temere>>. Helen la guardò senza capire. Da un lato provò l'impulso di andarsene e lasciare a metà quella seduta, che tanto le era estranea, ma non riusciva per niente ad alzarsi dalla sedia, né a staccare gli occhi dalla carta raffigurante il Carro.

<<Questa carta mostra semplicemente la difficoltà di superare una situazione complessa, unita alla perdita del controllo>> spiegò la chiromante <<il tuo sogno ricorrente ti ha fatto perdere i tuoi punti fermi, ti ha messo in difficoltà, portandoti in un modo troppo oscuro per te>> continuò. Helen annuì, sicura di aver compreso dove volesse arrivare.

<<Ma il Carro ci sta anche dicendo che questa situazione va affrontata, anche se non sarà facile>> e, detto questo, la donna in abito azzurro estrasse un'altra carta dal mazzo.

Ancora una volta questa era rovesciata, infatti Helen ne lesse il nome sul fondo che le si mostrava proprio sotto il naso. Rappresentava un vecchio che reggeva con una mano una lanterna e con l'altra un lungo bastone. Si chiamava L'Eremita.

<<Anche questa è negativa?>> chiese Helen, che cominciava a divenire insofferente e apprensiva. Le sembrava che quella seduta si stesse svolgendo troppo lentamente e, soprattutto, che non avrebbe portato a niente.

<<Può darsi, cara>>.

Quel cara stava cominciando a darle sui nervi.

<<Questa carta è una chiara continuazione di quella che ci si è mostrata in precedenza. Il loro significato è ancora vago, ma tutto indica che dovrai affrontare delle prove, e che non sarà facile trovare una soluzione, potrebbe volerci del tempo, e tu dovrai avere pazienza e perseveranza>> ancora una volta, il tono di Madame Luna Calante era molto pacato e leggero, quasi apatico.

Helen stava cominciando a perdere la pazienza, ma sopportò. Uscirono altre tre carte dopo il Carro e l'Eremita, il cui significato le era sempre oscuro, ma tentò di star dietro alle spiegazioni dell'esperta. Si trattò di quella del Matto, che si mostrò per il verso giusto, e che, stando all'interpretazione di Madame Luna Calante, stava a significare che avrebbe dovuto affrontare gli avvenimenti per quello che erano, con più leggerezza e serenità. La carta indicava chiaramente che tutto si sarebbe potuto risolvere, stava soltanto a Helen scegliere la via giusta per far fronte alle difficoltà.

Seguì L'appeso, che indicava il prossimo arrivo di avvenimenti importanti, e poi la Luna. Anche questa carta fu estratta dal verso giusto, ma pareva che, in questo caso, la sua positività subisse dei danni anziché esserne esente. La Luna diritta indicava una realtà falsa, sotto la quale scavare per raggiungere la verità, che avrebbe potuto non essere rosea, e crearle delle difficoltà. Inoltre, la Luna indicava palesemente anche l'illusione e la notte, luoghi onirici e irreali dove probabilmente questa verità risiedeva.

La chiromante disse a Helen che si accingeva quindi a estrasse l'ultima carta dal mazzo. Helen non si sorprese, ma sobbalzò comunque, quando le fu mostrata la carta della Morte. Non tanto per quella parola, che però lesse sottosopra (indice che la carta era uscita dritta), ma per la figura. Gli scheletri avevano iniziato a starle veramente odiosi, e non ne sopportava più la visione. Le sembrava che la perseguitassero.

<<La carta della Morte?>> domandò fingendosi sorpresa. <<Significa mutamento. Qualcosa di nuovo sta sorgendo all'orizzonte, cara. E dovrai impegnarti per analizzarlo e affrontarlo>> fu la vaga risposta di Madame Luna Calante.

A Helen la cosa proprio non andava giù. No, non funzionava.

<<Non mi sembra che le carte siano molto precise, io vorrei capire l'origine del mio sogno ricorrente, non perdermi in un mucchio di frasi assurde sui cambiamenti e sui carri capovolti. Insomma, sto cercando di venirne a capo, non di finire più confusa di prima>> esclamò con stizza, e quasi si alzò in piedi.

Madame Luna Calante le intimò tranquillamente di tornare a sedersi, di rilassarsi, promettendole che le avrebbe spiegato ogni cosa. Helen fece un profondo respiro e si impose si riprendere il controllo. Solo per cinque minuti, se non fosse saltato fuori nulla di utile se ne sarebbe andata e, perché no, avrebbe potuto fare un po' di casino nello studio della chiromante per lasciare un segno del suo infuriato passaggio.

<<Quindi?>> sbottò impaziente. <<Le carte sono misteriose, è vero, ma analizzandole la situazione si fa molto più cristallina, cara>>.

Chiunque, da quel momento in avanti, l'avesse chiamata cara sarebbe certamente incorso nella sua ira.

Helen sollevò le sopracciglia come a voler incitare la chiromante a proseguire.

<<Dovrai lottare. C'è qualcosa che ti insegue. Non per farti del male, ma per rivelarti un segreto, o per mostrarti una via che, da sola, non riesci a prendere in considerazione>> Helen si rilassò a quelle parole, e cominciò anche a ritrovare l'interesse per la questione. <<È  il potere della tua mente che agisce e, si sa, la mente è molto più forte quando dormiamo>> proseguì Madame Luna Calante. Helen ricordò l'opuscolo che aveva infilato nella borsa, intitolato appunto Il potere segreto della mente.

<<E dove posso incontrare questo qualcosa che mi insegue? Come faccio a trovarlo?>>

<<Si nasconde nella notte. Devi andargli incontro da sveglia, e sarà lui a guidarti. Segui gli indizi del tuo sogno e lo troverai. Purtroppo non vedo altro>>.

Helen immagazzinò quelle parole.

Cinque minuti dopo stava già lasciando lo studio di Madame Luna Calante, lanciando un'ultima occhiata alla carta della Morte ancora posata sul tavolo. Lo scheletro del suo sogno, lo scheletro che, forse, la cercava per rivelarle qualcosa.

Aveva già preso la sua decisione quando salutò la chiromante, e non si pentiva di avervi fatto visita.

**
*lady in blue*

giovedì 20 novembre 2014

NOVEMBER OF BONES 2: Scheletro (Cap.2)

Questa volta ho deciso di "passare" a proposito dell'introduzione, anche perché non si può ancora rivelare niente a proposito di questo racconto.
Proseguiamo con calma ...


SCHELETRO

 

II




 OSSESSIONE



Helen ne era certa, fare lo stesso sogno ricorrente per due mesi interi, tutte le sante notti, non era indice di qualcosa di buono. Non andava bene per niente. Per quanto al risveglio smettesse di avere paura, quell'apparizione onirica doveva avere un significato, e doveva trattarsi di qualcosa di importante.

Non credeva a niente di sovrannaturale, quelle erano solo idiozie; non pensava certo che la morte le fosse alle calcagna, ma forse quello scheletro stava tentando di dirle qualcosa. Qualcosa su di lei, poco ma sicuro.

Aveva iniziato spulciando sul web le interpretazioni dei sogni. Benissimo, si era detta leggendo certe frasi fantasiose, non si sentiva smarrita, angosciata, né aveva bisogno di meditare.

Meditare era uno di quei termini che, nel suo vocabolario personale, restavano più che altro a prendere polvere. Solitamente Helen preferiva agire, per questo intendeva specializzarsi in medicina d'emergenza.

Non poteva dire di aver concluso alcun ciclo di vita, di aver esaurito un sentimento (piuttosto tendeva a non lasciarsi mai coinvolgere da essi), niente diminuzione di energia psichica o fisica, ancor meno avrebbe potuto ammettere come motivazione il crollo delle proprie speranze e ambizioni. Le ambizioni seguitavano a crescere in lei, e con molta forza. Non era una sprovveduta e non aveva intenzione di lasciarsi abbattere dalle difficoltà. Non l'aveva mai fatto.

Se poi si arrivava a parlare di inconsce paure di malattie o di morte, proprio si era fuori strada. D'accordo che studiava malattie dalla mattina alla sera, ma l'ipocondria non rientrava proprio nei suoi piani.

Era anche vero, però, che utilizzare la parola studiare, in quel periodo, forse non era appropriato. Fino a due mesi prima (ebbene sì, si era dedicata allo studio anche durante le vacanze estive) era sempre sui libri, spinta dalla necessità di soddisfare le proprie ambizioni, ora invece le cose erano cambiate.

Aveva sempre la testa altrove, e non si concentrava più così tanto sull'università come prima. Aveva anche saltato diverse lezioni, cosa che non era mai avvenuta prima. E che non era affatto edificante all'inizio del nuovo anno accademico.

Aveva anche iniziato a distaccarsi dagli amici. Dalla famiglia l'aveva fatto da un po', dato che non aveva mai sopportato di vivere con i propri genitori. Si era fatta forza fino a quando anche Sarah era rimasta a casa, ma dopo il suo trasferimento a New York avvenuto due anni prima, non aveva più retto. Preferiva il dormitorio dell'università, sebbene non la entusiasmasse l'idea di una compagna di stanza. Ma era sempre meglio delle continue lagne e inutili preoccupazioni di sua madre della serie a che ora torni?

A Helen piaceva la libertà, anche perché non aveva bisogno della balia ventiquattro ore su ventiquattro. Lei era responsabile, e sapeva badare a se stessa.

Solitamente si sforzava di chiamare mammina e papino giusto una volta ogni settimana; da quando era iniziata la sua ossessione per lo scheletro del sogno, invece, era sempre stata la madre a mettersi in contatto con lei. Forse però non avevano notato troppo la differenza: Helen era distaccata con i genitori, ma in fondo lo era sempre stata.

Non valeva lo stesso per Sarah, ma in quel momento non le importava più di tanto. Quando avesse risolto quella faccenda avrebbe senz'altro avuto tempo per la sorella maggiore, che era tornata in città verso metà settembre. Era quasi novembre, eppure non l'aveva ancora incontrata. Si erano sentite qualche volta, ma Helen era stata rapida a concludere ogni telefonata. Persino a quel suo messaggio le aveva risposto con la prima frase che le era venuta in mente; a dire il vero non ricordava nemmeno di che cosa sua sorella stesse parlando, ma in quel frangente non se l'era nemmeno domandato. Anche se, dal tono che si captava dalla parole scritte da Sarah, doveva trattarsi di qualcosa di molto importante per lei. Qualcosa di cui Helen avrebbe dovuto essere al corrente, qualcosa di cui Sarah le aveva certamente parlato, ma lei era così presa dalla sua ossessione che l'aveva dimenticato. E non era da lei dimenticarsi di Sarah. Le voleva bene, anzi, la adorava, ma non poteva assolutamente distrarsi dall'immagine nel suo incubo. Non è cosa da tutti sognare la stessa cosa (scheletro o meno) per due mesi consecutivi, ogni notte. Helen continuava a ripetersi che non andava bene per niente.

Non era mai stata coinvolta tanto da qualcosa in vita sua, lei che da sempre era così controllata.

Ma il suo controllo ormai stava svanendo, e forse era questo a intimorirla di più. In fondo non si poteva avere paura di uno stupido scheletro.

Era la piovosa mattina del ventinove ottobre, e Helen si trovava in biblioteca; ma non a quella dell'università. Lì non voleva farsi vedere in quello stato, né aveva voglia di ritrovarsi tra quelle mura. Aveva bisogno di stare in un luogo che non la condizionasse  e, soprattutto, dove nessuno la conoscesse.

Era seduta al tavolo da sola. A dire il vero c'era ben poca affluenza al centro quella mattina, eppure Helen si sentiva come se mille sguardi fossero puntati su di lei, accompagnati da altrettante mani bramose tese in sua direzione. Era come sentirsi in trappola, braccata. Si spaventò realizzando che doveva essere quello l'effetto che provoca l'ossessione, di qualunque natura essa sia.

Deglutì per calmarsi, ma il tentativo sembrò non sortire un grande effetto. Era agitata, detestava ammetterlo, eppure lo era davvero.

Davanti a lei, appoggiato sul tavolo, un volume aperto con una grande immagine disegnata: ovviamente, si trattava dell'immagine di uno scheletro. Helen aveva già letto i paragrafi a esso relativi almeno una cinquantina di volte, (parlavano della figura dello scheletro nella cultura gotica) senza riuscire a raccapezzarsi, e ormai ci aveva rinunciato. Piuttosto le faceva impressione il foglio che teneva a lato del libro aperto. Quel foglio su cui lei stessa stava piegata, tracciandovi a matita una copia del disegno che aveva guardato tanto a lungo.

Che cosa avrebbe fatto con quella riproduzione di uno stupido scheletro? Si ritrovò a domandarsi se alla fine ne avrebbe fatte copie a non finire, per poi appenderle al muro della sua stanza, come una brava malata mentale. Era terrorizzata da quel che stava diventando, perché lentamente andava tramutandosi in ciò che aveva sempre odiato. Ma aveva anche una terribile paura di addormentarsi, e di continuare a rivivere il proprio incubo.

Improvvisamente il cellulare trillò nella sua tasca, riportandola alla realtà. Da questo si accorse di essere sulla buona strada per dire addio alla propria stabilità mentale. Non era più presente: aveva lasciato attiva la suoneria del telefono, benché fosse espressamente vietato farlo in biblioteca.

Helen era sempre stata molto ligia al rispetto di questo genere di regole, ma probabilmente era troppo immersa nei suoi pensieri infestati dallo scheletro, per fare caso all'avviso posto in lettere maiuscole e cubitali all'ingresso della struttura.

Sospirando nel tentativo di non pensarci estrasse il cellulare dalla tasca. Il messaggio era di Sarah: Quando ci vediamo? Le domandava. Helen sbuffò più per il senso di colpa che per la stizza. Presto. Ora sono troppo impegnata con lo studio. Ti chiamo io appena posso. Le rispose. Lo fece il più velocemente possibile, per non soffermarsi a pensare su quello che stava facendo. Si rese conto che quello era il primo periodo della sua vita in cui avesse mentito a sua sorella, e questo era un altro inequivocabile segno della sua ansia crescente. Le cose non andavano bene per niente. Neanche un po'.

Come fu svelta a scrivere il messaggio, lo fu altrettanto nel ricacciarsi il cellulare in tasca. Con espressione stanca e spossata fissò ora l'immagine dello scheletro riportata sul libro di fronte a sé, ora quella che lei stessa aveva tracciato sul foglio di carta, totalmente identica. Helen era sempre stata molto dotata nel disegno. Lo scheletro come simbolo di morte. Sussurrò una flebile voce nella sua testa. Helen sorrise tra sé e sé per l'assurdità della cosa: fino a due giorni prima aveva trovato ridicola quell'idea, né l'aveva presa in considerazione. Ma quella mattina, per la prima volta, quella possibilità la spaventò. E per una come lei, in fondo, spaventarsi era una cosa che faceva sorridere.

Improvvisamente si domandò se avrebbe avuto il tempo di incontrare Sarah prima che le capitasse qualcosa. La morte che l'afferrava nel sogno avrebbe potuto ben presto fare lo stesso nella realtà, in qualsiasi circostanza, in qualsiasi momento. Da sua sorella, il suo pensiero corse subito a cose più irreali e inquietanti: un condannato a morte provava quel che sentiva lei? Forse faceva sogni simili? L'idea le provocò un brivido. Improvvisamente si rese conto di sentirsi soffocare all'interno della biblioteca. Poteva accadere ovunque. Si disse. Anche lì dentro. Bastava che l'enorme libreria dai mille scaffali pieni di testi cedesse e le rovinasse addosso, ed era fatta. Concepì in quell'istante che non si sarebbe sentita al sicuro in nessun luogo e fu per questo che non sopportò più l'angoscia delle quattro mura.

Recuperando in tutta fretta la copia dello scheletro che aveva disegnato, e chiudendo di colpo il volume dov'era raffigurato l'originale, si alzò e corse fuori. Poco le importò della pioggia copiosa e del freddo non indifferente. Come possono interessare certe inezie a una persona ormai prossima alla dipartita? Tremando sia per il freddo che per la paura, Helen si mise a correre. Tra le sue mani, il foglio contenente il disegno si inzuppò a propria volta e ben presto divenne molle, come se fosse sul punto di sciogliersi. Helen lo teneva stretto, anche se ormai si stava disfacendo.

Si guardava intorno con sospetto, pensando che il suo scheletro potesse nascondersi ovunque, pronto a sferrare il suo attacco mortale e a portarla con sé. Sto per morire, mio Dio, sto per morire. Continuava a ripetersi senza riuscire a capire per quale motivo a tale pensiero le venisse da ridere.

Ma in fondo, Helen rideva di questa frase propostale dalla mente perché era certa che fosse vera, e realizzare un simile avvenimento tanto prossimo può portare soltanto alla risata o alle lacrime.

O alla risata tra le lacrime.

In effetti, Helen piangeva mentre rideva, come se improvvisamente le due parti di lei (quella dura e scettica e quella spaventata e ossessionata) fossero venute a contatto causando un'esplosione. Oppure un'enorme confusione. Le componenti di una e dell'altra si erano disfatte e mischiate tra loro, dando luogo a un bel disastro incomprensibile.

Helen attraversò la strada senza guardare. Il semaforo per i pedoni era verde, ma lei aveva sempre creduto che fosse una saggia idea controllare sempre, onde evitare spiacevoli conseguenze a causa di qualche pazzo. Quella volta non lo fece. Solo quando raggiunse il marciapiede opposto si accorse che evitare certi atti di prudenza era un'idea molto, ma molto stupida. Era come scrivere un bell'invito al suo scheletro e inviarglielo su di una preziosa carta da lettere, pregandolo di fare in fretta. Helen si disse che doveva recuperare un po' di lucidità, tentare di tornare in sé. Se davvero era condannata a morire presto, per lo meno non voleva essere lei l'artefice della propria fine, sarebbe stato controproducente. Helen doveva lottare contro la morte, non correre tra le sue braccia.

Scrollandosi di dosso l'acqua piovana e l'inquietudine (almeno con quest'ultima ci provò), riprese a muoversi con maggiore attenzione.

Era mattina, ma il cielo era così grigio di nuvole da rendere particolarmente oscuro l'ambiente circostante. Helen, con la mente sempre più avviata alla distruzione, iniziò a vedere minacce in ogni singolo essere vivente che le passava accanto.

Quando un cane randagio, zuppo a sua volta di pioggia, le fu vicino, lei si accostò al muro impaurita. Non aveva mai avuto paura dei cani prima d'allora, ma aveva creduto che potesse trattarsi di un animale idrofobo e che avrebbe potuto attaccarla. Il cane, invece, passò oltre senza nemmeno guardarla.

E quell'uomo dall'aria cupa che camminava con le mani in tasca? Perché quel cappello nero a coprirgli il viso? Perché quello strano mezzo sorriso disegnato in volto? Poteva essere pericoloso. Magari un serial killer alla ricerca della sua nuova vittima.

E quella donna dall'espressione arrabbiata? Era mora, e forse odiava le bionde come lei. Avrebbe anche potuto farle del male. Di cose inconcepibili per la loro violenza e insensatezza non se ne sentivano forse ogni giorno? Helen, se voleva salvarsi la vita, doveva diffidare di chiunque.



*



<<Oddio, Helen, ma sei fradicia! Che ti è successo?>> le domandò Gloria, la sua compagna di stanza, quando la vide varcare la soglia ed entrare in camera. Gloria era seduta al tavolo della zona condivisibile della stanza, i libri aperti davanti.

<<Non ho ... non ho l'ombrello>> balbettò Helen smarrita. Il mondo intorno a lei aveva assunto da qualche ora un aspetto ampiamente irreale; questo forse era a causa della sua ossessione, oppure della possibile febbre che la stava invadendo. D'altro canto, aveva camminato sotto la pioggia fino al tardo pomeriggio.

<<Questo lo vedo>> riprese Gloria perplessa e preoccupata. Si era alzata in piedi, aveva afferrato una coperta dal piccolo divano e si stava avvicinando a Helen per porgliela sulle spalle. Quando l'amica le fu vicina, Helen si ritrasse d'istinto, intimorita. Non poteva fidarsi di nessuno. Non doveva.

Anche Gloria si spaventò, ma solo per la reazione incomprensibile dell'altra.

<<Helen, devi ...>> tentò di cominciare, ma l'altra corse via, diretta verso la propria stanza privata, dove c'era il suo letto. <<No, lasciami! Lasciami!>> urlò <<Io devo...io vado a dormire>> continuò sconvolta. Tentò di aprire la porta che divideva la zona comune dall'altra, ma le tremava la mano tanto che non riuscì ad afferrare il pomello. Gloria l'afferrò allora per le spalle, e Helen gridò. L'altra sobbalzò, ma non lasciò la presa.

<<Helen devi toglierti questi vestiti bagnati, asciugarti, prendere un farmaco, e solo dopo andare a letto. Ma non puoi fare niente di tutto ciò, da sola>> Gloria era tesa e visibilmente preoccupata. E perplessa.

<<No ... io ... no>> biascicò Helen, e sentì di morire di paura quando vide la compagna di stanza aprire la porta della sua stanza, sfilare la chiave dall'interno (Helen non chiudeva mai a chiave la camera, tranne quando dormiva e non voleva essere disturbata), richiudere la porta e bloccare la serratura da fuori.

<<Ora penso io a te>> fece Gloria decisa. Helen tremò a quelle parole. Forse la sua compagna di stanza era invidiosa dei suoi voti, della sua intraprendenza e dei suoi successi sia universitari che non (a Helen andava sempre tutto bene, era sempre brava in tutto). Forse aveva strane idee.

Non la sentì nemmeno quando sussurrò <<Che cosa diavolo ti è preso in questo periodo? Stai andando fuori di testa>>. Helen pensava soltanto a quello che Gloria avrebbe potuto farle, e non erano pensieri piacevoli. Ma stava male e, alla fine, benché spaventata a morte, si lasciò condurre dall'amica verso la sua zona privata di stanza, sicura che lo scheletro l'avrebbe raggiunta a breve. Tremava come una foglia quando Gloria iniziò ad aiutarla a spogliarsi. 

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*lady in blue*

lunedì 10 novembre 2014

NOVEMBER OF BONES 1: Scheletro (Cap.1)

Certo che con un titolo come "Novembre di ossa" iniziamo proprio bene, c'è da dirlo! Ma in fondo che aspettarsi da una nata il giorno dei morti? Tra l'altro è arrivato il primo quarto di secolo, che splendore ... anzi, "quanta anzianità", per citare le parole geniali di mio fratello, ma possiamo anche sorvolare.

Finalmente posso iniziare a postare un nuovo racconto, anche se, come al solito, nuovo è un modo di dire: l'ho scritto a ottobre dell'anno scorso e, per questo, fa parte dell'allegra categoria delle "storie scritte in negozio", per cui portate pazienza qualora non fosse proprio il massimo.
Tra l'altro, per ora, questo è l'ultimo racconto completo che militasse nel mio pc.
Non posso dir nulla né a proposito dell'ispirazione né della trama, per introdurlo, perché rischierei di svelare così il finale e, ovviamente, non si fa. Ogni spiegazione varia ed eventuale sarà data dopo il capitolo conclusivo. Ma in tutto questi sono solo cinque, quindi non sarà nulla di eterno; tra l'altro, il primo è molto corto, fungendo un po' da prologo.
A questo punto non mi resta che augurarvi buona lettura!



 SCHELETRO



I



QUEL SOGNO



Sinceramente, Helen lo trovava ridicolo.

Non era altro che uno stupido sogno, eppure, mentre la sua mente dormiente formulava quelle immagini, ne era spaventata a morte.

Però non ne aveva più paura al risveglio. Che cosa c'era da temere? Solo un bambino o una donnicciola avrebbero potuto tremare di fronte a una tale assurdità. Si trattava solo di un sogno, punto.

A dirla tutta, Helen credeva che fosse addirittura divertente. Le erano sempre piaciuti i film horror e tutto ciò che comportavano. Ovviamente, riferendosi a ciò che comportavano per gli altri (incubi, paura a restare al buio), perché lei non aveva mai sperimentato dati fenomeni.

E l'avvenimento del suo sogno poteva facilmente catalogarsi come una scena di quel genere di pellicole.

Era così forte il terrore mentre si avvicinava.

In poche parole, Helen sognava uno scheletro. Era uno scheletro orribile, questo doveva ammetterlo anche da sveglia, perché alle ossa aveva attaccati dei disgustosi brandelli di pelle cascante, ma fino a questo punto non poteva dire che ci fosse niente di atroce.

Era appena iniziato il mese di settembre, quando l'aveva visto per la prima volta. Non ricordava esattamente il giorno (o meglio, la notte) in cui era apparso, ma non credeva facesse poi troppa differenza.

Ricordava di aver riso come una matta dopo essersi svegliata, in quella prima occasione.

Non poteva credere di aver fatto un sogno tanto strano e, soprattutto, tanto stupido. Ma la sua ilarità del risveglio non coincideva affatto con ciò che provava mentre non era cosciente. Orrore. Terrore. Raccapriccio. Disgusto. Pazzia. Era questo che sentiva, quando lo scheletro si avvicinava a lei.

Ma non era per lo scheletro.

Non era nemmeno perché le andava incontro.

Era per come si muoveva.



Il luogo non è definito, non sembra altro che un lungo corridoio semi-buio. Helen ne è al centro, anche se, considerando che non ne vede né l'inizio né la fine, non può dirlo con certezza. Si trova a metà del tratto che appare alla sua vista, che di sicuro però non è l'unico.

Lo sente. Avverte che lo spazio è molto più ampio.

Lo scheletro arriva quasi subito, senza darle il tempo di domandarsi dove si trovi.

Le appare di fronte, da quel punto che per lei è l'inizio del corridoio.

E si muove.

Si muove.

Helen trova incredibile la velocità a cui l'orrore può svilupparsi in un animo fino a quel momento apatico.

Lo scheletro non sembra avere molta forza, ciondola. Un braccio d'ossa appoggiato contro la parete, come per sospingersi, l'altro pendente verso il suolo. Trascina i piedi privi di carne sul pavimento, quasi senza sollevarli. A tratti, il teschio gli ricade sullo sterno di colpo, per poi rialzarsi un attimo dopo. E quelle orbite vuote la guardano e la cercano.

Helen urla e inizia a correre. Non è da lei scappare; trova un millesimo di secondo per rendersene conto, anche se dorme, ma in questo caso non può proprio farne a  meno.

Corre velocemente, e non si stupisce del fatto che il corridoio sembri infinito.

E' invece stupita dalla distanza tra lei e lo scheletro, che continua a diminuire. Non è rapido, la sua andatura è traballante e incerta, come può esserle così vicino? Eppure lo è sempre di più.

Helen, di tanto in tanto, mentre continua a correre, si volta a guardarlo. Lo scheletro prosegue nella sua tetra camminata e nei suoi movimenti agghiaccianti come in un rituale: un braccio contro il muro, l'altro rivolto al pavimento. Trascina i piedi. Il cranio continua a ricadergli in avanti.

Oddio. Oddio. Oddio. E' questo  che Helen pensa in quel momento. Ma perché si muove in quel modo? Non potrebbe semplicemente correrle dietro?

Il corridoio continua a estendersi all'infinito, lo scheletro accorcia sempre più le distanze.

Poi all'improvviso le è addosso. Ha sentito le sua dita afferrarla (prova un brivido tremendo nel venirvi a contatto, per via di quei brandelli di pelle attaccati alle ossa). Helen si ritrova a terra, lo scheletro a ricoprire il suo corpo.

Ma non sarebbe corretto dire che questo l'abbia buttata a terra. Sembra le sia caduto addosso.

E ora è lì che giace.

Immobile.

E Helen grida sotto il suo peso

.

*



Helen rise a crepapelle anche dopo il secondo risveglio, persino a seguito del terzo e del quarto, ma al quinto smise di farlo. Perché quello stupido scheletro tornava tutte le notti? Cominciava a provare una strana sensazione: una sorta di inquietudine, anche se non ancora così definita. Era strano, tutto qui, ma la sua mente cominciava a ribellarsi e a domandarsi che cosa ci fosse sotto.

Sicuramente doveva esserci una spiegazione logica, e Helen decise che l'avrebbe trovata.

Non era il tipo da lasciarsi intimidire nemmeno nella vita reale, figurarsi per un sogno. Helen non sarebbe mai rimasta con le mani in mano nella speranza che arrivasse il principino a salvarla, anche perché, di sicuro, non c'era nulla da cui dover scappare davvero.

Non rideva più quando raggiungeva lo stato di veglia, ma quello scheletro che le faceva visita con ricorrenza la intrigava e incuriosiva.

Se doveva esserci un significato recondito, o forse inconscio, lei l'avrebbe portato alla luce.

Poteva essere anche un'ottima occasione per conoscere meglio se stessa. Le verità esplodono nei sogni.

Iniziò a informarsi verso l'ultima settimana del mese.

Oramai non pensava ad altro.
  
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*lady in blue*